Il “sogno” di Giovanni Paolo II di un’Europa che potesse superare la contrapposizione tra blocchi del periodo della “guerra fredda”, e tornare così a respirare pienamente con i suoi due polmoni, quello occidentale e quello orientale, si trova minacciato dalla nuova “cortina d’acciaio” che sta calando sul continente a causa del conflitto tra Russia e Ucraina.
di Maurizio Milano
Che cos’è l’“Europa”? Citando Giovanni Cantoni (1938-2020), l’Europa è «una penisola del continente asiatico»: non è un continente in senso geografico in quanto «non si lascia identificare come “insieme di terre emerse circondate dall’Oceano”»; non è caratterizzata neppure da un’«unità etnica», dal momento che è stata oggetto di invasioni di molti popoli nel corso della sua storia. Riprendendo considerazioni di san Giovanni Paolo II (1978-2005), Cantoni conclude che lo «statuto di continente» della penisola europea deriva da fattori di tipo “culturale”. L’Europa è quindi un “continente culturale”, dove per “cultura” si deve prendere un’accezione ampia e cioè, citando il papa, «quasi la dimora abituale dell’uomo, ciò che caratterizza tutto il suo comportamento e il suo modo di vivere, persino di abitare e di vestirsi, ciò ch’egli trova bello, il suo modo di concepire la vita e la morte, l’amore, la famiglia e l’impegno, la natura, la sua stessa esistenza, la vita associata degli uomini, nonché Dio» (cfr. Giovanni Cantoni, Francesco Pappalardo, a cura di, Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, D’Ettoris, 2006, pp. 9 e ss.).
L’Europa nasce dall’unificazione, operata dal cristianesimo, dei molteplici apporti provenienti dal pensiero filosofico greco e da quello giuridico romano, dalla cultura ebraica e da quella islamica, nonché dalle influenze delle popolazioni più varie, dai celti ai germani, dagli slavi agli ugro-finnici. La cristianità europea non è rimasta chiusa in sé stessa: a partire dal Medioevo, l’Europa ha infatti esteso la sua sfera di influenza ad altri continenti, in analogia all’età ellenistica in cui la Grecia aveva dato vita, con le sue colonie, alla Magna Grecia. Riprendendo la «felicissima formula» dello storico della cultura Henri Brugmans (1906-1977), Cantoni chiama Magna Europa «il mondo umano nato dall’espansione degli Europei […] nelle Americhe, in Africa, nella stessa Asia e in Oceania». Un concetto già espresso nel 1959 da Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nel suo Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (a cura e con presentazione di Giovanni Cantoni, Sugarco, 2009), dove descrivendo le varie tappe della crisi dellamodernità, il prof. Plinio le riferisce all’«uomo occidentale e cristiano, cioè l’europeo e i suoi discendenti, l’americano e l’australiano».
Dell’Europa, intesa come “continente di cultura”, fanno quindi parte sia i popoli dell’Europa occidentale sia i popoli dell’Europa orientale, compresa la parte occidentale della Federazione Russa, quindi con la capitale Mosca e San Pietroburgo. A diverso titolo, sono scrittori europei Dante e Shakespeare, Cervantes e Goethe, Molière e Dostoevskij; allo stesso modo, sono musicisti europei Bach e Vivaldi, Chopin e Ciaikovski. Un’Europa, quindi, che va «dall’Atlantico agli Urali» (per lo meno), per citare la nota espressione fornita dal generale e presidente francese Charles De Gaulle (1890-1970). Vengono in mente i ripetuti richiami del pontefice polacco, a partire dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, affinché il continente europeo, attraversato longitudinalmente da una “cortina di ferro” e diviso da decenni di Guerra fredda, potesse finalmente tornare a respirare con entrambi i suoi polmoni. Un sogno che è sembrato avverarsi a partire dalla caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989 e dall’implosione dell’Unione Sovietica, con l’ammaina della bandiera rossa sul Cremlino, il 25 dicembre 1991.
Con l’attacco all’Ucraina da parte della Federazione Russa, a partire dall’annessione della Crimea nel febbraio-marzo 2014 e poi dal 24 febbraio 2022 con l’invasione della parte sud-orientale del Paese, quest’Europa si è risvegliata in guerra, dentro un conflitto “ad alta intensità”, anche se – dato che non sono state usate armi nucleari, batteriologiche o chimiche – ancora di tipo “convenzionale”. Stanti i rapporti di forza – con l’Ucraina appoggiata militarmente dalla Nato e sostenuta economicamente dall’Occidente e la Federazione Russa che dispone del più potente arsenale nucleare del mondo (si parla di sei mila testate) – non si può escludere che il conflitto si protragga per anni, con rischi crescenti di improvvise escalation da parte russa se le armi convenzionali non si rivelassero più sufficienti non solo ad avanzare ma nemmeno a difendere le posizioni, compresa la tenuta della Crimea.
Le lacerazioni all’interno dell’Europa rischiano di far calare una “cortina d’acciaio”, con una Guerra Grande (cfr. Limes, Rivista italiana di geopolitica. La guerra grande, 2022), i cui effetti potrebbero durare decenni, separando per generazioni il suo “polmone occidentale” da una parte non irrilevante del suo “polmone orientale”, spinto innaturalmente verso l’attrazione della sfera di influenza indo-pacifica, in particolare verso la Cina. Le contrapposizioni interne all’Europa vengono poi riflesse nella Magna Europa, dato il ruolo di primo piano nel conflitto assunto non solo dalla Gran Bretagna e dai principali Paesi europei ma dagli stessi Stati Uniti, che esercitano un ovvio ruolo di leadership nella Nato. L’opinione pubblica, non solo in Europa ma anche in Magna Europa e negli altri Paesi del mondo, si trova così esposta al rischio di polarizzarsi in visioni manichee. Alcuni, a fronte di un Occidente in evidente e innegabile decadenza culturale, si illudono di vedere in Putin quasi un Defensor fidei.Si tratta, questo, di un vero e proprio abbaglio culturale, che non regge a un’analisi meno emotiva: basti pensare alla storia personale del presidente russo, ex-agente del KGB, che ha definito la fine dell’Unione Sovietica come «la più grande catastrofe geopolitica del XX° secolo». Oppure alle strumentalizzazioni a fini politici della religione ortodossa, in un Paese dove la pratica religiosa si aggira su uno sconsolante 2%: un “ortodossismo” i cui afflati nazionalistici e ideologici sono incompatibili con una retta visione cristiana, e rendono davvero difficile cullarsi nel sogno romantico della “Santa Madre Russia” (cfr. Don Wilhelm Dancă, Elementi religiosi del conflitto in Ucraina, in Studi Cattolici, settembre 2022, pp. 26-31). Purtroppo, verrebbe da dire. In tale prospettiva si alimenta un odio, non giustificato, per quell’Occidente di cui fanno parte anche gli stessi popoli americano e inglese, a cui non si possono certamente addebitare tutti gli errori, anche gravi, commessi dalle proprie classi dirigenti politiche, economiche e militari. All’estremo opposto, si trovano i difensori “senza se e senza ma” delle politiche “occidentali”, il cui “atlantismo” ed “europeismo” diventa ideologico nella misura in cui non ammette elementi di critica o di dubbio al proprio operato, spingendo all’odio nei confronti del popolo russo, innocente degli errori delle proprie classi politiche, e addirittura della sua stessa cultura: per dare un’idea del clima irragionevole che si è creato in Italia basti ricordare la decisione presa dall’Università Bicocca di Milano, a inizio marzo 2022, di annullare un corso su Dostoevskij, poi fortunatamente ripristinato in seguito alle proteste.
Considerati i rischi di escalation e di un confronto militare che coinvolga direttamente la Nato, sarebbe ragionevole che entrambe le parti iniziassero a darsi degli obiettivi politici realistici, perché la soluzione non potrà venire dal piano militare. Il Santo Padre Francesco, nell’Angelus del 2 ottobre 2022, dedicato interamente al conflitto in corso, ha richiamato le parti coinvolte a fare subito un armistizio, per poi iniziare una trattativa di pace. Il Papa non ha certamente messo le due parti sullo stesso piano, ha anzi condannato espressamente l’aggressione dell’Ucraina in quanto contraria al diritto internazionale, ha riconosciuto il diritto a difendersi e non ha certamente legittimato in alcun modo lo status quo raggiunto con la forza. La pace dev’essere ovviamente giusta, ma questo è l’obiettivo da raggiungere, non il punto di partenza. Per iniziare un negoziato occorre mettere a tacere le armi, da entrambe le parti, subito. Non si tratta di ingenuo e velleitario pacifismo, ma di senso del reale. Innanzitutto per evitare nuove sofferenze alle popolazioni direttamente coinvolte nel conflitto, ma anche per i crescenti rischi per la sicurezza e la stessa tenuta dei sistemi economici e sociali europei, su cui hanno già iniziato ad abbattersi le conseguenze disastrose del conflitto: sotto forma di restrizioni e impennate dei prezzi delle materie prime energetiche in “Occidente”; sotto forma di peggioramento delle prospettive di crescita economica nella Federazione Russa, colpita da pacchetti a raffica di sanzioni, i cui effetti non si sono ancora dispiegati ma che non aiuteranno certamente la crescita economica e sociale del Paese negli anni a venire. Diventerebbe una contabilità ultimamente suicidaria, tuttavia, quella di calcolare “chi si sta facendo più male” all’interno dell’unico “continente Europa”: l’unica certezza, alla fine, è che se il conflitto dovesse proseguire per anni, l’Europa tutta ne uscirebbe in ginocchio, a partire dal sistema industriale tedesco che ha visto chiudersi i rifornimenti di gas russo. Le Nazioni Unite, se non dedicassero il proprio tempo alla promozione ideologica della transizione energetica e alla diffusione del verbo LGBT, avrebbero un ruolo statutario chiave da giocare nei negoziati; anche per non lasciare l’iniziativa a improbabili arbitri, come la Turchia di Erdogan. Se l’ONU non farà nulla in questo frangente storico, dovremo domandarci a che cosa serve. Andando al di là – anzi, al di sopra – del piano militare, economico, politico e geopolitico, la prospettiva in cui inquadrare il tema mi pare debba essere quella della teologia della storia, e in particolare del messaggio di Fatima, le cui implicazioni non sono verosimilmente ancora esaurite. Il 25 marzo 2022, il Santo Padre, dando compimento pieno alle richieste della Madonna a Fatima, ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. Le conseguenze di tale atto non sono ovviamente analizzabili con categorie solamente umane o politiche, ma ciò non significa per nulla che non siano concrete. L’unica speranza oggettiva, stante il quadro di contrapposizione tra le parti coinvolte e i rischi di logoramento se non di escalation, è proprio di tale ordine: la pace è sicuramente opus iustitiae ma è anche e soprattutto un dono, che l’uomo non può quindi meritare in senso stretto, ma che può e deve richiedere all’unico che può concederlo. «In quest’ora buia» la preghiera a Gesù, Principe della pace,per intercessione della Madonna di Fatima, Maria regina pacis, è la cosa più razionale e seria che i popoli dell’Europa e della Magna Europa, che hanno «smarrito le vie della pace», possono fare. Maria a Fatima ha promesso che «infine, il mio Cuore Immacolato trionferà»: a noi il compito di collaborare.
Mercoledì, 12 ottobre 2022