Giovanni Paolo II, Cristianità n. 264 (1997)
Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, del 14-3-1997, nn. 1-5, in L’Osservatore Romano, 15-3-1997. Traduzione dall’originale in francese e titolo redazionali.
Una civiltà cristiana per i poveri e per i piccoli
«La sintesi della cultura e della fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede» (Lettera di fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio 1982). Proprio questo hanno realizzato i cristiani fedeli al Vangelo nel corso di due millenni nelle situazioni culturali più diverse. La Chiesa si è inserita molto spesso nella cultura dei popoli in mezzo ai quali si era stabilita, per modellarla secondo i princìpi del Vangelo. La fede in Cristo incarnato nella storia non solo trasforma interiormente le persone, ma rigenera anche i popoli e le loro culture. Così, alla fine dell’Antichità, i cristiani, che vivevano in una cultura alla quale dovevano molto, la trasformarono dall’interno e la permearono di uno spirito nuovo. Quando questa cultura fu minacciata, la Chiesa, con Atanasio, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno e molti altri, trasmise l’eredità di Gerusalemme, di Atene e di Roma per dar vita a un’autentica civiltà cristiana. Con le imperfezioni inerenti a ogni opera umana, fu l’occasione di una riuscita sintesi fra la fede e la cultura.
Ai nostri giorni, questa sintesi è spesso assente e la rottura fra il Vangelo e la cultura è «senza dubbio il dramma della nostra epoca» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 20). Si tratta di un dramma per la fede perché, in una società in cui il cristianesimo sembra assente dalla vita sociale e la fede relegata nella sfera del privato, l’accesso ai valori religiosi diviene più difficile, soprattutto per i poveri e per i piccoli, cioè per la grande maggioranza del popolo, che impercettibilmente si secolarizza, sotto la pressione dei modelli di pensiero e di comportamento diffusi dalla cultura dominante. L’assenza di una cultura che li sostenga impedisce a questi piccoli di accedere alla fede e di viverla pienamente.
Questa situazione è anche un dramma per la cultura che, a causa della rottura con la fede, attraversa una crisi profonda. Il primo sintomo di tale crisi è il sentimento di angoscia che proviene dalla coscienza della finitezza in un mondo senza Dio, dove si fa dell’io un assoluto e delle realtà terrene gli unici valori della vita. In una cultura senza trascendenza, l’uomo soccombe al fascino del denaro e del potere, del piacere e del successo. Prova così l’insoddisfazione causata dal materialismo, la perdita del significato dei valori morali e l’inquietudine dinanzi al futuro.
Tuttavia, al centro di una simile disillusione sussistono sempre una sete di assoluto, un desiderio di bene, una fame di verità, un bisogno di realizzazione della persona. […] In questa fine di secolo è fondamentale riaffermare la fecondità della fede nell’evoluzione di una cultura. Solo una fede fonte di decisioni spirituali radicali è capace di agire sulla cultura di un’epoca. Così, l’atteggiamento di san Benedetto, un patrizio romano che abbandonò una società invecchiata e si ritirò nella solitudine, nell’ascesi e nella preghiera, fu determinante per la crescita della civiltà cristiana.
Nel suo approccio alle culture, il cristianesimo si presenta con il messaggio della salvezza, ricevuto dagli Apostoli e dai primi discepoli, pensato e approfondito dai Padri della Chiesa e dai teologi, vissuto dal popolo cristiano, in particolare dai santi, ed espresso dai suoi grandi geni teologici, filosofici, letterari e artistici. Noi dobbiamo annunciare questo messaggio agli uomini di oggi in tutta la sua ricchezza e in tutta la sua bellezza.
La fede in Cristo dona alle culture una dimensione nuova, quella della speranza del Regno di Dio. I cristiani hanno la vocazione d’inserire al centro delle culture questa speranza di una terra nuova e di cieli nuovi. Infatti, quando la speranza svanisce, le culture muoiono. Ben lungi dal minacciarle o dall’impoverirle, il Vangelo apporta loro un supplemento di gioia e di bellezza, di libertà e di significato, di verità e di bontà.
Siamo tutti chiamati a trasmettere questo messaggio con un discorso che l’annunci, un’esistenza che lo testimoni, una cultura che lo faccia irraggiare. Infatti il Vangelo porta la cultura alla perfezione e la cultura autentica è aperta al Vangelo. Il lavoro consistente nel donarli l’uno all’altro dovrà essere costantemente ripreso.
Giovanni Paolo II