Poteva finire come nei casi Gard, Evans e Gregory: invece vediamo medici inglesi collaborativi con quelli italiani, supportati dalla tempestiva azione del governo italiano
di Chiara Mantovani
Un bambino appena nato, ma già in seria difficoltà; un aereo militare che lo va a prendere a Bristol, in Inghilterra, dove l’ospedale in cui è ricoverato accetta la collaborazione offerta dall’Ospedale Bambino Gesù: proveranno, i medici italiani, ad operare il suo piccolo e già malandato cuore. Poteva essere una storia triste come tante altre, scorrere nel silenzio del dolore familiare e privato, oppure poteva finire sui giornali tra mille polemiche e falsi pietismi, come nel passato prossimo e remoto. Invece, una discreta e asciutta nota di Palazzo Chigi e un magistrale articolo di Francesco Ognibene su Avvenire ci hanno raccontato di una collaborazione sana, deontologicamente esemplare, tra medici inglesi ed italiani; con la carità senza confini dell’ospedale per i bambini che porta il nome del Bambino per antonomasia, si mantiene accesa la speranza di una famiglia; grazie alla disponibilità di un governo che non si tira indietro per provare a salvare anche una piccola vita, un’ambulanza letteralmente ‘vola’ a migliaia di chilometri di distanza.
Basteranno tutte queste buone volontà, queste eccellenze operative, queste risorse dispendiose a salvare la vita di D.M.? Non solo non lo sappiamo, né alcuno può garantirlo, ma nessuno si scandalizzi: da adesso in poi il risultato non dipende più da noi.
Era questo preoccuparsi, decidere per la vita, agire tempestivamente, collaborare lealmente senza particolarismi né supponenze, ascoltare una invocazione di aiuto, avere nel proprio modo di pensare la profonda persuasione che di ogni persona umana è sempre possibile ‘prendersi cura’, questo è il primo e grande risultato positivo.
Il realismo dei medici romani è un fondamento etico: non siamo dei fenomeni, sembrano dire a chi li intervista, abbiamo un traguardo ben preciso, «un primo intervento combinato di cardiologia interventistica e cardiochirurgia per aumentare le chance di sopravvivenza del bambino e migliorare la sua qualità di vita». ‘Solo’ questo per un tale spiegamento di forze? Già, proprio quello che il buon vecchio Ippocrate aveva in mente: intanto non lo danneggiamo, non lo facciamo fuori, non lo abbandoniamo. Chissà, mentre vediamo di farlo star meglio, magari guarisce! C’è umiltà, senso della misura, onestà intellettuale. In più, oltremanica, il coraggio di superare protocolli operativi che stabiliscono rigidi parametri vantaggiosi per ‘curare’. Una capacità di coraggio davvero sopraffina, di questi tempi.
E poi c’è il dolore di due genitori, non magicamente risolto, ma caritatevolmente condiviso: “eccoci, ci siamo”. Si illudono? Noi abbiamo regalato false speranze? O piuttosto loro hanno sperimentato che a qualcuno importava del loro bambino? Scrive Francesco Ognibene: «“Sia mia moglie che io abbiamo il cuore che trabocca di gioia per quanto sta accadendo”, dice il papà, che ringrazia Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano, la nostra diplomazia, l’Aeronautica militare. E anche i medici inglesi, “per aver seguito nostro figlio e aver autorizzato il trasferimento senza frapporre ostacoli”».
Quando sentiamo parlare di solidarietà, di accoglienza, di condivisione dobbiamo sempre contemplare un volto, una situazione, un dolore, e provare a risolvere quella, piccola forse, non famosa forse, misconosciuta forse, singola prova difficile. Altrimenti, il resto è demagogia.
In questa piccola storia,il finale tutto da scrivere – che ci auguriamo e preghiamo sia felice – in fondo non è la parte più decisiva: come i poveri, che avremo sempre con noi, anche i malati, i bimbi, gli anziani saranno fino alla fine dei tempi affidati alle nostre cure.
Ma noi ci saremo per loro?
Sabato, 27 aprile 2024