Mons. Pizzaballa e mons. Mulla, due porpore per dire che la Terra Santa e l’Africa hanno bisogno dell’attenzione dell’Occidente, che non vuole più difendere la fede, ma che almeno dovrebbe difendere la libertà religiosa
di Silvia Scaranari
Mons. Pierbattista Pizzaballa e mons. Stephen Ameyu Martin Mulla sono stati insigniti ieri, in piazza san Pietro, a Roma, del titolo di cardinali di Santa Romana Chiesa. Tra i 30 giovani emeno giovani nuovi cardinali, mons. Pizzaballa e mons. Mullarivestono un significato particolare per la missione che stanno svolgendo, uno in Terra Santa, l’altro in Sud Sudan.
Il francescano Pierbattista Pizzaballa, nato a Cologno sul Serio(BG) nel 1965, emette professione perpetua nell’Ordine dei Frati Minori nel 1989 e l’anno successivo è ordinato sacerdote a Bologna dal card. Giacomo Biffi (1928-2015). Trasferito dall’ordine francescano a Gerusalemme, prosegue gli studi, conseguendo la licenza in teologia biblica, e continua lo studio di varie lingue semitiche presso la Hebrew University. Sempre a Gerusalemme, diventa poi professore di ebraico biblico.
Assegnato alla Custodia di Terra santa, ha dedicato gran parte del suo apostolato giovanile ai cattolici di lingua ebraica presenti in quella regione, diventandone Custode dal 2004 al 2016 (la più lunga custodia da quando esiste lo Stato di Israele). Dotato di grande pazienza e capacità diplomatica, è stato incaricato da Papa Francesco, nel 2014, di organizzare il delicatissimo incontro di preghiera fra il presidente israeliano Simon Peres, l’autorità palestinese Abu Mazen e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I.
Attento alla gestione del patrimonio ecclesiastico, affronta una grave crisi economica del Patriarcato di Gerusalemme dei latini dopo esserne stato nominato, nel 2016, amministratore apostolico e pro-gran priore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Costretto ad alienare parte dei beni per saldare i forti debiti contratti, nel 2020 cura il nuovo statuto del Patriarcato latino, con indicazioni sulla sostenibilità economica delle diverse realtà e attività: parrocchie, scuole, università, centri sanitari. Nello stesso anno Papa Francesco lo ha nominato patriarca di Gerusalemme dei Latini. Il 30 settembre 2023 gli ha consegnato la porpora cardinalizia.
Sorpreso della nomina a cardinale, lui stesso ha subito sottolineato l’importanza di questa scelta, non per la sua persona, ma per la comunità cristiana della “Chiesa Madre” di Terra Santa. L’entusiasmo della comunità è stato forte: è stata vista come un atto di particolare delicatezza del Santo Padre nei confronti dei cristiani di Terra Santa, ma anche la consegna di un importante compito di mediazione fra le parti. Nel passato, quando i cattoliciin Terra Santa erano una presenza significativa, c’era una convivenza pacifica con le altre confessioni religiose. Era vero in Africa ed era vero in Medio Oriente. Ma dopo la seconda guerra mondiale, la nascita di Stati nazionalisti, governi non sempre rispettosi della democrazia, oltre alla crescita del dissenso radicalista nel mondo islamico hanno portato ad un graduale deterioramento della situazione, che oggi vive momenti di grande tensione. Mons. Pizzaballa ha dimostrato con la sua ormai pluridecennale presenza in Terra santa di avere grandi capacità comunicative e dialogiche: a lui la delicata missione di riportare serenità anche fra ebrei e cattolici, dopo i recenti fatti che hanno visto aggressioni ripetute a danno dei cristiani in Israele. Il neo-cardinale, che si è detto molto contento delle parole dell’arcivescovo Gallagher all’ONU circa l’urgenza di un dialogo tra le parti in Terra Santa e di un nuovo focus sulla sacralità di Gerusalemme, non dimentica però anche l’aiuto che si deve portare alle diverse comunità della Siria, martoriate dalla guerra e dal terremoto. La recente consacrazione episcopale di Hanna Jalluof, primo vescovo di Aleppo di origini siriane, può essere un segnale della Provvidenza, che non dimentica mai i suoi figli.
La stessa importanza riveste la nomina a cardinale di mons.Stephen Ameyu Martin Mulla. Nato nel 1964 nella regione sud-orientale della Repubblica di recente creazione del Sud-Sudan, viene ordinato sacerdote nel 1991 e subito inviato a svolgere la sua attività a Khartoum (all’epoca capitale di tutto il Sudan, non ancora diviso). Dopo aver assunto diversi incarichi in diverse parrocchie sudanesi, nel 1993 è mandato a studiare a Roma, dove consegue il dottorato in teologia dogmatica nel 1997. Tornato in patria come docente del Seminario maggiore di Giuba, ricopre diversi incarichi e, nel 2019, viene consacrato vescovo, con l’assegnazione della diocesi di Torit e la scelta del motto Gioia nel Verbo eterno fatto carne. Dopo pochi mesi è promosso da Papa Francesco ad arcivescovo di Giuba.
Non si può nascondere che questa nomina ha suscitato qualche contestazione, anche vivace, causata dalla sua appartenenza all’etnia otuho, differente rispetto a quella bari, maggioritaria a Giuba. E’ inoltre il primo vescovo della diocesi a non appartenere ai Missionari comboniani, segno positivo per la dinamica Chiesa africana, ma come tutte le novità è anche fonte di qualche tensione. Nel febbraio di quest’anno ha accolto il Santo Padre nel suo viaggio apostolico in Sudan e nei prossimi giorni parteciperà al Sinodo dei vescovi in Vaticano.
La sua nomina a cardinale è certamente un’attenzione di Papa Francesco al dinamismo che anima la Chiesa in diverse aree dell’Africa sub-sahariana e centrale. Siamo di fronte ad una Chiesa che cresce con entusiasmo, che vive con profondità la sua fede, ma anche ad una Chiesa martire del XXI secolo per le tante difficoltà che incontra nelle zone in cui cresce l’islamismo armato, i governi mantengono e accentuano discriminazioni verso i cristiani, la criminalità comanda e l’autorità pubblica ha perso il controllo della situazione. Il nuovo cardinale, da quando è diventato vescovo, ha più volte denunciato le atrocità commesse contro i civili sud-sudanesi e la lentezza del processo di pace, discorso che ha ripetuto anche nel saluto al Papa durante la Messa da questi celebrata al Mausoleo di John Garang, di fronte al presidente Salva Kiir e al suo rivale RiekMachar.
La Terra Santa e l’Africa hanno bisogno dell’attenzione dell’Occidente, che non vuole più difendere la fede, ma che almeno dovrebbe difendere i diritti umani fondamentali, tra cui la libertà religiosa.
Martedì, 3 ottobre 2023