Michele Brambilla, Cristianità n. 433 (2025)
1700 anni fa è stato celebrato il primo Concilio di Nicea (325 d.C.), una delle tappe fondamentali della storia della Chiesa, sulla quale si continua a dibattere e si sono appuntate molte mistificazioni. Come nel caso delle celebrazioni per l’anniversario dell’editto dell’imperatore Flavio Valerio Aurelio Costantino I (280 ca.-337), nel 313, non era per nulla scontata tanta attenzione dal punto di vista ecclesiale, tanto più dopo decenni in cui le questioni di dottrina sono state relegate da troppi cattolici nella «triste» epoca «dei dogmi». Nelle nostre comunità si osserva una decrescente capacità di riflessione e di argomentazione, specchio peraltro dei livelli medi di tali capacità riscontrabili nella società tutta. La Chiesa, fin dai suoi vertici, ha però sottolineato con particolare intensità l’anniversario per due motivi: il primo è che la religione cattolica ha contenuti ben precisi e non esiste pastorale autentica senza contenuti; il secondo è che le questioni dottrinali sono considerate ancora all’ordine del giorno, soprattutto nelle Chiese orientali, che vissero da protagoniste l’epoca dei concili (325-451) e molto spesso devono proprio a quell’epoca gli attriti che ancora le dividono da Roma.
Come inquadrare, quindi, il Concilio di Nicea, che pose al centro della discussione la duplice natura di Gesù Cristo? Anzitutto premettendo che non esiste cristianesimo senza professione di fede in Gesù Figlio di Dio. Questo dato fondamentale emerge da tutti i documenti delle primissime comunità cristiane, in primis i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le Lettere paoline, collocabili in un arco temporale (40-90 d.C.) molto ravvicinato rispetto ai decenni della vita terrena di Cristo (1).
Nel corso dei primi tre secoli emerse sempre di più la necessità di chiarire il significato della professione di fede. Nacquero le prime eresie, cioè scelte parziali, sottolineature unilaterali dei contenuti della fede cristiana, a cui risposero i primi Padri della Chiesa, ovvero quei teologi successivi all’età apostolica che, con i loro scritti, posero le basi della riflessione sul mistero di Cristo e sulla natura della sua continuazione nella storia. Molte delle intuizioni di Nicea erano presenti soprattutto in sant’Ireneo di Lione (122-202), così come i presupposti di Ario (256-336) si possono ritrovare nelle elucubrazioni dello gnosticismo del III secolo, dottrina di derivazione neoplatonica che riduceva Gesù a «eone», cioè «emanazione», o Demiurgo, responsabile della realtà materiale, ma in grado di uscire dalla materia (2).
Come tutti gli eventi storici veramente importanti neppure Nicea cade, quindi, «dal cielo», ma è frutto di un lungo processo di maturazione. Non fu una convocazione estemporanea dell’imperatore Costantino per interessi politici, sebbene essa sia stata determinante per radunare in un’unica sala una cospicua rappresentanza dei vescovi del mondo allora conosciuto ed è accertato che la prima preoccupazione di colui che si definiva «il vescovo di quelli di fuori» (i pagani) fosse la tenuta della compagine imperiale, messa in pericolo dalle divisioni dottrinali. I grandi movimenti nella storia della Chiesa hanno sempre un’origine remota e dinamiche completamente peculiari.
L’importanza di Costantino nella vicenda è uno dei grandi miti da sfatare: l’imperatore sarà, nei decenni successivi a Nicea, il primo fautore di soluzioni di compromesso semi-ariane e in punto di morte si farà battezzare da un vescovo ariano (3). L’arianesimo divenne rapidamente la versione del cristianesimo preferita dai popoli barbari e da molti successori di Costantino, e il mondo della cultura, specialmente in Occidente, rimase tenacemente pagano anche dopo l’editto di Tessalonica, promulgato nel 380 dall’imperatore Teodosio (347-395), che dichiarava il cristianesimo religione ufficiale dell’impero romano; il che porterà a molte persecuzioni imperiali contro i sostenitori della tesi nicena. Se quindi la professione di fede nella divinità di Gesù fosse nata a Nicea nel 325, sarebbe nata già morta (4).
I fatti
La questione ariana inizia nel 318. In quell’anno Ario, presbitero della diocesi di Alessandria d’Egitto nativo della Libia, viene ascoltato dal patriarca Alessandro (250-328) in merito alle sue teorie subordinazioniste, che tendevano, cioè, a subordinare il Figlio rispetto al Padre. Il cuore della teoria ariana è che «Dio è unico, ingenerato ed eterno. Orbene, il Verbo del quale si parla nella Scrittura è stato generato, Egli non può dunque essere generato e ingenerato, Verbo e Dio. Due ingenerati sarebbero due dei e contraddirebbero il monoteismo» professato dai cristiani» (5).
La questione era delicata, perché in quel momento storico non esistevano ancora parole per concettualizzare il mistero della Trinità. Il Simbolo Apostolico, ovvero la professione di fede richiesta ai catecumeni del IV secolo, che la liturgia è solita ancora oggi farci recitare nel tempo di Quaresima (6), si limita a delineare i rapporti fra le Persone — «Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo» —, richiedendo qualche precisazione.
Ario era figlio spirituale della «scuola di Antiochia», che da sempre sottolineava maggiormente l’umanità di Gesù, considerandola il «contenitore» della divinità. Il suo maestro era stato Luciano di Antiochia (235-312), il fondatore stesso della scuola antiochena, ma Ario ne estremizzava l’insegnamento e davanti al patriarca di Alessandria, capofila di un’altra scuola teologica, che poneva l’accento sulla divinità di Cristo, giunse a dire che Gesù era stato creato ex nihilo, come qualsiasi altro uomo, da cui non si differenziava neppure nella gestione del libero arbitrio. Alessandro dovette espellere Ario, che si rifugiò a Cesarea in Palestina, dove era vescovo Eusebio (260-339), che aveva entrature nella corte imperiale e sarebbe diventato uno dei primi storici della Chiesa. Eusebio di Cesarea si mise subito a fare propaganda a favore dell’eretico assieme ad un altro Eusebio, il vescovo di Nicomedia, morto nel 341.
Costantino voleva chiudere la questione immediatamente, invitando Alessandro e Ario a un abbraccio di pace, cercando magari una tesi di compromesso. Fu il vescovo Osio di Cordova (256-358), in quel momento consigliere dell’imperatore, a spiegargli che in ballo vi era l’essenza stessa del cristianesimo (7). Sarebbe stato meglio convocare un’assemblea di tutti i vescovi cristiani, in modo da ricostituire in maniera eminente il collegio degli apostoli, come era avvenuto a Gerusalemme, nei primissimi anni di vita della Chiesa, per dirimere la questione dell’osservanza della legge mosaica per i pagani (At 15,1-33).
Il luogo prescelto per l’assemblea fu Nicea, cittadina della Bitinia a poca distanza da Bisanzio, giusto l’anno prima rifondata come Costantinopoli (8). L’imperatore presenziò alla seduta iniziale, il 20 maggio 325, ma non intervenne direttamente nei lavori, dato che non comprendeva il linguaggio teologico. Inaugurò, però, quella forma di cesaropapismo, cioè di superiorità del potere civile su quello religioso, che condizionerà le Chiese orientali contribuendo a determinare lo scisma del 1054 (9).
I vescovi presenti a Nicea nel 325 erano 318, quasi tutti di origine orientale. Il Papa, san Silvestro I (314-335), si fece rappresentare da legati apostolici. Il primo argomento all’ordine del giorno era, ovviamente, la dottrina di Ario. Il patriarca di Alessandria si portò dietro come perito il diacono sant’Atanasio (293-373), suo futuro, eroico successore. Ario aveva come difensori i due Eusebio e due vescovi egiziani, ma quando furono lette in concilio alcune pagine delle sue opere gli altri presenti diedero segni di fortissima disapprovazione (10).
Per definire la doppia natura di Gesù si impiegò una parola greca: omousios, aggettivo tradotto in latino come consubstantialis fin dai tempi di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (150-222) (11). Per tentare di spiegare il mistero trinitario si fece quindi ricorso al concetto filosofico di substantia: un’unica sostanza divina, pur nella distinzione delle Persone, per cui Gesù è della stessa sostanza del Padre. Eusebio di Cesarea, dando l’impressione di accettare il parere della maggioranza, offrì come base per il canone definitorio la professione di fede che si utilizzava per i battesimi nella sua diocesi: debitamente ampliata e precisata dai vescovi niceni, essa corrisponde all’attuale Credo niceno-costantinopolitano, che si recita a Messa alla domenica e in tutte le solennità. Provengono direttamente dall’assemblea del 325 i parallelismi «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre» (12).
Nel 325 non ci si occupò solo di Ario: si doveva dirimere la secolare diatriba sulla data in cui celebrare la Pasqua. In molte comunità dell’Oriente cristiano si era soliti celebrarla in corrispondenza del 14 di Nisan, il mese e il giorno nel calendario ebraico in cui avvenne l’Ultima Cena del Signore (13). San Policarpo di Smirne, martirizzato nel 156, nel II secolo fece un viaggio a Roma per discutere con il Papa di allora, Aniceto (154-166), sulla liceità della cosiddetta «Pasqua quartodecimana» (14). All’inizio del IV secolo la configurazione del Triduo pasquale era appena abbozzata in tutte le liturgie del mondo cristiano, che fino ad allora avevano celebrato il Mistero pasquale, in tutti i suoi aspetti, in un unico giorno. L’uso di considerare il Venerdì Santo una «Pasqua di Crocifissione» si conserva nel rito caldeo e ha lasciato alcune tracce anche nella liturgia ambrosiana, che nell’inno della processione delle Palme (Magnum salutis gaudium), precisamente all’inizio della II strofa, canta ancora «sex ante Paschae ferias», ovvero «sei giorni prima della sua Pasqua». Se infatti si contano sei giorni sul calendario a partire dalla Domenica delle Palme, si giunge proprio al Venerdì Santo (15). Il concilio di Nicea stabilì per tutta la Chiesa l’adeguamento all’uso maggioritario di celebrare la Risurrezione del Signore la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, che è preso a riferimento dagli Ebrei per calcolare la collocazione dello stesso 14 di Nisan, il «giorno degli azzimi».
Non si trattava di una questione secondaria, ma strettamente legata ai canoni dottrinali. Nella liturgia celebriamo ciò che crediamo. Se Gesù è sia uomo che Dio, fin dalle origini, la Redenzione è stata realmente efficace, perché Cristo è la primizia di un’umanità davvero nuova, il restauratore del piano originario di Dio. Allora davvero Egli rimane perpetuamente con noi nei sacramenti, segni che ci portano qui e ora, fino alla fine della storia, la Redenzione avvenuta con la stessa efficacia (16). Non a caso è dal Concilio di Nicea che sviluppa, nella liturgia, il ciclo natalizio, che ha al suo centro proprio l’Incarnazione del Verbo divino. Si sa che il Natale era festeggiato in Italia già nel 336 (17), preceduto di poco da una festa dell’Epifania — in Oriente chiamata significativamente Christoforia, cioè «manifestazione di Cristo» — che comprendeva anche il ricordo del battesimo di Gesù nel Giordano e della moltiplicazione dei pani (18). La liturgia natalizia è piena di riferimenti e meditazioni sul dogma proclamato solennemente a Nicea: dalle più piccole antifone alla scelta dei Salmi, per non parlare dei prefazi, tutto canta la bellezza di un Dio che si fa uomo e, condividendo la nostra vita, eccetto il peccato, riscatta la disobbedienza di Adamo, fino a poter affermare che il Natale di Cristo coincide con «il natale della nostra salvezza» (19).
Nicea e noi. La ricezione del Concilio nei secoli
Il concilio del 325 aveva compiuto un passo decisivo per la chiarificazione dottrinale, ma già tre anni dopo la situazione era diversa. Gli ariani non accettarono la sconfitta e cominciarono a lavorare «ai fianchi» il fronte ortodosso, con la complicità dell’imperatore, che non poteva non tenere conto del crescente successo della formulazione ariana presso i popoli germanici che si affacciavano sui confini dell’impero romano (20). Gli eretici usarono un trucco che riuscirà a meraviglia anche nel XXI secolo: dissero che i vescovi niceni erano arroganti e autoritari (oggi direbbero «divisivi»), così Costantino, assumendo come consigliere in materia religiosa il semi-ariano Eusebio di Nicomedia, iniziò ad esiliarli. Non solo: nel 337, in punto di morte, l’imperatore si fece battezzare con formula ariana proprio da Eusebio, che venne subito dopo elevato a patriarca di Costantinopoli. Solo la morte, avvenuta due anni prima di quella di Costantino, impedì ad Ario di festeggiare la sua reintegrazione forzata nel clero di Alessandria, mentre sant’Atanasio, nel frattempo divenuto patriarca, doveva andare in esilio (21).
I figli di Costantino si divisero fra niceni e ariani, con i secondi che «brillarono» per attivismo. Nel 343 fu convocato un nuovo sinodo a Serdica, nell’attuale Bulgaria, ma i vescovi niceni si dissociarono. Nel 355 venne convocato a Milano un altro concilio, che doveva confermare il dogma di Nicea, ma fu costretto dall’imperatore Costanzo II (317-361) a infliggere altre persecuzioni ai vescovi ortodossi e a esiliare lo stesso arcivescovo di Milano, san Dionigi I (†360), costretto a cedere la cattedra all’ariano Aussenzio (355-374), nativo della Cappadocia e digiuno di latino (22).
Pochi decenni dopo, però, la situazione volse a favore degli ortodossi: nel 370 divenne vescovo di Cesarea di Cappadocia san Basilio (329-379); nel 374 a Milano iniziò l’episcopato di sant’Ambrogio (339-397); nel 378, alla morte di Valente (328-378) sul campo di Adrianopoli, divenne imperatore Teodosio, tenacemente niceno. La discussione teologica cominciava ad aggiungere anche la questione della natura dello Spirito Santo, al cui riguardo cominciavano a essere sostenute posizioni subordinazioniste, in particolare da parte del patriarca di Costantinopoli Macedonio (†362). Il primo Concilio di Costantinopoli (o Concilio Costantinopolitano I) servì a confermare la piena parità delle Persone della Trinità, portando a compimento quanto iniziato a Nicea. Le discussioni sulla natura di Cristo proseguirono, però, nel concilio di Efeso (431), convocato per confutare il cripto-arianesimo del patriarca Nestorio (381-451), e nel concilio di Calcedonia (451), durante il quale si dovette prendere posizione contro l’errore speculare a quello di Ario, ovvero contro coloro che in Gesù vedevano solo la natura divina, come se quella umana fosse stata «assorbita» dalla divinità, o solo apparente. Fu anche un trionfo del primato petrino, perché il canone risolutivo si limitò a ripetere quanto scritto da Papa san Leone I Magno (440-461): «Uno e medesimo Cristo Signore unigenito, da riconoscere in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi» (23).
Calcedonia chiude le grandi dispute cristologiche dei primi secoli cristiani. Le eresie medievali prenderanno altre pieghe, pauperistiche, antigerarchiche, sociali, ma non torneranno più su tali questioni. Anche la contesa sul Filioque, cioè sull’aggiunta nel Credo niceno-costantinopolitano della formulazione «e procede dal Padre e dal Figlio» per quanto concerne lo Spirito Santo, contestava più il metodo (introduzione spontanea da parte degli imperatori germanici) che il merito. Inoltre, metteva in luce quella che sarà la questione dirimente anche nella Riforma protestante: il Primato non solo d’onore, ma anche dottrinale e disciplinare del Papa (24). Diverso il caso dell’iconoclastia dell’VIII-IX secolo, risolta con il secondo concilio di Nicea (787): se Dio si è incarnato, si può rappresentare; chi rifiuta l’icona, rifiuta il Prototipo. Negli iconoclasti vi è, in effetti, una punta di gnosticismo e di monofisismo, dato che portano avanti una devozione meramente concettuale, mutuata dagli arabi (25).
La figura di Cristo tornerà a essere oggetto di vera contestazione solo con l’Illuminismo, che in Gesù vedrà al massimo un maestro morale o un ribelle antiromano. A partire dal secolo XVIII gli intellettuali laicisti cominceranno a distinguere il «Cristo dei dogmi» dal «Cristo della storia», ottenendo il risultato di far indossare al Redentore le mode ideologiche del momento (26), con le quali si voleva perseguire la costruzione del «paradiso in terra» contro la dottrina sociale della Chiesa. Dio viene allontanato dalla storia dell’uomo e gli si dà, al massimo, il ruolo di iniziatore di leggi che procedono da sé (27).
Dall’Illuminismo a Ernest Renan (1823-1892) e alla teologia liberale di Adolf von Harnack (1851-1930) il passo è breve. Il modernismo aderisce alla modernità in tutte le sue contraddizioni, giungendo a ridurre la fede a un pio sentimento e Cristo a un predicatore escatologico, in cui la percezione di Dio era più forte che in altri (28). Per i padri conciliari di Nicea, però, Gesù non era un sentimento. Le formulazioni dei dogmi erano un modo, certo perfettibile, per esprimere realtà realmente rivelate in Gesù Cristo.
Sebbene non tutti percorrano lo stesso itinerario intellettuale dei modernisti di inizio secolo, anche i «progressisti» del Secondo Novecento conducono a un radicale fraintendimento della persona di Cristo, facendogli indossare di nuovo i panni dell’agitatore politico, enfatizzando la sua povertà o riducendo la fede a un’ispirazione individualistica, che ha conseguenze sulla morale del singolo ma non può essere «imposta» agli altri, favorendo di fatto l’adozione di criteri neopagani nella conduzione della società. Sono tutti modi per procedere a una nuova dis-incarnazione di Cristo, mentre a prendere realmente forma è l’appeasement con le ideologie contemporanee. Il relativismo imperante conduce, all’inizio del XXI secolo, a sostenere le proprie convinzioni a prescindere da qualsiasi pronunciamento magisteriale, manipolando persino le parole (29). Emblematico il caso delle «diaconesse», un caso di studio molto dubbio e incerto, che qualcuno vuole manovrare come «finestra di Overton» per giungere al sacerdozio femminile. E se i dati della storia non forniscono alcuna certezza, o non avallano le supposizioni (30), si dà comunque l’introduzione del sacerdozio femminile come certo e imminente, come accade in alcune pubblicazioni recenti, in cui si sfruttano persino le grandi mistiche per far dire loro quello che non avrebbero mai desiderato dire e si riduce la questione a mero autoritarismo maschile (31).
Oggi Nicea è minacciata soprattutto da certo teo-femminismo che non teme di rimettere in luce, con un accostamento pienamente relativistico, perfino le eresie confutate nei primi concili. Se si ignora la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, si possono benissimo ignorare anche i canoni antichi (32). Peggio: fingendo di elogiarli, li si relativizza in nome del «dialogo». È il caso di una pubblicazione che, negli intenti dei promotori, doveva celebrare l’evento storico del 325, ma, sotto una titolazione fintamente coerente allo scopo, nelle pagine interne invita ripetutamente a «superare» Nicea, i cui anatemi sono ridotti, secondo il linguaggio «progressista» attuale, a fastidiosi «discorsi di odio» (33). Ario sarebbe stato frainteso (34), i concili si contraddirebbero fra loro (35), in ogni caso la volontà di Costantino sarebbe stata determinante, il rigetto dell’arianesimo un’ossessione (36) e, quando in qualche conferenza propone attivamente le soluzioni di Nestorio o di Apollinare (315-390): «i due riscuotono un certo successo, perché toccano delle corde non insensate e coinvolgono modi di pensare radicati ben oltre le censure canoniche» (37). Riecco il sentimentalismo che si fa grimaldello dell’errore certificato, per di più approfittando dell’ignoranza dell’uditorio, anch’esso vittima del relativismo e dell’oblio della catechesi di base, alterando (o, meglio, pervertendo) il significato del proverbio vox populi, vox Dei.
Don Maurizio Girolami, preside della Facoltà teologica del Triveneto, in un’intervista ad AciStampa (38) ha indicato chiaramente l’importanza imprescindibile di Nicea e di una teologia che rispetti le tanto bistrattate «indicazioni stradali» degli antichi padri conciliari. Ricevendo il Consiglio Metodista Mondiale, Papa Francesco ha ribadito che «il prossimo anno, i cristiani di tutto il mondo celebreranno i millesettecento anni dal primo Concilio ecumenico, Nicea. Questo anniversario ci ricorda che professiamo la stessa fede e, quindi, abbiamo la stessa responsabilità di offrire segni di speranza che testimoniano la presenza di Dio nel mondo» (39): l’unità non si fa attorno alle «audacie» avventuristiche, ma attorno alla certezza che Cristo è vero Dio e vero uomo allo stesso tempo.
Don Girolami cita anche altri due teologi della Facoltà teologica triveneta, fra cui una donna, Chiara Curzel, i quali confermano che «la fede è un dono dato a una comunità di discepoli e questi insieme credono, insieme celebrano, insieme testimoniano la loro appartenenza a Cristo». «Se la Chiesa si presenta divisa, soprattutto sul come professa e vive la fede, la credibilità della sua azione s’incrina», ripete don Maurizio. Sono le stesse parole del nuovo Papa, Leone XIV, che ricevendo le delegazioni ecumeniche e i rappresentanti delle altre religioni intervenute alla Messa di inizio del suo ministero, sottolinea che «la mia elezione è avvenuta mentre ricorre il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Quel Concilio rappresenta una tappa fondamentale per l’elaborazione del Credo condiviso da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Mentre siamo in cammino verso il ristabilimento della piena comunione tra tutti i cristiani, riconosciamo che questa unità non può che essere unità nella fede. In quanto Vescovo di Roma, considero uno dei miei doveri prioritari la ricerca del ristabilimento della piena e visibile comunione tra tutti coloro che professano la medesima fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo» (40).
Note:
1) Cfr. don Giovanni Poggiali, La storicità dei Vangeli, in Marco Invernizzi, Paolo Martinucci e Michele Brambilla (a cura di), Storia della Cristianità occidentale, D’Ettoris Editori, Crotone 2022, pp. 25-32. Va considerato che Siddharta Gauthama, detto «Buddha», è vissuto nel VI secolo a.C. Sebbene i suoi tratti biografici e le sue dottrine siano state messe per iscritto nel I secolo d.C., nessuno dubita della sua esistenza.
2) Cfr. Don Hubert Jedin (1900-1980), Breve storia dei concili, trad. it., Morcelliana, Brescia 1978, p. 19.
3) Cfr. Alberto Torresani, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme a Papa Francesco, Ares, Milano 2015, pp. 82-83.
4) Cfr. il mio L’Editto di Milano e la Chiesa costantiniana, in Storia della Cristianità occidentale, cit., pp. 42-43.
5) Don G. Poggiali, I concili cristologici: Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia, ibid., p. 49.
6) Messale Ambrosiano, ITL Libri, Milano 2024, p. 519.
7) Cfr. A. Torresani, op. cit., p. 81.
8) Cfr. Sergio Rinaldi Tufi, Archeologia delle province romane, Carocci, Roma 2012, pp. 289-290.
9) Cfr. Karl Baus (1904-1994), Lo sviluppo dei rapporti tra Chiesa e Stato nel IV secolo. La «Chiesa imperiale», in Don H. Jedin (a cura di), Storia della Chiesa, Jaca Book, Milano 2006, vol. II, p. 86.
10) Cfr. A. Torresani, op. cit., p. 81.
11) Cfr. K. Baus, op. cit., p. 27.
12)Don G. Poggiali, op. cit., p. 50.
13) Cfr. mons. Marco Navoni, La Settimana Santa ambrosiana. Storia e spiritualità, Centro Ambrosiano, Milano 1999, pp. 17-20.
14) Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Città Nuova, Roma 2001, V, 24.
15) Don Norberto Valli, Celebrazioni pasquali secondo il rito ambrosiano. La Settimana Autentica, Centro Ambrosiano, Milano 2024, p. 21.
16) Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1992, nn. 512-521.
17) Cfr. Keith F. Pecklers S.J., Atlante storico della liturgia, trad. it., Jaca Book-LEV, Milano-Roma 2012, pp. 62-64.
18) Cfr. mons. Claudio Fontana e Giorgio Guffanti, Avvento e Natale ambrosiano. Meditazioni liturgiche, Ancora, Milano 2007, p. 123.
19) Messale Ambrosiano, prefazio della Messa nella Notte di Natale.
20) Cfr. Mario Pani ed Elisabetta Todisco, Storia romana. Dalle origini alla tarda antichità, Carocci, Roma 2008, p. 344.
21) Cfr. A. Torresani, op. cit., pp. 82-83.
22) Cfr. Mons. Angelo Paredi (1908-1997), S. Ambrogio. L’uomo, il politico, il vescovo, Rizzoli, Milano 1985, pp. 33-34.
23) Don G. Poggiali, op. cit., pp. 51-54.
24) Cfr. Georg Ostrogorsky (1902-1976), Storia dell’impero bizantino, trad. it., Einaudi, Torino 1968, p. 307.
25) Cfr. A. Torresani, op. cit., p. 187.
26) Cfr. Joseph Ratzinger (1927-2022)-Benedetto XVI (2005- 2013), Gesù di Nazareth, trad. it., Rizzoli, Milano 2007, p. 8.
27) Cfr. Heribert Raab (1923-1990) e Oskar Köhler (1909-1996), Creazione e legge naturale. Storia della salvezza e mondo della storia, in H. Jedin (a cura di), Storia della Chiesa, cit., vol. VII, pp. 429-437.
28) Cfr. Oscar Sanguinetti, Pio X. Un Pontefice santo alle soglie del secolo breve, Sugarco, Milano 2014, pp.182-183.
29) Cfr. per esempio Romano Prodi, Francesco desiderava il cambiamento della Chiesa ma non era un populista (intervista a cura di Mario Ajello), nel sito web <https://www.romanoprodi.it/interviste/francesco-voleva-il-cambiamento-della-chiesa-ma-non-era-un-populista_22517.html> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 30-6-2025).
30) Cfr. Suor Elena Massimi, Diacone, una storia molte incertezze, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano, 28-9-2024.
31) Cfr. Maria José Arana e Adelaide Baracco, Donne sacerdote quando? Una questione aperta, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2025.
32) Cfr. San Giovanni Paolo II (1978-2005), Lettera apostolica «Ordinatio sacerdotalis» sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, del 22-5-1994.
33) Cfr. Cristina Simonelli, Nicea. Un anniversario audace, Centro Ambrosiano, Milano 2025, p. 70.
34) Ibid., p. 24.
35) Ibid., p. 44.
36) Ibid., p. 64
37) Ibid., p. 71.
38) Don Maurizio Girolami: il Concilio di Nicea segnò l’unità dei cristiani (intervista a cura di Simone Baroncia), nel sito web <https://www.acistampa.comstory/30215/don-maurizio-girolami-il-concilio-di-nicea-segno-lunita-dei-cristiani?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsenc=p2ANqtz-_XLnxqgt3seycESOYvhQiF-snP5iu4DroQaVlQEoFjGoHnB8tWoCD7oW72YVbVn4jpmYimtFOq9q-OnJvoKc4VeiG-EQ&_hsmi=365709641&utm_content=365709641&utm_source=hs_email>.
39) Francesco, Saluto alla delegazione del Consiglio Metodista Mondiale, 16-12-2024.
40) Leone XIV, Discorso ai rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali e di altre religioni, 19-5-2025.
