Barbara Balzerani è morta, ma non la mitologia sugli Anni di piombo, portata avanti anche dal cattolicesimo democratico
di Renato Veneruso
Lo scorso 4 marzo è morta Barbara Balzerani, ai più giovani nota -se del caso- quale scrittrice (così viene, tra l’altro, presentata da Wikipedia), invero ben più significativamente protagonista dei cd. ‘Anni di piombo’, in quanto affiliata alle Brigate Rosse – BR, organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra costituitasi nel 1970 per propagandare e sviluppare la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo, di matrice marxista-leninista, il più potente il più numeroso e il più longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra esistente in Europa occidentale.
La giovane laureata in filosofia di Colleferro, di formazione cattolica, scrupolosa insegnante di disabili presso un asilo romano, dopo avere militato in Potere Operaio, aderisce alla metà degli anni ’70 alla lotta armata delle BR e partecipa al commando che rapisce, il 16 marzo 1978, l’on. Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana – DC, ammazzando i cinque agenti della scorta, rapimento che segna l’apice, con il successivo assassino dell’esponente democristiano il 9 maggio dello stesso anno, dell’attacco allo Stato dell’organizzazione militare sovversiva.
Arrestata solo nel 1985, la ‘primula rossa’ delle BR, dopo essere stata condannata all’ergastolo per l’omicidio del già sindaco di Firenze, Lando Conti, ha ottenuto, pur non avendo mai formalmente abiurato alla lotta armata né, soprattutto, dichiaratasi pentita per i crimini efferati di cui si è personalmente macchiata, la liberazione, prima condizionale nel 2006 poi definitiva nel 2011, dedicandosi poi appunto alla scrittura di romanzi di discreta diffusione e successo
Nella generale scarsa attenzione che il dibattito culturale e politico ormai dedica agli anni ‘70, la sua morte non avrebbe probabilmente avuto grande risalto se non fosse intervenuto l’elogio funebre dedicatole dalla docente di Filosofia teoretica all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, Donatella Di Cesare: «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna» (dal titolo di uno dei più famosi romanzi della Balzerani), questo il tweet della filosofa, allieva di Hans Gadamer ed esponente del decostruzionismo di Derrida, di impostazione rigidamente e dichiaratamente marxista.
Alle proteste contro tale intervento da parte di alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di governo e, soprattutto, alla procedura disciplinare a cui è stata sottoposta dal consiglio accademico, si è accompagnata la più sobria lettura di rappresentanti dello stesso mondo di intellettuali di sinistra che -come nel caso dello storico Giovanni De Luna- hanno inteso comunque celebrare la bontà dei risultati ottenuti con le lotte degli anni ’70: «Quel periodo fu bruciante, intenso e proprio grazie alla sua carica progettuale, riuscì a svecchiare le strutture profonde della nostra società, sottraendole alla cappa oscurantista del clerico-fascismo (il referendum sul divorzio nel 1974, la legge sull’aborto nel 1978), avviandone una riorganizzazione profonda che coinvolse le fabbriche e le scuole, gli ospedali e i manicomi, le carceri e le caserme: la legge Basaglia, lo Statuto dei Lavoratori, i decreti delegati, i consigli di fabbrica e di quartiere, la sanità pubblica».
Il problema, allora, fu solo l’‘eccesso’ dei “compagni che sbagliano” (come da nota citazione di Giorgio Bocca) nel ritenere necessario il ricorso alla lotta armata ai poteri dello Stato ed alla organizzazione terroristico-militare delle rivendicazioni rivoluzionarie ispirate al modello social comunista, che si voleva imporre anche in Occidente?
Sembra voler dare ragione a tale interpretazione, con apparente paradosso, una delle discepole più devote di Aldo Moro, Rosy Bindi, esponente cattolico di spicco dei partiti (dal PPI – Partito Popolare Italiano, erede della Democrazia Cristiana – DC all’alba della ‘seconda’ Repubblica, dopo la caduta del muro di Berlino, al Partito Democratico – PD), in cui l’esperienza del democratismo cristiano si fonde con la tradizione comunista del PCI – Partito Comunista italiano, nelle cui fila milita assumendo anche importanti incarichi ministeriali durante i governi del prof. Romano Prodi e dell’on. Massimo D’Alema.
L’augusta esponente del cattolicesimo democratico afferma, infatti, riguardo al tweet della Di Cesare: «Anch’io appartengo alla generazione degli anni Settanta. E ho vissuto, come molti altri, le passioni e le speranze di un protagonismo giovanile che progettava il futuro e si batteva per un mondo più giusto. Ma quella stagione se va posta sotto il segno della rivoluzione, come sembra indicare Di Cesare, andrebbe almeno considerata come la stagione di una rivoluzione tradita. Tradita proprio dalle Brigate Rosse che scelsero la politica guerreggiata e la lotta armata (…). Sarebbe infatti sbagliato identificare gli anni settanta con gli anni di piombo, dimenticando alcune leggi di attuazione dei princìpi costituzionali: pensiamo alla nascita delle Regioni, allo Statuto dei Lavoratori, alla parità tra uomo e donna nel nuovo diritto di famiglia, alla legge sul divorzio, ai decreti delegati nella scuola, all’abolizione dei manicomi con la Legge Basaglia, all’istituzione del Servizio Sanitario nazionale…». Per, infine, concludere: «Per questo sono un pessimo esempio i tentativi di revisionismo storico della destra, oggi al governo, che tende a rimuovere le responsabilità del terrorismo nero e a intimidire chi esprime opinioni diverse ancorché sbagliate».
Orbene, a parte la considerazione che l’intimidazione alla prof. Di Cesare è invero provenuta dall’ambito accademico, in nome del politicamente corretto e della censura propria della cancel culture che esso esprime in distillato, non sarà forse il caso di cominciare veramente a studiare il settimo decennio dello scorso secolo, proprio nella prospettiva -correttamente storiografica- di sottoporre a revisione i giudizi storici che lo riguardano, allo scopo di non accontentarci di dare per scontato che, salvi i suoi ‘buoni’ contenuti rivoluzionari, si possa provare disagio soltanto davanti alle modalità violente con cui alcuni pretendevano di fare la Rivoluzione? Non è forse il caso di interrogarsi se non sono state, piuttosto, proprio le riforme di ‘struttura’, che gli odierni alfieri del pensiero rivoluzionario vantano come le conquiste sociali e culturali degli anni ’70, a determinare l’attuale stato di profonda crisi politica e sociale, che connota l’essenza stessa degli individui, afflitti da quella Rivoluzione in interiore homine (la IV Rivoluzione di cui parla il pensatore controrivoluzionario Plinio Correa de Oliveira nel suo testo base Rivoluzione e Controrivoluzione), e ha prodotto una vera e propria trasformazione antropologica dell’uomo occidentale e cristiano?
Martedì, 26 marzo 2024