La tipica tenda mongola emblema del viaggio di Papa Francesco in un Paese molto lontano per chilometri e per cultura, ma in cui si trova comunque una piccola comunità cattolica
di Silvia Scaranari
Sperare insieme è il motto del 43° viaggio di Papa Francesco (per una breve sintesi rimando al prossimo numero della rivista Cristianità). Viaggio avvenuto in un Paese molto lontano per chilometri e per cultura, ma in cui il Papa ha potuto visitare una piccolissima comunità cattolica e intessere relazioni di dialogo con altre realtà religiose.
La Mongolia è un Paese immenso, circa 5 volte l’Italia, ma con poco più di 3 milioni di abitanti, in cui diventano realtà «gli interminati spazi», i «sovrumani silenzi» e la «profondissima quiete» di leopardiana memoria. Quello che colpisce più di tutto è l’immensa steppa – verde in estate e bianca in inverno – in cui lo sguardo veramente si perde e dove il silenzio regna sovrano. Si possono attraversare decine e decine di chilometri senza vedere assolutamente nulla oltre il verde dell’erba e poi, all’orizzonte, ecco comparire un piccolo gruppo di gher, segno di presenza umana e di attività lavorativa. Il contrasto rispetto al nostro mondo caotico e rumoroso, sempre illuminato per un uso smodato di corrente elettrica, frenetico e stressato, è evidente.
La tradizionale gher (simile alla yurta siberiana) è una casa mobile, ma stabile. La gher ha una struttura portante rotonda in legno, sollevata dal terreno e ricoperta da pelli, stoffe, sterpaglie, che formano blocchi di parete. Si smonta e si rimonta in un giorno, pronta ad accogliere la famiglia dopo le grandi traversate a cui costringe la ricerca di nuovi pascoli. All’interno, un unico ampio ambiente, al cui centro trionfa la stufa, che cuoce e riscalda; intorno, i letti e una madia. Null’altro, se non i tappeti su cui ci si siede, si mangia, si discute, si trattano gli affari, si gioca. In alto, cordicelle tese sorreggono pezzi di carne essiccata, latte secco o otri con latte acido di cammella o cavalla, fotografie e qualche amuleto. Non chiedetevi dove sono i servizi igienici, la risposta sarebbe una mano che indica gli ampi spazi intorno alla gher.
Al centro del soffitto a cupola, un foro per far entrare la luce e far uscire il fumo della stufa che riscalda e cuoce il cibo. Come ha sottolineato il Santo Padre, questa tradizionale abitazione porta gli abitanti a guardare verso il cielo, abitua ad una dimensione trascendente della vita perché la luce proviene dall’alto. Forse per questo il popolo mongolo è ricco di tradizione religiosa e vive una profonda dimensione spirituale dell’esistenza, nonostante il lungo dominio di governi comunisti abbia cercato di cancellare ogni fede.
Ma come ha sottolineato il Santo Padre, le gher «testimoniano inoltre il prezioso connubio tra tradizione e modernità; esse, infatti, accomunano la vita di anziani e giovani, raccontando la continuità del popolo mongolo, che dall’antichità al presente ha saputo custodire le proprie radici, aprendosi, specialmente negli ultimi decenni, alle grandi sfide globali dello sviluppo e della democrazia».
Dove c’è gher c’è allevamento di cavalli (bellissimi, veloci, forti) e di cammelli, in particolare il bactriato, alto, forte e prezioso per trasportare la casa, ma importante anche per la carne, il grasso, il latte e la lana, oppure, se si è fortunati, anche qualche capo di cammello selvatico, decisamente più piccolo e con pelo meno abbondante, tipico della Mongolia e della Cina settentrionale, di cui oggi rimangono poche centinaia di esemplari. I cavalli, i cammelli, le capre sono la ricchezza delle famiglie nomadi, tanto che uno dei film cult della non troppo ricca produzione cinematografica mongola è proprio Il cammello che piange, doppiato anche in italiano. La pellicola narra la storia di una famiglia nomade e del dramma vissuto con una cammella, che al suo primo parto, dopo due giorni di dolore, partorisce un cucciolo bianco. Il piccolo cammello non viene riconosciuto dalla madre, che si rifiuta di allattarlo, finché, dopo giorni di reciproca sofferenza, il dolce suono di uno strumento tradizionale riuscirà a ravvicinarli. Storia vera, ma anche dal profondo significato sulla sofferenza e sul valore salvifico della bellezza.
Il cammello è forte, ma l’eleganza e la velocità dei cavalli è un’altra cosa, ed è montando a pelo che i giovani mongoli mostrano la loro forza, la loro destrezza durante le feste tradizionali con i combattimenti simulati, le gare di corsa intervallate da danze nei costumi coloratissimi delle donne. Come ha più volte ripetuto il Papa, la Mongolia è un mix di modernità e tradizione, di speranza verso il futuro ma anche di ricordo di un passato di grandi guerrieri e grandi conquiste, dove si sono mescolate arte militare, diplomazia, capacità amministrative ma anche, spesso, forse troppo spesso, violenza, brutalità e massacri.
Martedì, 12 settembre 2023