di Daniele Fazio
È noto l’episodio di san Paolo di Tarso (5-10 a.C.-67) che, giungendo ad Atene, vede la varietà dell’Olimpo greco e si sofferma sulla statua dedicata al «dio ignoto». Prendendo spunto proprio da questa iscrizione, inizia la predicazione agli ateniesi nello spazio più importante della città: l’Areòpago, il luogo dell’assemblea degli anziani deputati alla custodia delle leggi.
L’episodio è in qualche modo paradigmatico anche per il contesto attuale. Ci si ritrova infatti ogni anno a constatare come – soprattutto in Occidente – si festeggi un Natale svuotato di origine e significato: un Natale “laicista” che a stento conserva il nome, ma che subito diventa tutto tranne che riferimento a ciò che è in essenza. Ci si trova innanzi a luci senza riferimento alla Luce, di fronte a spettacoli, nelle scuole, che di tutto parlano tranne di Chi dovrebbe essere sul serio festeggiato, ci si scambia regali senza capire l’origine del dono supremo che Dio ha riservato all’uomo e si è pregni di bontà vaghe avendo in radice rifiutato il Bene.
Se questo è il contesto “neopagano”, due sono le alternative: o quella di chiudersi in un giudizio di condanna, sdegnandosi e basta (il primo moto di Paolo vedendo quelle divinità fu proprio questo) o quella missionaria, messa in atto dallo stesso Apostolo delle genti. Ora, proprio perché non si è soddisfatti di un Natale depauperato, l’indignazione deve tradursi in spunto per tornare a comunicare l’essenziale affinché il Natale non sia quindi più ignoto. Ma evidentemente occorrono missionari che, come san Paolo, prendano spunto dall’insufficienza e dalla paradossalità della cultura dominante e che dall’ignoto conducano al noto, dagli effetti culturali e sociali di una festa conducano al suo nucleo germinativo.
Solo così la varietà e la bellezza dei decori luminosi diventerà l’occasione per far riflettere sulla Luce che venne nel mondo a diradare le tenebre del male, cioè del peccato.
La mancata menzione nelle recite natalizie di Gesù Cristo diventerà l’occasione per far riflettere sull’assurdità di festeggiare una festa senza riferimento al Festeggiato e sul fatto che, Natale significando nascita, vuol dire che viene al mondo un bambino straordinario in quanto uomo e Dio al tempo stesso, ragion per cui i suoi seguaci hanno realizzato un contesto storico-sociale in cui il tempo è stato scandito a partire dalla centralità dell’evento natalizio.
La tradizione dello scambio dei doni diventerà l’occasione per far comprendere come essa scaturisca dalla consapevolezza del dono di amore che Dio ha fatto all’umanità diventando uomo e portando la salvezza che da sola l’umanità non poteva trovare.
La carica di bontà che in questi giorni invade gli animi non può che essere una modalità passeggera, se non si ancora alla sua fonte e non si consolida conoscendo il Sommo Bene, che è Dio stesso.
Si potrebbe certamente continuare con gli esempi, ma forse val la pena ricordare come si conclude la visita di san Paolo nell’Areòpago. Convertirà tutti? Tutti lo seguiranno? Assolutamente no. Solo qualcuno lo seguirà. Non si deve avere l’ansia del risultato, ma oggi più che mai occorre predicare, come il santo apostolo delle genti, prendendo spunto da ogni segno che possa ricondurre a ciò che di più vero, giusto, bello e santo un cristiano può trasmettere al prossimo: il dono di incontrare il Salvatore del mondo. E anche se non tutti ascolteranno, qualcuno certamente lo farà. Proprio per quel qualcuno vale la pena tornare a essere missionari.
Lunedì, 23 dicembre 2019