Silvia Scaranari, Cristianità n. 431 (2025)
Il Medioevo è un’epoca che non smette di sorprendere chi si accosta alla sua scoperta senza pregiudizi e senza chiusure mentali.
Grande epoca di santi e di peccatori, con alcune stelle che illuminano i suoi secoli e che possono insegnare a noi, uomini moderni e spesso presuntuosi, il senso profondo della vita.
Grazie a un romanzo, non recentissimo, dello scrittore e poeta Davide Rondoni (1) è emersa la figura di un monaco, Hermann (Ermanno) di Reichenau (1013-1054) noto nel secolo XI con l’appellativo di miraculum saeculi.
Hermann nasce nel 1013 come sesto figlio di Eltrude e Wolverad (Goffredo) di Altshausen, capo di una potente famiglia della Svevia, imparentata con l’imperatore Enrico II il Santo (973-1024). La sua nascita è percepita come una disgrazia, quasi un «castigo divino», perché il piccolo è deforme, probabilmente affetto da palatoschisi, paralisi cerebrale e spina bifida. Il padre vive una profonda tragedia che gli lacera l’anima: i migliori pronostici danno poca vita e le usanze del tempo, ancora un po’ paganeggianti, consigliano di sopprimere la creatura il più presto possibile perché «i dolori di una cancrena, se non si procede con l’amputazione, possono solo aumentare». Angosciato dalla decisione da prendere, Wolverad ha però la risposta pronta: «Mio figlio non è una cancrena» (2).
Prendere una decisione è pesante, ma Dio non approva le usanze degli antenati e quindi Hermann vivrà; non a corte ma affidato all’abbazia benedettina di Reichenau fondata nel 724 dal monaco san Pirmino (670-753) sull’omonima isoletta del lago di Costanza. Qui resterà tutta la vita ricevendo amorevoli cure e un’eccellente educazione. Se il suo corpo è deforme tanto da essere soprannominato «il contratto», la mente è brillante e fin dai primi anni dimostra grande interesse e curiosità, con una predisposizione per la musica e un grande amore per le stelle.
La prima osservazione che sorge spontanea riguarda proprio il secolo XI, per alcuni uno dei secoli bui dell’Età di Mezzo, epoca di barbarie e superstizioni, di crudeltà e di potere. Il caso di Hermann mostra, invece, quanto il Medioevo sapesse essere accogliente e partecipe delle sofferenze e difficoltà dell’uomo. Le abbazie benedettine, che hanno svolto un ruolo determinante nell’evangelizzare l’Europa, non si sono limitate alla predicazione ma, guardando l’opera del Creatore, l’hanno organizzata, hanno svolto un’opera immensa di organizzazione agricola, di allevamento, di canalizzazione delle acque, in breve, si sono presi cura della terra. Seguendo il motto «Ora et labora» hanno lavorato, insegnato a lavorare e conservato la cultura greco-latina nelle sempre più ampie biblioteche, accompagnando la raccolta e custodia dei testi con il loro studio, la loro interpretazione, la loro copiatura in centinaia di esemplari, e insegnando a migliaia di giovani, popolani e aristocratici, a fare altrettanto.
Dal secolo VI — con la fondazione di un monastero a Montecassino, nel 529, da parte di san Benedetto da Norcia (480-547) — hanno cambiato il volto di un’Europa devastata dalle ultime guerre romane e poi dalle invasioni barbariche, trasformandola in un’Europa ordinata. Con lo sguardo volto a Dio hanno dato buona economia, cultura diffusa e soprattutto fede. Inoltre, i monasteri sono stati luoghi di vero esercizio della carità cristiana. Le mense dei poveri non sono un’invenzione moderna: già nel Medioevo i più poveri sapevano di trovare una pagnotta o una minestra dai monaci. La carità si esercita però non solo nelle opere materiali ma anche nell’assistenza, nell’accoglienza, nella guida, nell’educazione verso le persone in difficoltà, ed è questo il caso del giovane Hermann.
Le sue difficoltà fisiche erano molto invasive: gambe debolissime per sorreggerlo, impossibilità a stare con il busto eretto, parola lenta e sempre faticosa, ripetute crisi respiratorie, ma il saggio abate Breno (o Bernone) (3) si rende presto conto che in quel corpo «contratto» brilla una mente eccezionale. Lo affida alle cure dei confratelli Kerung e Burcardo, famosi studiosi dell’epoca, che gli insegnano la matematica, l’astronomia, la musica, la poesia, la storia e la liturgia. Hermann apprende tutto e memorizza con una facilità sorprendente diventando presto autonomo nello studio. Il suo carattere gioviale, nonostante le costanti sofferenze, gli garantisce l’amicizia e la solidarietà di molti altri giovani ospiti dell’abbazia, i quali lo circondano con tali premure che riusciranno ingegnosamente a costruire una sedia speciale per permettergli di stare seduto. Fra questi un ruolo speciale ha Bertold (1030-1088), un po’ più vecchio e di umili origini, che gli sarà accanto sino alla fine. Lo sostiene durante le crisi notturne, trascrive le sue scoperte e riflessioni riuscendo a seguirne la faticosa esposizione, segue con lui il noviziato ed entrambi diventeranno monaci. Davide Rondoni, nel suo romanzo, con un tocco di vera poesia sintetizza così la situazione del giovane Hermann: «il carattere con cui Dio ha scritto la figura di Hermann sembra adeguato al corpo sgrammaticato che ha. Dolore laminato d’oro» (4).
Innamorato del cielo stellato, non smette di osservare e studiare, donando ai posteri opere di astronomia in parte perdute (5). Da quel poco che ancora oggi si conosce dei suoi scritti di astronomia si deduce che conoscesse il De compositione astrolabii di Masha’allah ibn Athari (6) e che avesse una rudimentale conoscenza dell’arabo. Questo elemento è di fondamentale importanza, perché attesta la conoscenza di testi arabi in Germania già nel secolo X, retrodatando le prime traduzioni di oltre un secolo. Anche se incerta, la tradizione gli attribuisce la suddivisione delle ore in minuti.
Amante anche della storia, scrive cronache del suo tempo e racconta le gesta eroiche del popolo germanico; inoltre, ha una sensibilità particolare per la musica e la liturgia. Nell’Opuscula musica (De musica e De monochordo) introduce un nuovo sistema di scrittura per le note e i loro intervalli (7).
Tutti conoscono il Salve regina, una delle preghiere mariane più diffuse, più recitate e cantate nel mondo, ma forse pochissimi sanno che fu proprio il monaco Hermann a comporre le parole e a musicarla, inizialmente con l’esordio in Ave Regina caelorum,poi modificato, unitamente all’Alma Redemptoris Mater. Per nulla geloso del suo sapere, si prodiga nel formare decine di discepoli a cui trasmette l’amore per la cultura. Per tutto ciò, e forse per altro che non conosciamo, venne soprannominato miraculum saeculi e la sua fama superò i confini del monastero tanto da arrivare alla corte papale e alla corte imperiale. Al monastero giungevano nobili e gente comune per avere da lui consigli non solo di vita spirituale ma anche di condotta politica. Pure l’imperatore Enrico III di Franconia (1016-1056) durante la visita a Reichenau, nel 1048, ne elogiò la saggezza e la prudenza, imitato un anno dopo da Papa Leone IX (1048-1054), anche lui ospite del monastero.
Hermann muore a Reichenau nel 1050, colpito da una pleurite che gli «brucia il fiato» e viene sepolto ad Altshausen, presso la casa paterna. L’amico Bertold racconta che Hermann, dopo dieci giorni di sofferenze, pensando all’Hortensius di Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), concluse che «tutto il mondo presente e tutto ciò che ad esso appartiene, questa stessa vita mortale era divenuta meschina e tediosa e, d’altra parte, il mondo futuro, che non avrà termine, e quella vita eterna, sono divenuti indicibilmente desiderabili e cari, così che io considero tutte queste cose passeggere non più dell’impalpabile calugine del cardo» (8).
Subito si diffuse la fama della sua santità e divenne oggetto di devozione popolare nonostante la contrarietà del vescovo locale. Proclamato beato nel 1863 dal beato Pio IX (1846-1878), la Chiesa cattolica ne fa memoria liturgica il 24 settembre. La sua tomba è oggi persa, ma alcune reliquie sono conservate ad Altshausen e a Zurigo.
La vita di Hermann è stata dolorosa e faticosa, ma di lui si dice che fosse sempre gioioso e aperto all’aiuto verso gli altri. Nonostante le sue indicibili difficoltà era illuminato interiormente da una granitica fede e da grande fiducia in Dio, che lo aiutano a vedere il bene che c’è in lui, il deforme, il «contratto», e la grazia che il Signore gli elargisce ogni giorno per vivere una vita interiore profonda che supera i suoi limiti fisici: esempio di come Dio sappia usare le fragilità umane per un bene superiore ed esempio ancora oggi per tutti di dove possono portare la fede e il fiducioso abbandono alla volontà del Padre.
La sua vita è anche l’occasione per un salto nel Medioevo, quello vero, non dei pregiudizi e della leggenda nera. In un’epoca come la nostra, che parla tanto di rispetto per le diversità e di accoglienza per i diversamente abili e poi si macchia di terribili delitti nei confronti dei non nati o delle persone più fragili, la vita di Hermann ricorda che vi fu un tempo in cui si sapeva veramente accogliere e accompagnare il più fragile: era un tempo in cui l’amore di Dio e per Dio non era messo in discussione, in cui, anche con terribili colpe, gli uomini sapevano riconoscere il vero dal falso e il giusto dall’errore, e si era generalmente consapevoli che la persona umana era opera di Dio e non un capriccio dell’uomo.
Silvia Scaranari
Note:
1) Cfr. Davide Rondoni, Hermann. Una storia storta e santa puntata alle stelle, BUR, Milano 2010. Con la bellezza dell’incedere quasi poetico del suo stile, il romanzo — attualmente disponibile solo in formato ebook — fornisce profondi spunti di riflessione e di grande spiritualità. È un libro senza tempo perché la verità è sempre vera. In maniera particolarmente felice Rondoni unisce in questo testo stile, poeticità, spiritualità, saggezza umana — impersonata dall’abate e dal suo consigliere —, senso dell’amicizia profonda, gratitudine e soprattutto amore di Dio per le sue creature e delle creature per Lui.
2) Ibid., p. 14.
3) Breno fu abate di Reichenau dal 1008 alla morte, nel 1048. Molto vicino all’imperatore Enrico II, lo accompagna a Roma a ricevere l’incoronazione da Papa Benedetto VIII (1012-1024) nel 1013. Esperto musicologo, ha composto diversi saggi e testi liturgici, fra cui ad oggi si conoscono il De officio missae, un Tonarius, due scritti De varia psalmorum atque cantuum modulatione e De consona tonorum diversitate.
4) D. Rondoni, op. cit., p. 33.
5) Si è salvato il De mensura astrolabii, in Joseph Drecker (1856-1931), Hermannus Contractus. Über das Astrolab, in Isis, anno 16, n. 2, Chicago novembre 1931, pp. 200-219, e il De utilitatibus astrolabii, in Patrologia Latina, Parigi 1844, vol. CXLIII, coll. 389-412.
6) Astronomo persiano ebreo, nasce nel 740 circa a Bassora in Iraq e muore dopo l’815. La fama dei suoi studi lo porta ad essere fra gli esperti che pianificano la fondazione di Baghdad. Prolifico compositore di opere, a oggi sono noti il De cogitationibus ab intentione,l’Epistola de rebus eclipsium et conjunctionibus planetarum, il De revolutionibus annorum mundi, di tono più astrologicoil De significationibus planetarum in nativitate, il De scientia motus orbis e il trattato De mercibus (Sul prezzo), considerato il più antico trattato scientifico sull’argomento.
7) Fra le sue opere è ancora consultabile Chronicon, la storia del mondo dalla nascita di Cristo ad oggi.Il testo, interrotto alla sua morte, venne continuato per qualche tempo dall’amico Bertold. Sempre sulla storia, vi sono brani della Storia della Svevia e le Gesta di Corrado II (990-1039) e di Enrico III. Per la liturgia gli Uffici,in particolare di san Gregorio Magno (540-604) e di san Wolfgang di Ratisbona (924-994); il De octo vitiis principalibus raccoglie invececonsigli pratici per i religiosi.
8) Bertold von Reichenau, Annales, in MonumentaGermaniaeHistorica Scriptores, V, Hannover 1826, pp. 264-326 (p. 268).
