La risposta ad un mondo che nega, ridicolizza ed emargina la fede è un rinnovato spirito missionario, per raggiungere tutti senza preclusione alcuna, ma senza nulla disperdere, al contempo, del millenario deposito della fede. Ne parla in un recente discorso proprio Papa Francesco
di Daniele Fazio
A partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965), il Magistero della Chiesa ha messo sempre più a tema, fatta salva la ricchezza e l’intangibilità del deposito della fede, la riflessione circa le modalità e i linguaggi da impiegare per trasmettere all’uomo di oggi il Vangelo, attraverso un’opera di discernimento della cultura moderna e oggi post-moderna.
Il processo di dialogo e confronto con il mondo ha segnato anche diverse tensioni all’interno del corpo ecclesiale, tra correnti che hanno in vario modo ceduto a logiche di compromesso e annacquamento della fede e correnti che si sono irrigidite in nome di una tradizione che, in definitiva, si vuole contrapposta al Magistero ecclesiale.
La via della Chiesa del nostro tempo, però, è segnata da una felice espressione, coniata e resa viva – nell’insegnamento e nella prassi pastorale – da san Giovanni Paolo II (1978-2005) e “istituzionalizzata” da Papa Benedetto XVI (2005-2013) con un Pontificio Consiglio. Tale sintagma è “nuova evangelizzazione”, ossia un rinnovato annuncio del Vangelo diretto a quelle terre di antica cristianizzazione che ora, sia pur con diversa intensità, hanno subito il processo della secolarizzazione.
L’orizzonte della nuova evangelizzazione riguarda primariamente l’Occidente, che oggi sta vivendo non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Su questo crinale, va compreso il pontificato, ormai decennale, di Papa Francesco, inaugurato, proprio a tal proposito, con un’Esortazione apostolica dal significativo titolo Evangelii gaudium. Naturalmente una tale “conversione missionaria” deve essere recepita, compresa ed incarnata dal corpo ecclesiale e ciò implica, oltre le tempistiche umane, soprattutto preghiera, formazione e comunione innanzi a continue spinte disgreganti.
Tenuto contro di questo scenario, credo possa costituire un elemento di apprezzabile chiarezza il discorso che il Santo Padre ha tenuto ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Dicastero della Dottrina per la Fede (26 Gennaio 2024).
Citando il predecessore, il Papa ha ricordato che in vaste aree del pianeta la fede non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi viene negata, emarginata e ridicolizzata. Ragion per cui «è tempo […] di riflettere nuovamente e con maggiore passione su alcuni temi: l’annuncio e la comunicazione della fede nel mondo attuale, specialmente alle giovani generazioni; la conversione missionaria delle strutture ecclesiali e degli agenti pastorali; le nuove culture urbane, con il loro carico di sfide ma anche di inedite domande di senso; infine e soprattutto, la centralità del kerigma nella vita e nella missione della Chiesa».
Assieme alla centralità della fede e dell’evangelizzazione ad essa connaturata, il Santo Padre ha fatto riflettere ulteriormente su altre due parole: sacramenti e dignità. Mediante i primi i credenti diventano «capaci di profezia e di testimonianza», mentre l’evocazione del termine “dignità” ha richiamato le implicazioni pubbliche della fede – presenti certamente nel patrimonio della dottrina sociale – ed in particolare l’attenzione cruciale al primato della persona umana e alla necessità di difenderne la dignità in ogni circostanza.
In questa cornice, il Pontefice ha ulteriormente voluto esplicitare il senso della recente e dibattuta Dichiarazione Fiducia supplicans, il cui intento «è quello di mostrare concretamente la vicinanza del Signore e della Chiesa a tutti coloro che, trovandosi in diverse situazioni, chiedono aiuto per portare avanti – talvolta per iniziare – un cammino di fede», per cui non viene benedetta l’unione irregolare, bensì le persone che fanno richiesta di questa vicinanza della Chiesa con un atto che non ha carattere liturgico e tiene conto dei contesti, delle sensibilità e dei luoghi in cui si vive: «quando spontaneamente si avvicina una coppia a chiederle, non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che insieme ne hanno fatto richiesta. Non l’unione, ma le persone, naturalmente tenendo conto del contesto, delle sensibilità, dei luoghi in cui si vive e delle modalità più consone per farlo».
Allargandosi giornalmente le dimensioni delle periferie esistenziali, frutto di un mondo che per molto tempo ha visto come nemici Dio e la legge naturale, il processo di conversione cui tutti gli uomini sono chiamati implica quindi un complesso, ma quanto mai necessario annuncio graduale – e sofferto – della verità e del bene con nuovi linguaggi, metodi e ardore, perché «ciò che per noi è essenziale, più bello, più attraente e allo stesso tempo più necessario è la fede in Cristo Gesù».
Domenica, 28 gennaio 2024