La Commissione Europea ha autorizzato la commercializzazione della polvere parzialmente sgrassata ottenuta dall’Acheta domesticus, il comune grillo domestico, da introdurre nelle nostre mense. La rieducazione culturale, nella prospettiva dell’entomofagia, mi ha fatto pensare, per diametrum, alla famosa scena conviviale del capolavoro della filmografia “Il pranzo di Babette”, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel nel 1987, tratto dall’omonimo racconto della scrittrice danese, la baronessa Karen Blixen (1885-1962).
di Maurizio Milano
Si arricchisce la lista degli insetti che la Commissione Europea contempla tra i cosiddetti Novel Foods, i nuovi cibi di cui viene autorizzata la produzione e commercializzazione negli Stati dell’Unione, non solo per i mangimi animali ma direttamente per l’alimentazione umana. L’ultimo arrivato è l’Acheta domesticus (grillo domestico), con approvazione nel Regolamento di esecuzione (UE) 2023/5 della Commissione del 3 gennaio 2023; prima del grillo, la Commissione aveva autorizzato anche la locusta migratoria (Regolamento di esecuzione (UE) 2021/1975 della Commissione del 12 novembre 2021) e la larva gialla della farina Tenebrio molitor (Regolamento di esecuzione (UE) 2022/169 della Commissione dell’8 febbraio 2022). Il quarto insetto autorizzato dall’UE si chiama Alphitobius diaperinus, una specie di coleottero noto come verme della farina minore o scarabeo della lettiera. In Europa l’inserimento degli insetti nella dieta sta quindi procedendo con entusiasmo. Nonostante non si possano escludere effetti allergici e siano ignote le possibili conseguenze a lungo termine, l’EFSA (European Food Safety Authority), l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, con sede a Parma, ha dato parere positivo all’utilizzo della polvere di grilli per l’alimentazione umana, richiedendo che gli alimenti che la contengano siano adeguatamente etichettati, conformemente all’articolo 9 del regolamento (UE) 2015/2283. La polvere di grilli potrà entrare – come specificato dalla società vietnamita Cricket One Co. Ltd, la prima autorizzata a immetterla sul mercato europeo – «nel pane e nei panini multicereali, nei cracker e nei grissini, nelle barrette ai cereali, nelle premiscele secche per prodotti da forno, nei biscotti, nei prodotti secchi a base di pasta farcita e non farcita, nelle salse, nei prodotti trasformati a base di patate, nei piatti a base di leguminose e di verdure, nella pizza, nei prodotti a base di pasta, nel siero di latte in polvere, nei prodotti sostitutivi della carne, nelle minestre e nelle minestre concentrate o in polvere, negli snack a base di farina di granturco, nelle bevande tipo birra, nei prodotti a base di cioccolato, nella frutta a guscio e nei semi oleosi, negli snack diversi dalle patatine e nei preparati a base di carne, destinati alla popolazione in generale». Ovunque, praticamente.
In Italia opera la FUCIBO – Extra Ordinary Italian Food di Schio, Vicenza, che si vanta di fabbricare «i primi prodotti a base di insetti fatti in Italia!». “Fu Cibo”, appunto. Interessante la strategia comunicativa della ditta, che commercializza, tra gli altri prodotti, «Chips di mais estruso, cotte in forno ed aromatizzate alla pizza e al formaggio. Questa linea di prodotti è studiata appositamente per avvicinare il consumatore con qualcosa di estremamente riconoscibile, riducendo al massimo l’effetto psicologico indotto dall’assaggiare gli insetti per la prima volta» (grassetto mio). Sul sito l’azienda, alla domanda «perché gli insetti?», risponde così: «1. Gli insetti commestibili sono gustosi; 2. Gli insetti commestibili sono nutrienti; 3. Gli insetti commestibili sono versatili; 4. Gli insetti commestibili sono sostenibili; 5. Gli insetti commestibili si integrano nell’economia circolare». I punti 4 e 5, sono in realtà la vera motivazione che sta spingendo la nuova moda alimentare, giacché «Gli insetti sono molto più efficienti degli animali che attualmente alleviamo nel processare il cibo che assumono per trasformarlo in proteine. Per essere allevati hanno bisogno di poco spazio e poca acqua, si riproducono velocemente e il loro ciclo vitale comporta l’emissione di pochissimi gas serra […] facilmente collocabili all’interno di un’economia circolare, dove fungono da veri e propri trasformatori di scarti alimentari in nuove e preziosissime proteine». La mission dell’azienda è quella di «rivoluzionare il mondo del food e sconfiggere i luoghi comuni». Ad una domanda su Twitter di delucidazioni sul processo di lavorazione e sulla tipologia di insetti utilizzata, la Fucibo risponde che «i processi produttivi e le tecnologie utilizzate per l’allevamento degli insetti e l’ottenimento delle farine sono coperti da data-protection, perciò non divulgabili». Bando agli stereotipi, tuttavia: è un cibo davvero “stra-ordinario”.
La mania per gli insetti è divenuta una tendenza in forte crescita, spinta da interessi economici, dall’ideologia “ambientalista” più radicale e dalla politica. Perché gli insetti? Per “salvare il Pianeta dal riscaldamento climatico di origine antropica” – come ripete ossessivamente il mantra ecologista – non è sufficiente la transizione energetica, con la decarbonizzazione dei sistemi economici, ma occorre una più ampia transizione ecologica, che deve riguardare lo stile di vita e di consumo di tutti gli abitanti del Pianeta. In tale prospettiva, nell’Olanda del premier Mark Rutte, membro attivo del World Economic Forum di Davos, si è iniziato a chiudere gli allevamenti bovini e ad aprire alla produzione di carne e latte in laboratorio, partendo da cellule animali staminali moltiplicate industrialmente in reattori e stampate con stampanti 3D (nel caso della carne), per rendere il prodotto più realistico. Per chi non riesce a divenire vegano, o per lo meno vegetariano, la soluzione proposta è quindi quella del cibo Frankenstein, un termine da non usare in presenza di ecologisti radicali perché decisamente politically uncorrect, e quindi adeguato al reale. A complemento di ciò, la soluzione oggi proposta, e magari domani imposta, da parte dell’Unione Europea, è appunto l’introduzione degli insetti nell’alimentazione umana.
Non paghi di avere creato scarsità energetica con politiche industriali di sotto-investimento nei combustibili fossili (oltre al ripudio dell’energia nucleare), ora i governi si apprestano a creare anche scarsità alimentare, contribuendo così a far salire l’inflazione innescata in radice dalle proprie politiche monetarie e fiscali ultraespansive. Dove sta l’errore? Innanzitutto nelle premesse. L’ipotesi del riscaldamento globale di origine antropica, attribuita all’uso di combustibili fossili e agli allevamenti, è solo una “ipotesi”, che non trova consenso unanime tra gli scienziati; piace però ai politici, perché consente di aumentare il controllo, e alla finanza sostenibile,in quanto occasione di business. Entusiasma la base movimentista e il vertice costituito dal grande capitale economico e finanziario, con i media globali che fanno da cassa di risonanza per imporre la nuova narrazione. Beppe Grillo (nomen omen) già a giugno dello scorso anno proponeva di usare gli insetti, come «larve di mosca, vermi della farina, grilli, locuste, ecc.» nei menù delle mense scolastiche dei nostri figli, per ridurre le emissioni di anidride carbonica, nella prospettiva della sostenibilità.
Decidere politicamente dal centro e dall’alto di cambiare la cultura alimentare di interi popoli è assolutamente folle, e questo indipendentemente dal fatto che gli insetti, o la carne sintetica, siano o meno sicuri per l’alimentazione umana. Se tali iniziative fossero da attribuire a singoli imprenditori, dal basso, sarebbe sufficiente per i consumatori non acquistare tali prodotti. Se invece, come risulta evidente, si tratta di nuovi business aperti dalla politica, mossa da visioni ideologiche, il semplice esercizio della sovranità del consumatore non è più sufficiente. Il rischio, infatti, è che la politica, con incentivi, tasse e regolamentazioni, possa falsificare la concorrenza, alterando i prezzi relativi tra i vari prodotti, in modo da rendere la carne e il pesce un lusso per le persone abbienti, con l’obiettivo di cambiare i modelli di consumo. La reazione deve allora portarsi anche sul piano politico, oltre che culturale, contrastando la narrazione che cercherà di convincere le persone, spiegando che in fondo già ora esistono coloranti a base di insetti, o prodotti alimentari che in qualche modo li contengono, con l’obiettivo di renderli appetibili ai consumatori: è probabile che presto ricorreranno anche a testimonial, come già fatto con l’attrice Nicole Kidman, e influencer (magari Chiara Ferragni dal palco del Festival di Sanremo 2023?)per rieducare i consumatori, sempre in vista del maggior bene che è la sostenibilità ambientale.
Gli estremisti verdi dicono che, in fondo, l’alimentazione è solo un fatto culturale, il che in gran parte è anche vero, dimenticando però che è proprio la cultura a costituire l’identità dei popoli. È esattamente perché certi cibi sono estranei alla nostra cultura che è ideologico pensare di imporli dall’alto alla generalità della popolazione, anche se fossero, in tesi, sicuri da un punto di vista alimentare. In questi anni ci sarà chiesto, sempre di più, di rinunciare alle auto private, agli spostamenti in aereo, a riscaldare adeguatamente le nostre case – che dovremo comunque ristrutturare per adeguarle ai nuovi standard di emissioni decisi dall’UE – e ora anche di nutrirci di insetti come fanno gli uccelli. Torniamo quindi indietro di oltre un secolo, dove la carne era un lusso per ricchi ed entrava nelle mense delle famiglie normali assai di rado: la carne del futuro sarà quindi rigorosamente biologica e così costosa che solo pochi felici potranno permettersela. Come si può vedere nel famoso video “8 previsioni per il 2030” del World Economic Forum “The Great Reset: You’ll own nothing and be happy”, tra le varie cose che non avremo più – come la proprietà privata dell’automobile o magari anche dell’abitazione, la cui scomparsa ci renderà indubbiamente felici – ci sarà proprio la carne: «tu mangerai molta meno carne. Un piacere occasionale, non un’abitudine. Per il bene dell’ambiente e per la nostra salute». È importante evidenziare come da una visione ideologica, quella del catastrofismo ecologista, seguano conseguenze devastanti sul piano del benessere individuale e sociale, oltre che a livello di privacy e di libertà: nel 2035 sparirà probabilmente la seconda auto per famiglia ed entro il 2050, per i più, forse anche la prima; ci si sposterà poco; ci si nutrirà male; si faranno ancora meno figli. Una decrescita assai infelice, a mio avviso. Un Great Reset deciso dall’alto, per il nostro bene, sull’altare di Gaia: omnes dii gentium daemonia.
In contrasto, nel nostro Paese si è opportunamente levata la voce di molti esponenti del centro-destra e anche della Coldiretti, che ha dichiarato che introdurre insetti nell’alimentazione umana «solleva dei precisi interrogativi di carattere sanitario e salutistico ai quali è necessario dare risposte, facendo chiarezza sui metodi di produzione e sulla stessa provenienza e tracciabilità considerato che la maggior parte dei nuovi prodotti proviene da Paesi extra UE, come il Vietnam, la Thailandia o la Cina, da anni ai vertici delle classifiche per numero di allarmi alimentari». Giusto, ma è una critica insufficiente, perché non reggerebbe a fronte di una possibile dimostrazione che i novel foods sono davvero sicuri per l’alimentazione umana.
È qui che ci viene in soccorso il Pranzo di Babette. Il libro, e il magnifico film da cui è tratto, è ambientato in un piccolo e desolato villaggio danese, dove due anziane zitelle, le sorelle Martina e Filippa – così chiamate in onore dei due grandi protagonisti della cosiddetta Riforma protestante, Martin Lutero (1483-1546) e il suo amico Filippo Melantone (1497-1560) dal padre, un pastore protestante – guidano la piccola comunità da lui fondata dopo la sua morte, rinunciando alla propria vita nella povertà e nell’austerità per portare avanti la missione del decano. Come ha detto Papa Francesco – che considera il film uno dei suoi preferiti, tanto da citarlo nell’esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia, Amoris laetizia (n. 129) – «Le due sorelle appartengono a un mondo calvinista e puritano talmente austero che anche la redenzione di Cristo viene vista come una negazione delle cose di questo mondo. Era una comunità che non sapeva che cosa fosse la felicità. Viveva schiacciata dal dolore. Stava attaccata a una parvenza di vita. Aveva paura dell’amore». Le due sorelle ospitano una donna francese, Babette, di cultura cattolica, fuggita dalla Francia dopo i disordini della Comune di Parigi del 1871, dove aveva perso il marito, il figlio e gli amici: il momento clous è la cena preparata da Babette, che in passato era stata una grande cuoca a Parigi, e che decide di utilizzare l’intero ricavato di una grossa vincita alla lotteria nazionale per organizzare nell’occasione del centenario della nascita del fondatore della piccola comunità una cena suntuosa, con i cibi e i vini più costosi e raffinati, le migliori tovaglie e vasellame ricercato. Durante la cena, i convitati – dodici come gli apostoli – prigionieri da decenni di un’austerità triste e ripiegati su sé stessi, si aprono un po’ per volta mossi dalla bellezza e dall’incanto magico della serata conviviale; i loro freddi cuori rattrappiti, non tanto cattivi quanto tristi, si scaldano grazie alla condivisione di cibi e vini squisiti, aprendosi all’amicizia, alla bontà e alla bellezza. Iniziano a guardarsi, a sorridere, superano le discordie che li dividevano e alla fine danzano tutti insieme sotto la magnifica volta stellata, tenendosi per mano felici come bambini, per poi fare rientro, cambiati, alle proprie case. Senza minimamente rendersi conto dell’entità della spesa, della cura dei dettagli e della magnifica arte nascosta sotto piatti di cui ignoravano persino l’esistenza, i rigidi e freddi protestanti, grazie al mistero della bellezza e della bontà, si aprono alla vita. Che cosa ci insegna questo esempio di munificenza e creazione artistica, di ricerca della perfezione senza risparmiare e senza risparmiarsi? Che il pauperismo non è una virtù, innanzitutto, e che il cibo non è solo biochimica per sostenere il corpo bensì cultura e relazione per scaldare l’anima: l’arte culinaria e la cura del bello aiutano a vincere la malinconia e rappresentano un elemento non secondario o rinunciabile di una civiltà. Se andiamo a rivederci la scena centrale del film (qui, dal minuto 1:07:38) comprenderemo ancora meglio la follia del progetto dell’Onu e della Commissione Europea, sicuramente dannoso per l’anima e quindi inevitabilmente anche per il corpo, anche se, forse, non direttamente: un vero e proprio regresso antropologico, dell’uomo e della famiglia umana, ai livelli delle epoche preistoriche, un’ultima fase della barbarie. L’auspicio è che, almeno su questo punto, l’italiano abbia ancora coaguli sufficienti a reagire, a rompere l’incantesimo che ci sta ipnotizzando in questi ultimi anni: la sovranità alimentare parte dal consumatore, non compriamo questi prodotti, diciamo ai nostri di non farlo, e contrastiamo in tutte le sedi l’entomofagia promossa dall’agenzia ONU Food and Agricultur Organization (FAO) e dalla Commissione Europea.
Mercoledì, 18 gennaio 2023