Carmelo Leotta, Cristianità n. 415 (2022)
Il 10 marzo 2022 è stato approvato dalla Camera dei deputati il disegno di legge (d.d.l.) S.2553 recante Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita. Il testo è stato trasmesso al Senato della Repubblica il successivo 11 marzo e il 16 è stato assegnato in sede redigente alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia)e12ª (Igiene e sanità).Composto da undici articoli, presenta alcune modifiche rispetto al testo unificato (t.u.) prodotto dalle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera il 9 dicembre 2021, a sua volta modificato rispetto alla versione adottata dalle stesse Commissioni come testo-base il 6 luglio 2021 (1).
Il presente contributo intende fornire un inquadramento di sintesi della disciplina contenuta nel testo del 10 marzo, anche alla luce dei princìpi di diritto enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242 del 24 settembre 2019, emessa nell’ambito del processo contro Marco Cappato a seguito della morte di Fabiano Antoniani (1977-2021), noto come «D.J. Fabo», e più di recente con la sentenza n. 50 del 15 febbraio 2022, che ha dichiarato inammissibile la proposta di referendum abrogativo dell’art. 579 del codice penale (di seguito, cod. pen.) che punisce l’omicidio del consenziente (2).
Invero, come si dirà, l’impostazione del d.d.l. S.2553 non solo è incompatibile con l’insegnamento morale della Chiesa cattolica che, come da ultimo autorevolmente ribadito nella lettera Samaritanus bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede, condanna ogni forma di eutanasia e di suicidio assistito (3), ma anche con le indicazioni fornite dalla stessa Corte costituzionale nella sua più recente giurisprudenza in materia di fine vita.
1. La struttura del d.d.l. S.2553
Il d.d.l. S.2553 si compone, come detto, di undici articoli ed è volto a consentire alla persona affetta da una patologia irreversibile, in presenza delle condizioni individuate dall’art. 3, di accedere a una procedura di morte medicalmente assistita, definita dall’art. 2, comma 1, come «decesso cagionato da un atto autonomo con il quale, in esito al percorso disciplinato dalla presente legge, si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale».
I requisiti di accesso alla procedura di morte medicalmente assistita sono i seguenti:
— capacità del malato di intendere e di volere (art. 2, comma 2, e art. 3, comma 1);
— capacità del malato di assumere una volontà/decisione attuale, libera e consapevole (art. 2, comma 2, e art. 3, comma 1);
— maggiore età del malato (art. 3, comma 1);
— previo coinvolgimento del malato in un percorso di cure palliative o suo esplicito rifiuto o interruzione delle stesse (art. 3, comma 1);
— sussistenza di una patologia irreversibile con prognosi infausta attestata dal medico curante o dal medico specialista che ha in cura il malato o, in alternativa, sussistenza di una condizione clinica irreversibile (art. 3, comma 2, lett. a);
— contestualmente alla sussistenza della patologia irreversibile o della condizione clinica irreversibile, assoluta intollerabilità da parte del malato delle sofferenze fisiche e psicologiche (letteralmente, «[…] sofferenze fisiche e psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili») (art. 3, comma 2, lett. a);
— ricorso, già in atto, a trattamenti sanitari di sostegno vitale, «la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente» (art. 3, comma 2, lett. b).
In presenza delle condizioni ora richiamate, può essere formulata la richiesta di morte medicalmente assistita, che dà avvio a una procedura composta essenzialmente di tre fasi: la prima e la seconda sono finalizzate a valutare la sussistenza dei requisiti di accesso alla pratica di suicidio assistito e si svolgono rispettivamente davanti al medico cui è presentata la richiesta e al Comitato per la valutazione clinica; la terza è quella esecutiva in cui, sotto la supervisione della direzione sanitaria dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e dell’azienda ospedaliera di riferimento, è attuata la decisione di morte del malato.
Il rapporto del medico cui è presentata la richiesta di morte medicalmente assistita
Il d.d.l. prevede che il malato intenzionato a ricorrere all’aiuto al suicidio presenti la richiesta di morte medicalmente assistita al proprio medico curante o al medico di medicina generale (art. 4, comma 3); la richiesta è redatta in forma scritta con atto pubblico o con scrittura privata autenticata e può essere successivamente revocata senza requisiti di forma (art. 4, comma 1). Ove le condizioni di salute della persona interessata non lo consentano, la volontà «[…] può essere espressa e documentata con videoregistrazione o qualunque altro dispositivo idoneo che consenta [al paziente] di comunicare e manifestare inequivocabilmente la propria volontà»; in tal caso, si esige la presenza di due testimoni e di un pubblico ufficiale che attesti l’autenticità, la data e il luogo in cui è stata manifestata la volontà (art. 4, comma 2). Il medico che riceve la richiesta di morte ha innanzitutto l’onere di informare il paziente e, con il di lui consenso, i suoi familiari delle conseguenze e delle possibili alternative alla richiesta, nonché quello di promuovere ogni azione di sostegno al richiedente (art. 4, comma 4). Lo stesso medico è, quindi, tenuto a redigere, eventualmente con la collaborazione di specialisti, un «rapporto» che ha per oggetto: le condizioni cliniche e psicologiche del richiedente; le motivazioni della richiesta; le indicazioni circa l’avvenuta informazione al paziente sulla propria condizione clinica e sulla prognosi, sui trattamenti sanitari ancora attuabili e sulle possibili alternative terapeutiche. Il rapporto deve altresì specificare se la persona è a conoscenza del diritto di accedere alle cure palliative, se è già in carico a tale rete di assistenza o se ha rifiutato il percorso; nel rapporto, occorre fornire qualsiasi informazione dalla quale possa emergere che la richiesta non sia libera, consapevole e informata; infine, lo stesso è corredato di copia della richiesta e della documentazione medica e clinica ad essa pertinente (art. 5, commi 2, 3 e 4).
Il medico non ha soltanto un compito ricognitivo della volontà e delle condizioni del malato, espletato con la compilazione del rapporto nei termini ora descritti; a lui è, infatti, anche assegnato un potere/dovere di sindacato sulla richiesta. Qualora ritenga carenti la capacità di intendere e di volere del malato, ovvero la capacità dello stesso di prendere decisioni libere attuali e consapevoli; qualora risulti non attuato il suo coinvolgimento in un percorso di cure palliative — o il rifiuto o l’interruzione delle stesse —, ovvero reputi carenti i presupposti della patologia o della condizione clinica irreversibile con prognosi infausta o, ancora, carente il requisito della indispensabilità del trattamento di sostegno vitale, il medico non trasmette la richiesta di morte medicalmente assistita al Comitato per la valutazione clinica, motivando la sua decisione in forma scritta (art. 5, comma 4). Contro tale atto il malato può presentare ricorso al giudice territorialmente competente entro 60 giorni (art. 5, comma 8). Redatto il rapporto, fatta salva l’ipotesi, da ultimo considerata, in cui ritenga carenti i presupposti della richiesta, il medico trasmette senza ritardo al Comitato per la valutazione clinica e all’interessato il rapporto completo di tutte le sue parti (art. 5, comma 2).
Il parere del Comitato per la valutazione clinica
La fase che si svolge innanzi al Comitato per la valutazione clinica (d’ora in poi, il Comitato) costituisce la prosecuzione della procedura dopo la trasmissione (al Comitato) del rapporto da parte del medico che riceve la richiesta. I Comitati in questione, previsti dallo stesso d.d.l., dovranno essere istituiti da regolamento adottato con decreto del ministro della Salute entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, previo parere della Conferenza Permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano. La loro finalità è garantire la dignità delle persone malate e sostenere i professionisti sanitari nelle scelte etiche cui sono coinvolti nelle decisioni di fine vita dei pazienti. Si richiede che i Comitati abbiano composizione multidisciplinare, autonoma e indipendente; degli stessi devono far parte medici specialisti, ivi compresi palliativisti, insieme con psicologici, giuristi, bioeticisti (art. 7) (4).
Il Comitato, ricevuto il rapporto del medico al quale il malato ha indirizzato la richiesta, entro 30 giorni formula un parere motivato sull’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge a supporto della richiesta e lo trasmette al medico richiedente e alla persona interessata. Il Comitato, al fine di redigere il parere può udire il medico di riferimento o l’équipe sanitaria ed è tenuto a sentire il paziente, «anche telematicamente» o per mezzo di un delegato «[…] per accertare che la richiesta di morte medicalmente assistita sia informata, consapevole libera» (art. 5, comma 5). All’esito della propria attività, il Comitato redige un parere, favorevole o contrario. Se il parere è contrario, il malato — così come avviene nel caso in cui il medico che riceve la richiesta ne ritenga carenti i presupposti e, pertanto, con atto motivato, non la trasmetta al Comitato — può ricorrere entro 60 giorni al giudice territorialmente competente (cfr. art. 5, comma 8). La norma non prevede, tuttavia, quale sia il giudice competente per materia né quali siano i suoi poteri decisori, per esempio se questi possa ordinare direttamente, previo l’espletamento di eventuali ulteriori accertamenti, l’esecuzione della volontà di morte medicalmente assistita del paziente, ovvero se debba limitarsi ad affidare lo studio del caso ad altro Comitato diversamente composto.
La fase esecutiva della richiesta di morte medicalmente assistita
Quando il parere è favorevole, il Comitato per la valutazione clinica che lo ha redatto lo trasmette entro 30 giorni al medico richiedente e alla persona interessata. In questa fase è il medico cui è stata rivolta la richiesta a dare impulso alla fase esecutiva, trasmettendo il parere favorevole, unitamente a tutta la documentazione, alla direzione sanitaria della ASL o alla direzione sanitaria dell’azienda ospedaliera di riferimento. Invero, la procedura esecutiva è definita in termini assai vaghi dall’art. 5, comma 7, che si limita a prevedere che la direzione sanitaria debba «[…] attivare le verifiche necessarie a garantire che il decesso avvenga nel rispetto di cui al comma 1», vale a dire «[…] nel rispetto della dignità della persona malata e in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi» (art. 5, comma 1). Le uniche indicazioni pregnanti fornite dal comma 7 riguardano la preferenza per l’esecuzione dell’atto di morte presso il domicilio del paziente e la predisposizione di misure che consentano al malato privo di autonomia fisica l’accesso alla morte mediante un atto autonomo. Al momento della morte, è espressamente richiesto un accertamento finale della volontà del paziente da parte del medico presente all’atto (art. 5, comma 10).
La morte, avvenuta a seguito di richiesta del malato, è equiparata al decesso per cause naturali (art. 5, comma 11).
La disciplina sull’obiezione di coscienza e l’esclusione di punibilità per chi presta la propria opera nella procedura di morte medicalmente assistita
Il d.d.l., oltre a prevedere le tre distinte fasi della procedura di morte medicalmente assistita — fase davanti al medico curante; fase davanti al Comitato; fase di esecuzione —, detta due ulteriori disposizioni di primario rilievo, relative una al diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario, l’altra all’esclusione di punibilità per chi partecipa alla procedura di morte medicalmente assistita nel rispetto delle previsioni dello stesso d.d.l.
L’obiezione di coscienza è disciplinata dall’art. 6 secondo il modello dell’art. 9 della legge n. 194 del 1978, in materia di aborto. L’art. 6 riserva il diritto all’obiezione di coscienza all’esercente una professione sanitaria. La precedente formulazione nel testo licenziato dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati nel dicembre del 2021 prevedeva che l’obiezione di coscienza spettasse al «personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie»: il testo del 10 marzo si riferisce invece solo all’esercente la professione sanitaria in senso stretto, escludendo quanti esercitano attività ausiliarie, senza essere al contempo esercenti professioni sanitarie.
L’obiezione di coscienza va esercitata con dichiarazione preventiva da comunicarsi entro tre mesi dalla data di adozione del regolamento istitutivo dei Comitati, al direttore della ASL o dell’azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente (5). L’obiezione di coscienza esonera il professionista sanitario «dal compimento delle procedure e delle attività specificamente dirette al suicidio e non dall’assistenza antecedente l’intervento». Infine, l’art. 6, comma 4, in termini analoghi all’art. 9 della legge sull’aborto, stabilisce che gli «[…] enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente legge adottando tutte le misure, anche di natura organizzativa, che si rendano necessarie». La Regione svolge sul punto un’attività di controllo. Il diritto all’obiezione non è contemplato, infine, per il pubblico ufficiale che, nel testo approvato il 10 marzo, interviene nella procedura di morte medicalmente assistita, attestando l’autenticità, la data e il luogo di espressione della volontà dell’interessato. Eppure, l’intervento del pubblico ufficiale — non contemplato nel t.u. del 9 dicembre 2021 — ha un’efficacia causale indispensabile e diretta nell’espletamento della procedura, tant’è che la causa di non punibilità prevista dall’art. 8 (su cui v. infra) si applica anche a suo beneficio; pertanto, la mancata previsione, nell’art. 6, di un diritto all’obiezione di coscienza del pubblico ufficiale senz’altro può realizzare un contrasto insanabile fra precetto normativo, deontologia e dettami intimi della coscienza.
La previsione espressa di una norma sull’obiezione di coscienza se, da un lato, tranquillizza l’operatore sanitario dal rischio di vedersi costretto a partecipare a una procedura causativa della morte di una persona, dall’altro segna una svolta peggiorativa che caratterizza il d.d.l. rispetto all’impostazione della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale. Questa, a distanza di un anno dall’ordinanza n. 207 del 2018 (6), ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 580 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità per l’aiuto fornito dal sanitario all’«esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente» (7).
La sentenza non si è limitata a sancire tale esclusione di punibilità, ma ha individuato possibili contenuti cui si sarebbe dovuto adeguare il Parlamento in sede di legislazione sul fine vita; proprio in materia di obiezione di coscienza ha escluso la necessità di una sua previsione perché la declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art. 580 cod. pen. non comporta, a dire degli stessi giudici costituzionali, «nessun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici» (8), riservando «alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato» (9).
La previsione del diritto all’obiezione di coscienza è, invece, sintomo di come, nell’impianto del d.d.l., la richiesta di morte medicalmente assistita assurga a vero e proprio diritto soggettivo del richiedente a ottenere una prestazione da parte del professionista sanitario, il quale, salvo l’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza, non può esimersi dal dare seguito alla volontà del malato.
La norma sull’esclusione di punibilità, infine, è prevista dall’art. 8, dove si sancisce che le «[…] disposizioni contenute negli articoli 580 [istigazione e aiuto al suicidio] e 593 [omissione di soccorso] si applicano al medico e al personale sanitario e amministrativo che abbiano dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita nonché a tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura, qualora essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni della presente legge».
2. Il contrasto tra le indicazioni della Corte costituzionale in materia di fine vita e l’impianto del d.d.l. S.2553
L’impostazione del d.d.l. approvato dalla Camera dei deputati non solo è inconciliabile con l’insegnamento morale della Chiesa cattolica — da ultimo, nella lettera Samaritanus bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede sono definite «gravemente ingiuste […] le leggi che legalizzano l’eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l’aiuto allo stesso» (n. V) —, ma anche con le indicazioni della giurisprudenza costituzionale in materia di tutela della persona che chiede di essere aiutata nell’atto di procurarsi la morte.
In particolare, con la sentenza n. 50 del 2022, che ha dichiarato l’inammissibilità della proposta referendaria sull’omicidio del consenziente (art. 579 cod. pen.), la Corte costituzionale ha ribadito, richiamando il proprio costante orientamento, che «il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost., è “da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono — per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 — all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” (sentenza n. 35 del 1997). Esso “concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona” (sentenza n. 238 del 1996)» (10). La sentenza n. 50 del 2022, che pur si è espressa per la non ammissibilità della proposta referendaria avente a oggetto l’omicidio del consenziente — e, pertanto, non si è direttamente espressa in materia di aiuto al suicidio, punito dall’art. 580 cod. pen., che sarebbe commesso da chi collabora all’altrui atto suicidario — non ha mancato di richiamare le già ricordate ordinanza n. 207 del 2018 e sentenza n. 242 del 2019 in materia di aiuto al suicidio, nelle quali si è detto a chiare lettere che il godimento del diritto alla vita, «“primo dei diritti inviolabili dell’uomo” (sentenza n. 223 del 1996)» (11) comporta «il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello — diametralmente opposto — di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire» (12).
Ancorché l’impostazione dell’ordinanza n. 207 e della sentenza n. 242 non sia condivisibile nel suo contenuto decisorio — perché ammette una deroga, seppure in casi limitati, al principio di indisponibilità della vita e istituisce un’equiparazione, tutt’altro che pacifica, tra rifiuto della cura e suicidio assistito (13) —, le due decisioni hanno avuto almeno il pregio di escludere che la richiesta di morte assurga a diritto soggettivo del malato, limitandosi a prevedere una causa di non punibilità a vantaggio del sanitario che, liberamente accogliendo la richiesta dell’interessato, ne abbia cagionato il decesso.
La configurazione, nel d.d.l., della richiesta del malato di morte medicalmente assistita come diritto soggettivo si evince non solo, come già si è detto, dalla previsione sull’obiezione di coscienza, ma anche dalla previsione che consente al richiedente di ricorrere al giudice qualora il medico curante, per la carenza dei presupposti, decida di non trasmettere la richiesta al Comitato e qualora lo stesso Comitato esprima parere negativo.
Ma ciò non basta: il testo del d.d.l. approvato a marzo dalla Camera dei deputati — che, già nella versione dello scorso dicembre, allargava l’accesso alla pratica di suicidio assistito rispetto alle indicazioni della sentenza n. 242 del 2019 (14) — è stato ulteriormente peggiorato, se si considerano in particolare l’affievolimento degli strumenti di controllo sulla libertà di scelta del malato e la decisione di non investire in alcun modo sulla diffusione delle cure palliative.
Quanto al primo profilo va osservato come sia stata soppressa in sede di approvazione, all’art. 5, comma 2, la valutazione, da parte del medico che riceve la richiesta di morte medicalmente assistita, delle condizioni familiari e sociali del malato.Il medico redige, infatti, «un rapporto dettagliato e documentato sulle condizioni cliniche e psicologiche del richiedente e sulle motivazioni che l’hanno determinata». La precedente versione prevedeva, invece, che oggetto del rapporto fossero anche le condizioni familiari e sociali del malato. Tale modifica è grave e foriera di conseguenze negative per la tutela del malato: l’esclusione, prima per il medico che riceve la richiesta e poi per il Comitato, dell’esame delle condizioni sociali e familiari del paziente rende, infatti, impossibile, una valutazione complessiva che tenga conto, per esempio, di quanto possano avere inciso sulla scelta di morire opinioni o pressioni familiari ed eventuali ristrettezze economiche. Tale modifica è segno evidente e inequivocabile del fatto che, nell’impianto di fondo del d.d.l., il suicidio assistito, anziché essere la risposta estrema a mali ritenuti non altrimenti affrontabili — soluzione comunque non eticamente e giuridicamente ammissibile perché comporta la partecipazione a un atto causativo della morte di una persona —, si presta a divenire una sempre più larga «via di uscita» dall’esistenza, di fronte a situazioni di grave problematicità sociale e familiare generate dalla malattia. Che, d’altronde, la tutela del diritto alla vita non sia una priorità nella scelta legislativa di fondo del d.d.l., è un dato inequivocabile, posto che all’art. 2, comma 3, nell’elenco dei princìpi fondamentali che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve rispettare in materia di morte medicalmente assistita, si menzionano la dignità e l’autonomia del malato, nonché la qualità della vita e il sostegno al malato, senza fare alcuna menzione, per l’appunto, del diritto alla vita.
L’espunzione delle condizioni familiari e sociali dal campo di indagine del medico e del Comitato non solo snellisce e agevola l’accesso al suicidio assistito, ma è anche indice del reale valore che il d.d.l. assegna all’autonomia del paziente; infatti, a fronte dei proclami sull’autonomia, sull’autodeterminazione e sulla dignità personale, la soluzione che la Camera dei deputati ha adottato è di non prevedere che il medico che riceve la richiesta e il Comitato che la valuta debbano analizzare proprio quei fattori ambientali che maggiormente possono interferire con la formazione della volontà del malato. Pertanto, non solo il diritto alla vita del malato grave, ma anche il suo diritto all’autodeterminazione finiscono per essere potenzialmente sacrificati.
Parimenti, è significativo, per le stesse ragioni, che l’art. 5, comma 5, consenta al Comitato di procedere in via telematica al controllo sulla sussistenza della volontà di morire del paziente. La precedente versione del testo, pur senza qualificare tale procedura come obbligatoria, quanto meno prevedeva che, ove il Comitato intendesse sentire il malato, si dovesse recare, anche tramite un delegato, al domicilio del paziente. La modifica è chiaramente volta, come la precedente — relativa all’espunzione della valutazione delle condizioni familiari e sociali del malato — a snellire l’accertamento delle condizioni che consentono la richiesta di morte medicalmente assistita, in vista di un suo più rapido espletamento. Anche in questo caso è evidente quanto poco stia a cuore al legislatore proponente il controllo della libertà di scelta del malato, che potrà essere audito in modalità smart.
Rispetto al mancato investimento sulle cure palliative, non si può, infine, non fare menzione della clausola di invarianza finanziaria di cui all’art. 9, in virtù della quale, dall’attuazione della legge «[…] non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». La previsione è neutra solo in apparenza: se davvero il suicidio assistito fosse inteso, nell’impianto del d.d.l., come il rimedio estremo davanti al fallimento di tutte le altre vie proposte al malato, ben più ragionevole sarebbe stato stanziare risorse finanziarie per implementare le cure palliative e per sostenere i cosiddetti informal caregiver, vale a dire quei soggetti, appartenenti alla rete familiare e amicale del malato, che gli prestano assistenza. Il d.d.l., che da un lato esige, per l’accesso al suicidio assistito, il previo coinvolgimento del malato — salvo il suo rifiuto — in un percorso di cure palliative, dall’altro non impiega nessuna risorsa per favorirne l’accesso, rivela come in realtà il suicidio assistito, nella struttura del d.d.l., non rappresenti tanto una soluzione di extrema ratio per chi non sopporta più le proprie sofferenze, quanto piuttosto la via più semplice, immediata ed economica offerta a chi deve affrontare un grave dolore.
3. La disciplina provvisoria prevista dal d.d.l.
Un non diverso giudizio sulla scarsa attenzione che il d.d.l. riserva alla tutela del diritto alla vita dei soggetti che chiedono di accedere alla morte medicalmente assistita, si ricava, in chiusura, dall’esame della disciplina transitoria di cui all’art. 11 d.d.l., il cui comma 2 prevede che, nelle «[…] more dell’entrata in vigore della presente legge — 90 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale — si provvede all’aggiornamento delle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’articolo 1, commi 554 e 559, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, conformemente alle prestazioni previste dalle disposizioni della presente legge e nei limiti delle risorse finanziarie destinate al medesimo Servizio sanitario nazionale dalla legislazione vigente».
Occorre chiedersi, tuttavia, se le pratiche di suicidio assistito possano effettivamente essere inserite, stando al diritto vigente, fra le prestazioni a carico del SSN, in via provvisoria prima dell’entrata in vigore della stessa legge, dei regolamenti istitutivi dei Comitati per la valutazione clinica, contemplati dall’art. 7, e dal decreto del ministro della Salute previsto dall’art. 10. Per verificare tale possibilità, è necessario richiamare alcune norme in materia.
Innanzitutto, l’art. 1, comma 554, della «legge di stabilità» del 2016 — cui il d.d.l. rinvia — stabilisce che i livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA), cui fa riferimento l’art. 1, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992, siano definiti con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del ministro della Salute, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con la Conferenza Permanente per i Rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. L’art. 1, comma 7, anzidetto prevede, a sua volta, che siano «[…] posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate». Inoltre, esclude dai livelli di assistenza erogati a carico del SSN, tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie che — fra gli altri casi di esclusione — non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai «principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale», di cui al medesimo articolo.
Il comma 2 dell’art. 11 del d.d.l sancisce espressamente che i livelli essenziali di assistenza garantiti dal SSN, attraverso le risorse finanziarie pubbliche, siano in coerenza con i princìpi e gli obiettivi indicati dagli art. 1 e 2 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del SSN. In particolare, l’art. 1, comma 3, stabilisce che finalità del SSN siano la promozione, il mantenimento e il recupero della salute fisica e psichica; e l’art. 2, sempre elencando i princìpi ispiratori del SSN, prevede al comma 2, lett. f) «la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione».
In breve, le prestazioni di suicidio assistito, a fortiori prima dell’entrata in vigore di una disciplina organica — cioè prima dell’entrata in vigore della legge, qualora approvata dal Senato —, non tollerano l’inserimento nei LEA, trattandosi di prestazioni incompatibili con i princìpi ispiratori di erogazione delle prestazioni rese dal SSN in base alla legge n. 833 del 1978 e al decreto legislativo n. 502 del 1992.
Vi è poi da chiedersi come sia possibile prevedere una disciplina provvisoria, immediatamente efficace, prima della istituzione ai sensi dell’art. 7 dei Comitati di valutazione clinica, che potrà avvenire entro180 giorni dall’entrata in vigore della legge, a sua volta in vigore dopo 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.Discorso analogo riguarda la previsione di una disciplina provvisoria prima dell’emanazione del decreto del ministro della Salute, considerato dall’art. 10, in cui dovrebbero essere previste norme di prim’ordine, relative ai requisiti delle strutture del SSN idonee ad accogliere le persone che fanno richiesta di morte (lett. a); ai protocolli e alle modalità per la prescrizione, la preparazione, il coordinamento e la sorveglianza della procedura di morte (lett. b); alle procedure di sostegno psicologico alla persona malata e ai suoi familiari (lett. c); alle modalità di un’informazione capillare sulle possibilità offerte dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219 (lett. e); alle modalità di monitoraggio e di potenziamento delle cure palliative (lett. f).
La norma provvisoria prevista dall’art. 11, comma 2, del t.u. è pertanto, sostanzialmente, inattuabile e, già solo per questo, è indice della inadeguatezza tecnica del testo approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 10 marzo. L’inserimento della disposizione provvisoria dice però molto sul piano politico: dal momento che essa consentirebbe l’accesso al suicidio assistito in totale assenza di una tutela minima per il malato per un tempo di 270 giorni dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale, una siffatta disposizione è il segnale più chiaro e incontrovertibile di quanto poco valgano, nell’ambito del d.d.l., vita e autodeterminazione della persona malata. Come non chiedersi, allora, se non siano altri gli interessi che, nella disciplina del fine vita, rappresentano le priorità per il legislatore italiano? E, fra questi, che peso ha l’obiettivo del risparmio sulla spesa sanitaria?
Carmelo Leotta
Note:
1) Il testo dell’Atto Senato 2553 è consultabile nel sito web <https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/testi/54834_testi.htm> (gli indirizzi web dell’intero articolo sono stati consultati il 4-7-2022). Per un ampio commento cfr. Alfredo Mantovano (a cura di), Eutanasia: le ragioni del no. Il referendum, la legge, le sentenze, Cantagalli, Siena 2021, pp. 41-156. L’opera, data alle stampe nel novembre del 2021, prende in esame il testo unificato adottato come testo base il 6 luglio 2021 dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati, delle proposte di legge n. 2 di iniziativa popolare, C.1418 (Zan), C.1586 (Cecconi), C.1655 (Rostan), C.1875 (Sarli), C.1888 (Alessandro Pagano), C.2982 (Sportiello) e C.3101 (Trizzino). Tenendo conto delle modifiche intervenute il volume è aggiornato online sul sito del Centro Studi Rosario Livatino. Per le novità del testo dell’11 dicembre rispetto a quello del 6 luglio 2021 cfr. Eutanasia: le ragioni del no. Il referendum, la legge, le sentenze. Aggiornamento con gli emendamenti approvati in Commissione, nel sito web <https://www.centrostudilivatino.it/eutanasia-le-ragioni-del-no-il-referendum-le-legge-le-sentenze-aggiornamento-con-gli-emendamenti-approvati-in-commissione>, del 16 gennaio 2022. Per le modifiche al testo approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2022, rispetto a quello dell’11 dicembre 2021, cfr. il mio Eutanasia approvata dalla Camera il 10 marzo: testo peggiorato rispetto a quello delle Commissioni riunite, nel sito web <https://www.centrostudilivatino.it/eutanasia-approvata-alla-camera-il-10-marzo/#more-10386>, del 23 marzo 2022. Per un commento al testo del 10 marzo, cfr. anche Giovanna Razzano, La proposta di legge sulle «Disposizioni in materia di morte medicalmente assistita»: una valutazione nella prospettiva costituzionale anche alla luce della sent. n. 50/2022, in federalismi.it, 2022, n. 9, pp. 53-69.
2) Le ordinanze e le sentenze della Corte costituzionale sono disponibili nel sito web <www.cortecostituzionale.it>, sezione Decisioni.
3) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera «Samaritanus bonus» sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita,del 14-7-2020. Su di essa cfr. Chiara Mantovani, «Samaritanus bonus»: «testo unico» per un fine-vita socialmente degno, in Cristianità, anno XLVIII, n. 405, settembre-ottobre 2020, pp. 29-38.
4) Sui profili problematici relativi alla disciplina sui Comitati per la valutazione clinica, cfr. Domenico Menorello, T.u. eutanasia – Artt. 6 e 8. I «Comitati per l’etica nella clinica» – Disposizioni finali ovvero il soggetto non «terzo» che decide la «morte di Stato», in A. Mantovano, op. cit., pp. 117-148.
5) Ai sensi dell’art. 6, comma 2, l’«[…] obiezione di coscienza può essere revocata o essere proposta anche fuori del termine dei tre mesi, ma in tale caso produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione».
6) Corte costituzionale, Ordinanza n. 207 del 23 ottobre 2018 (decisione del 24 ottobre 2018, depositata il 16 novembre 2018).
7) Eadem, Sentenza n. 242 del 24 settembre 2019 (decisione del 25 settembre 2019, depositata il 22 novembre 2019), dispositivo.
8) Cfr. ibid., Considerato in diritto, n. 6.
9) Cfr. ibidem.
10) Eadem, Sentenza n. 50 del 15 febbraio 2022 (decisione del 15 febbraio 2022, depositata il 2 marzo 2022), Considerato in diritto, 5.2.
11) Eadem, Ordinanza n. 207 del 23 ottobre 2018, cit., Considerato in diritto, 5.
12) Ibidem. Cfr. anche Eadem, Sentenza n. 242 del 24 settembre 2019, cit., Considerato in diritto, 2.2.
13) In commento all’ordinanza n. 207 del 2018 cfr. l’ampio lavoro a cura di Mauro Ronco, Il «diritto» di essere uccisi: verso la morte del diritto?, Giappichelli, Torino, 2019.
14) Sulle modifiche apportate nel t.u. licenziato il 9 dicembre 2021 dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati, cfr. il sito web <https://www.centrostudilivatino.it/eutanasia-le-ragioni-del-no-il-referendum-le-legge-le-sentenze-aggiornamento-con-gli-emendamenti-approvati-in-commissione>.