Religione fai-da-te e mysterium iniquitatis: due considerazioni da aggiungere nella molteplice lettura di un fatto di cronaca nera avvenuto nelle settimane scorse in Sicilia
di Daniele Fazio
L’episodio, triste e orribile, avvenuto di recente ad Altavilla Milicia, a pochi chilometri da Palermo, in cui un padre, Giovanni Barreca – aiutato dalla figlia primogenita e da una coppia di amici –, per giorni ha torturato la moglie e gli altri due figli, fino ad ucciderli con motivazioni misticheggianti, ha attirato l’attenzione dei media nazionali, innescando, come in casi analoghi, un colorito dibattito.
Ci sono stati i soliti tuttologi, che hanno ammannito da un lato toni allarmistici circa presenze massicce di sette, per cui urgerebbe una legislazione in merito, e dall’altro accuse non tanto velate di complicità ai contesti sociali in cui i fatti sono avvenuti, secondo un cliché pregiudizievole per cui “siciliano” equivale sempre ad “omertoso”.
Ma vi è stato anche lo spazio per esperti di vari campi – sociologia delle religioni, psichiatria, criminologia – che con la propria competenza hanno cercato di interpretare l’accaduto. La vicenda è senza dubbio complessa, appaiono e si sovrappongono molteplici cause – dal disagio psichico alle problematiche economiche del nucleo familiare – e ancora tanto rimane da decifrare non solo in quanto alle dinamiche, ma soprattutto relativamente all’eziologia.
Due considerazioni, comunque, possono essere aggiunte nel quadro della faticosa comprensione del fatto inquietante: una di carattere culturale e l’altra di carattere metafisico-spirituale.
La prima inerisce il rapporto tra fede e ragione. Gli autori delle sevizie e degli omicidi, a quanto pare, giustificano il loro operato con un fine benefico, ossia la liberazione dei parenti, ritenuti posseduti dal diavolo. Palesemente siamo innanzi ad una suggestione “religiosa”, forse alimentata da disturbi psichici, che però appare pienamente alimentata da un atteggiamento fideistico, ossia da una visione secondo cui la ragione – che è parte fondamentale e specifica dell’essere umano – debba essere sospesa o subordinata al dettato di fede. Ipotizzando per assurdo, infatti, che i parenti fossero posseduti, la via della liberazione non potrebbe mai coincidere con quella della tortura e della morte. Ma la questione è ancora più radicalmente problematica, in quanto questa operazione “esorcistica”, pur nutrendosi di un linguaggio mutuato dal pentecostalismo – senza colpa alcuna di tali comunità evangeliche –, proveniente dal background dei soggetti in questione, si scopre in fin dei conti essere il frutto di una religione fai-da-te: la suggestione pseudo-mistica degli organizzatori della strage.
Siamo innanzi ad un caso in cui è stato annichilito, in nome dell’autoreferenzialità, l’esercizio razionale, che permette di discernere il bene e il male. In fondo, Giovanni Barreca era il dio di se stesso. Non si deve dimenticare, pertanto, che la disarticolazione tra la fede e la ragione e l’interpretazione oppositiva tra le due istanze è un fenomeno culturale presente da secoli, quale dogma laicista, nel contesto secolarizzato dell’Occidente, che non solo ha prodotto razionalismo e ateismo, ma ha prodotto e produce, oggi più che mai – complice una società atomizzata in cui ognuno crede di essere la “verità” –, soprattutto un’enorme confusione e disorientamento. In tale alveo, credenze più o meno complottistiche, stuzzicate dal periodo pandemico e veicolate a mezzo social, sono assunte senza un adeguato discernimento. Nella maggior parte dei casi ciò non sfocia in alcun reato, ma in alcuni sì.
È sempre, dunque, importante ricordare che non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. Ciò significa che omicidi, sopraffazioni, violenze e offese varie alla dignità dell’uomo non possono essere giustificate mai in nome di un atto religioso, in particolar modo cristiano.
La seconda considerazione inerisce ad una sfera più profonda: la presenza, l’azione e la comprensione del mysterium iniqutatis, ossia del mistero del male negli uomini e nella storia. A tal proposito, lascia amaramente stupefatti la freddezza, la lucidità, la convinzione – ad oggi per nulla scalfite da quello che si sa dalla cronaca – dei protagonisti della mattanza di Altavilla, tanto appunto che si resta increduli nel ricondurre a cause semplicemente umane l’avvenimento.
Nelle culture antiche e nei primi approcci filosofici alla descrizione della realtà e dell’esistenza umana vi è una sostanziale assonanza nel ricondurre il male ad una catastrofe morale originaria. Possiamo rintracciare un mito o una teoria inerente a una sorta di cortocircuito o separazione da una perfezione iniziale che ha fatto sprofondare il mondo, l’uomo e la sua storia in un sistema di decadenza e fragilità, per cui sofferenze fisiche e morali, disordini ambientali e conflitti umani ne sono una conseguenza.
La lettura cristiana circa il male aiuta a comprendere come esista un mistero del male a partire da un momento preciso: il peccato originale. Tale dogma, a cui solo in parte possiamo accedere con una decodificazione meramente razionale, è tematica tutt’ora di discussione anche tra filosofi, psicoanalisti e teologi (cfr. C. Schönborn-A. Görres-R.Spaemann, Tutta colpa loro? Un filosofo, un teologo e uno psicoanalista a confronto sul peccato originale, tr.it. A. Leopoldi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2008).
Ogni uomo fa esperienza di essere attraversato nella sua interiorità da un immane lotta tra il bene e il male, per cui continuamente deve optare per l’uno e combattere l’altro.
La filosofia moderna, inchiodandosi nella dialettica naturalismo-spiritualismo, nonostante abbia analizzato ripetute volte le sfaccettature del male, escogitando alternative alla dottrina del peccato originale, è giunta in definitiva al risultato paradossale della negazione del male stesso. Il richiamo al peccato originale e al mysterium iniquitatis, dunque – anche spinti da questa triste vicenda –, è il quadro metafisico-spirituale che non può sfuggire.
Il male, poi, non è un qualcosa di fumoso, ma è l’azione di una creatura ben precisa – il diavolo – che per odio a Dio spinge o meglio tenta l’uomo – con l’arte della menzogna e della falsificazione – a sostituire Dio, la ragionevolezza, il bene con vari idoli o surrogati, di cui il primo è l’io stesso. Su tale argomento, il magistero dell’attuale Pontefice, sin dal suo incipit, è ricco di riferimenti e richiami.
Dal momento che l’uomo non è un essere deterministico, la sua libertà gioca dunque un fattore fondamentale e le azioni – imputabili moralmente – possono sempre prendere declinazioni variabili: il male come il bene vanno scelti, e la scelta del male in questo scellerato fatto di cronaca appare in tutta la sua cruda evidenza. Prendere atto della propria natura razionale, invece, significa superare il proprio egocentrismo, l’autoreferenzialità, in modo tale da conquistare una verità fondamentale: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te.
Nell’ordine della fede, per i cattolici, inoltre, i termini della lotta contro il male stanno nei sentieri del bene, che potenziano la via della ragione, si percorrono aprendosi alla potenza dell’amore scaturito dalla croce di Cristo e di cui si fa esperienza con i sacramenti, la preghiera, la formazione e la vita comunitaria.
L’epilogo di questa storia, ancora con non pochi tratti sconosciuti, speriamo tutti che si possa svolgere all’insegna della grande speranza deducibile dal celebre versetto neotestamentario «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
Martedì, 27 febbraio 2024