Nota del Centro Studi “Rosario Livatino” del 11/06/2019.
Non entriamo nel merito della sentenza che ieri ha ritenuto la responsabilità per diffamazione del prof. Massimo Gandolfini, in attesa di leggerne le motivazioni.
Osserviamo a margine che:
- resta sospesa la soluzione del necessario bilanciamento fra “l’ingerenza giudiziaria”, frutto di una “pressione sociale”, e una manifestazione di pensiero, cui ha richiamato di recente la sezione I della Corte EDU (sent. 7/03/2019 Sallusti c. Italia, ric. 22350/13). Tale decisione ha condannato l’Italia per una pronuncia per diffamazione a carico di un giornalista italiano, ravvisando il contrasto con l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la libertà di espressione: essa appare contraddetta dalla sentenza a carico del prof Gandolfini;
- ha invece conosciuto una accelerazione la sequenza di processi e di condanne nei confronti di esponenti del mondo pro family;
- non si ha notizia di iniziative giudiziarie o di condanne nei confronti di coloro che turbano lo svolgimento di iniziative pubbliche pro family e pro life, interrompendole e impedendo ai relatori di parlare, né – per restare alla figura del prof Gandolfini – nei confronti di chi esibisce in tali circostanze immagini o scritte di esecuzioni capitali.
Non è rassicurante che si possa impunemente incitare alla eliminazione fisica di un uomo perché difende la vita e la famiglia, e che al tempo stesso quella persona sia condannata per l’esposizione pubblica di idee contestate evocando il cappio.
Roma, 11 giugno 2019