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«Ucraina. La guerra e la pace». Milano, 15 marzo 2025 

29 Aprile 2025 - Autore: Ferdinando Leotta

Ferdinando Leotta, Cristianità n. 432 (2025)

In un contesto internazionale caratterizzato da crescente complessità e polarizzazione è necessario affrontare con prudenza e chiarezza le sfide che si presentano all’Occidente. Dalla rimozione del Muro di Berlino nel 1989, infatti, il mondo ha perso paradigmi di riferimento chiari, entrando in una fase di profonda trasformazione.

La recente elezione a presidente degli Stati Uniti d’America di Donald John Trump e le sue dichiarazioni in tema di politica estera richiedono un’analisi equilibrata, lontana sia da entusiasmi prematuri sia da allarmismi ingiustificati. Come ha sottolineato il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, parlando ai conservatori americani, è fondamentale preservare l’unità dell’Occidente, non quello relativistico delle attuali classi dirigenti, ma quello fondato sulla filosofia greca, sul diritto romano e sui valori cristiani.

La situazione in Ucraina, dopo tre anni di conflitto, pone interrogativi cruciali sul futuro del popolo ucraino e sulla stabilità dell’Europa. È legittimo auspicare una pace giusta, ma occorre vigilare affinché non si ripetano gli errori del passato. Queste sono le ragioni che hanno spinto Alleanza Cattolica ad organizzare, a Roma il 14 marzo e a Milano il 15, due convegni sul tema Ucraina la guerra e la pace. 

A Milanomarzo, i lavori sono stati aperti dal reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Marco Invernizzi, che ha sottolineato la finalità dell’i­niziativa, rammentando che «in questo momento di incertezza è essenziale mantenere un approccio prudente, ponendo domande e cercando di comprendere la realtà in tutta la sua complessità, senza cedere alla tentazione di soluzioni semplicistiche o ideologiche». In particolare, per quanto riguarda l’Europa, la soluzione non è rappresentata dalla sua distruzione; al contrario, essa va aiutata a recuperare le proprie radici e la propria identità nella consapevolezza che il nazionalismo isolazionista non rappresenta una soluzione e porta storicamente alla guerra piuttosto che alla pace. Mesi addietro, quando sono stati ideati i due convegni, non erano prevedibili gli accadimenti delle ultime settimane, ma resta valida la loro finalità: far conoscere i fatti e spiegarne le ragioni.

In particolare, il convegno ha riflettuto su quanto è accaduto in Ucraina nei tre anni di guerra e ha mostrato quanto sia rilevante l’ideolo­gia della «pace russa» nell’«Operazione speciale», cioè l’inva­sione di un Paese sovrano, decisa da Vladimir Putin. Inoltre, si è interrogato sull’Oc­cidente e sul suo rapporto con gli Stati Uniti, rievocando l’i­dea di «Magna Europa», su cui Giovanni Cantoni (1938-2020), fondatore di Alleanza Cattolica, svolse una riflessione vent’anni addietro (1).

Ogni analisi non può prescindere dalla consapevolezza che il «mondo in frantumi», già denunciato da Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008) nel discorso tenuto nel 1978 all’Università Harvard negli Stati Uniti, si è negli anni ulteriormente disgregato e che il conflitto russo-ucraino ha contribuito ancor più a dividere, come dimostra il dibattito sull’ipotesi del riarmo dell’Europa e sulla sua difesa militare.

Con il convegno, ha chiarito Invernizzi, Alleanza Cattolica non ha avuto la pretesa di fornire soluzioni, ma si è prefissa solo di favorire una riflessione sulla pericolosità della divisione dell’Europa e sui gravi rischi che si corrono rinnegando l’Occidente. 

Ha aperto i lavori il professor Adriano Dell’Asta,intervenendo su Il progetto politico del «Mondo russo». Il relatore, da decenni studioso dei rapporti tra filosofia, letteratura e tradizione religiosa nel mondo russo, è presidente dell’Associazione Russia Cristiana, docente di Lingua e Letteratura russa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, e membro della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana, ed è stato direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca dal 2010 al 2014.

Dell’Asta ha esordito chiarendo che l’«Operazione speciale» putiniana, che non a caso ha riesumato una terminologia staliniana, non è un incidente seguito a congiunture internazionali che avrebbero costretto la Russia a decisioni non volute, bensì l’esito di un progetto di «pace russa», cioè di un’ideologia, posto che il termine russo «mir» ha il duplice significato di «pace» e di «mondo». 

L’ideologia del Russkij mir rappresenta, secondo il relatore, la struttura portante del sistema putiniano, fornendogli lo strumento concettuale per la rinascita di una prospettiva imperiale venuta meno con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991. In proposito, Dell’Asta ha rammentato che nel 2005 Putin definì il crollo dell’Unione Sovietica «la più grande catastrofe del secolo XX» (2). Ha denunciato, quindi, la concezione paradossale di «mondo russo», una minaccia divenuta evidente nel 2016, due anni dopo l’annes­sione forzata della Crimea, con l’emanazione di un decreto presidenziale in cui si legge che l’idea di Russkij mir fa parte della strategia politica estera della Federazione Russa. A questa rilettura quantitativa del concetto di Russkij mir si aggiunge un aspetto qualitativo: secondo il patriarca ortodosso Kirill, infatti, questa concezione va diffusa anche «in periferia» attraverso la Chiesa russa, che è una realtà transnazionale. Attraverso il magistero di Kirill si riafferma una idea imperialistica, secondo cui i territori persi con la fine della Guerra Fredda dovrebbero essere nuovamente reinseriti nell’orbita di Mosca. Il presidente Putin avrebbe fatto propria questa visione, del tutto estranea alla tradizione cristiana ortodossa (3). Lo ha rilevato anche il card. Kurt Koch, dal 2010 presidente del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani: questa idea non corrisponde, infatti, alla concezione ecclesiale cristiana e richiama l’eresia «filetista» che la tradizione ortodossa ha condannato fin dalla seconda metà dell’Ottocento (1872). Tale eresia riduce la Chiesa a un attributo secondario della nazione, a un dicastero statale (4).

Per Dell’Asta siamo agli antipodi della tradizione cristiana ortodossa nata con Vladímir I Svjatoslavič, principe di Kiev, detto il Santo (956 ca.-1015), che, convertito al cristianesimo, rifiuta la pena di morte perché non conforme alla dottrina di Cristo. Egualmente siamo molto lontani dal pensiero di un altro grande autore russo cristiano, Vladimir Sergeevič Solov’ëv (1853-1900), che più di cento anni fa, negli ultimi versi della poesia Ex Oriente lux, chiedeva alla sua Russia: quale Oriente vuoi dunque tu essere, l’Oriente di Serse (l’imperatore dei persiani) o di Cristo?

È seguita, quindi, la testimonianza di Oleksandra Romantsova, direttrice del Centro per le Libertà Civili di Kiev, vincitore nel 2022 del premio Nobel per la pace — insieme all’Associazione russa Memorial e al Centro bielorusso per i diritti umani Vjasna —, la quale ha fatto presente che compito specifico dell’Associazione è documentare i crimini di guerra compiuti a partire dal 2014 nel territorio dell’Ucraina. Al riguardo ha riportato diverse testimonianze raccolte in occasione di sue visite pure in piccoli paesi, dove ha incontrato sopravvissuti che si chiedevano come fosse possibile che cristiani ortodossi fossero stati tanto violenti ed efferati con altri ortodossi. A suo avviso la causa risiede nella strumentalizzazione ideologica della religione, che induce chi compie i delitti a dimenticare che dovrà rispondere delle proprie azioni. Perciò in Ucraina non vi è regione in cui non sia stato compiuto un crimine di guerra. Dal 2022 l’esercito russo ne avrebbe commessi 84.000 con un incremento enorme rispetto al periodo 2014-2022, quando i crimini furono circa ventimila. La testimone aggiunge che alla carneficina di donne e uomini si aggiunge la distruzione di chiese e monumenti storici perché incompatibili con il Russkij mir. Gli edifici cattolici e greco-cattolici sono stati posti sotto il patriarcato di Mosca, sacerdoti e religiosi cacciati o imprigionati. Si calcola che, complessivamente, siano stati distrutti in questi anni oltre duemila edifici religiosi. Ciò spiega perché il piano di Putin non punta solo alla conquista di territori ma anche al controllo totale delle società e perciò non può tollerare luoghi di incontro e di confronto. Romantsova ha concluso con un pensiero di speranza: l’Ucraina torni a essere un luogo dove possano convivere chiese e comunità in cui ciascuno si senta protetto pur nella diversità di religione e di opinione. 

È seguito l’intervento Tre anni per tre secoli di don Stefano Caprio, uno dei primi parroci cattolici della Russia dopo il 1991, poi espulso, anch’egli grande studioso della storia e della cultura russe, docente presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il relatore ha esordito precisando che l’ideologia del mondo russo, del Russkij mir, non è il nazionalismo bensì l’imperialismo. Tra i fautori di tale imperialismo don Caprio ha citato Tikhon Shevkunov, noto come il «confessore» di Vladimir Putin, figura di spicco nella Chiesa ortodossa russa, al quale viene attribuita la frase: «la Russia esiste solo se è imperiale». Il suo rapporto con Putin risalirebbe agli anni 1990, quando i due si incontrarono alla prigione moscovita della Lubyanka, sede del disciolto KGB, il principale servizio di spionaggio sovietico. A quell’incontro risalirebbe la conversione di Putin al «comunismo ortodosso», stante la necessità di «difendersi dall’Anticri­sto occidentale». Anche per don Caprio il Russkij mir sarebbe l’ennesimo tentativo di restaurare l’impero, che però sfocerebbe inevitabilmente nel­l’im­perialismo. In proposito ha rammentato che, dopo la caduta di Napoleone Bonaparte (1769-1821), lo zar russo Alessandro I Romanov (1777-1825) concepì l’unione della Russia ortodossa, dell’Austria cattolica e della Prussia protestante come comunione dei cristiani e prima unione europea. Restò tuttavia un ideale romantico.

Secondo il relatore oggi abbiamo un’occasione che non è tanto quella della pace che, se ci sarà, sarà una pace finta. La nostra occasione è l’Ucraina stessa, che possiede la caratteristica unica di avere quattro chiese: la Chiesa latina, la Chiesa greco-cattolica — che ha la vocazione di mettere insieme Oriente e Occidente —, la Chiesa autocefala ucraina — che è una chiesa nazionale di concezione protestantica — e la Chiesa russa, che pretende di essere la Terza Roma, secondo un’idea universalistica imperiale. Roma, Costantinopoli, Kiev e Mosca sono in certo senso chiamate a convivere in Ucraina. Perciò dobbiamo pregare per la pace, ma soprattutto lavorare per l’autentica ricostruzione dell’Ucraina, che vuol dire ricostruzione dell’Europa, di un mondo veramente nuovo.

Con l’intervento di don Caprio si è conclusa la prima parte del convegno. La seconda parte è stata una riflessione sulle condizioni dell’Eu­ropa in Occidente: Una sola Europa, due diverse crisi. La sfida culturale e spirituale su cui si gioca il futuro dell’Occidente era il titolo del­l’inter­vento di Laura Boccenti, reggente di Alleanza Cattolica in Lombardia. 

La sua relazione ha preso le mosse dal discorso che Aleksandr Isae­vič Solženicyn (1918-2008) tenne all’Università Harvard l’8 giugno 1978. In quel­l’occasione il dissidente russo, da poco liberato, parlò delle crepe profonde che attraversavano il mondo contemporaneo e metteva in guardia dai rischi che si correvano a causa della cecità dell’Occidente. La sua era una critica dell’evoluzione della società europea, la cui crisi veniva individuata con l’affermarsi dell’Età Moderna e con l’imporsi, in Occidente, di nuovi criteri, fondamentalmente ispirati all’utilitarismo e al libertinismo, inteso come libertà di godimento. L’affermarsi di questi due pseudo-valori avrebbe reso incomprensibile rischiare la vita per il bene comune e decretato la morte del coraggio. Solženicyn, ha ricordato la relatrice, descrisse anche la crisi spirituale della Russia, caratterizzata da una sorta di ubriacatura imperiale e da una concezione spaziale del potere. Ma il discorso profetico dell’autore di Arcipelago Gulag non venne ascoltato né in Occidente né in Oriente e la pace russa, Russkij mir, è l’e­sito e lo sviluppo di un imperialismo in cui religione e potere politico si fondono.

Laura Boccenti ha ricordato un secondo avvertimento profetico, questa volta rivolto da san Giovanni Paolo II (1978-2005) con la lettera apostolica Egregiae virtutis del 31 dicembre 1980 e l’enciclica Slavorum apostoli, del 2 giugno 1985, entrambe dedicate ai santi Cirillo (†869) e Metodio (†885), che vengono indicati come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale fra la tradizione occidentale e quella orientale, che confluiscono entrambe nell’unica grande Tradizione della Chiesa universale.

Il magistero di san Giovanni Paolo II, ha sottolineato la relatrice, avvalora l’idea di un’Europa come grande continente culturale, dotato di due «polmoni», che si dilata per terra e per mare fino a raggiungere le due Americhe. All’idea di Europa si accompagna la responsabilità di operare con pazienza storica, avendo presente che né la Russia né l’Europa coincidono con le loro classi dirigenti e avendo altresì chiaro il tipo di convivenza civile e i valori che si vogliono salvaguardare nel rispetto della corretta libertà di coscienza e di pensiero.

Le riflessioni conclusive sono state di Domenico Airoma, reggente nazionale vicario del sodalizio organizzatore e vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino. Questi ha esordito dichiarando l’intento di tentare di ridurre l’oscurità che non consente di discernere il vero dal falso, una oscurità che induce tanti in Occidente, di fronte alla immagine di un mondo occidentale strutturalmente corrotto, a schierarsi su posizioni filo-russe. A trent’anni dalla scomparsa del comunismo sovietico, ha osservato Airoma, assistiamo all’implosione dell’Occi­dente, probabilmente a causa del proprio narcisismo: alla cecità valoriale e all’ottusità di ridurre il «verbo» alla retorica della democrazia si accompagna la comparsa del miraggio di Putin, che appare come un novello principe cristiano. Airoma ha sottolineato altresì che il convegno non intendeva proporre soluzioni ma offrire un metodo di pensiero e di azione, consistente nell’ascoltare, nel conoscere i fatti e nel continuare a interrogarci su chi siamo di fronte alla grande tragedia dell’Ucraina. Una simile meditazione potrà essere un’occasione di riflettere, uno shock salutare, una scossa di speranza in questo anno giubilare. Perciò, e per non lasciarci incantare dagli attuali esperti di geopolitica, che hanno appena smesso il camice del virologo, è necessario un metodo, di studio e di azione. 

Il relatore ha concluso esortando a cercare di ricomporre un mondo in frantumi, cominciando dall’uomo, secondo l’itinerario che Alleanza Cattolica ha scelto fin dall’inizio. 

Note:

1) Cfr. Giovanni Cantoni e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa, L’Europa fuori dall’Europa, D’Ettoris, Crotone 2007.

2) Per approfondimenti sul punto cfr. Adriano Dell’Asta, La «Pace Russa», Morcelliana, Brescia 2023. 

3) Cfr. ibid., pp. 23-51.

4) Cfr. ibid., pp. 83-102.

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