di Marco Invernizzi
Il nuovo anno è iniziato come si era concluso, più o meno. Il mondo occidentale appare sempre più stanco e avviluppato su sé stesso. Cerca disperatamente qualche causa per cui spendersi e così sopravvivere, ma le trasforma tutte in ideologie, peraltro vecchie, come per esempio l’ambientalismo, che non decolla perché riguarda soprattutto Paesi non occidentali dove le conseguenze del mancato rispetto dell’ambiente sono molto più evidenti che da noi. Se si vuole parlare di smog, si guardi infatti alle megalopoli cinesi avvolte in una sorta di nebbia artificiale e non dove i miglioramenti sono visibili a memoria d’uomo, come nelle città europee.
Se si vuole parlare di custodia del creato lo si faccia, ma senza quelle imposizioni ideologiche tipiche delle università dove oggi, per potere esprimere pubblicamente una opinione, si deve fare una professione di fede ambientalista come 50 anni fa si doveva professare l’antifascismo per potere avere diritto all’“agibilità politica”. Se questa è la democrazia, viene da chiedersi perché pochi sposino la causa dei ribelli di Hong Kong che non vogliono, a larghissima maggioranza confermata dalle elezioni ma soprattutto da una straordinaria partecipazione alle manifestazioni di piazza, finire per sempre all’interno del sistema totalitario cinese.
In Occidente si continua a ignorare la condizione drammatica dei popoli, il nostro in particolare, che hanno smesso di fare figli e che sono così destinati all’estinzione. Un’esagerazione? Non credo, perché i numeri non sono un’opinione; e se i morti sono più dei nati, la fine di un mondo è soltanto una questione di tempo. Il saldo naturale fra nati e morti in Italia nel 2018 è, secondo i dati Istat, negativo: -193386 (www.demo.istat.it). E così avviene da molti anni.
Appunto, la fine di un mondo. Si tratta cioè della fine di questo mondo, costruito nei secoli dalla prima evangelizzazione, un mondo che ha conosciuto luci e ombre come tutte le società umane, ma che ha pure saputo edificare una civiltà straordinaria, capace di unire bellezza e amore per il prossimo, cattedrali e ospedali, attenzione ai poveri e costruzione di quelle classi medie che sono la spina dorsale di tutti i Paesi.
Adesso questo mondo resta solo nella memoria degli studiosi, nei monumenti storici, nei libri (per chi li legge), e lo ricordano agli italiani i milioni di turisti che ogni anno vengono a visitare chiese e castelli, borghi medioevali e musei.
La letteratura sulla crisi di questo mondo è articolata e ormai dura da circa un secolo: Oswald Spengler (1880-1936), Johan Huizinga (1872-1945), Joseph Roth (1894-1939), ma anche la scuola contro-rivoluzionaria, che, a partire dal 1789, ha messo in risalto come il mondo che stava nascendo avrebbe generato tanta ingiustizia e disperazione, accanto a un innegabile progresso materiale peraltro già iniziato durante il Medioevo.
Fra chi si interroga sul futuro di questo mondo vi è il Magistero della Chiesa e questo avviene con particolare attenzione almeno dal pontificato del venerabile Pio XII (1876-1958). Ne ha parlato Papa Francesco il 21 dicembre rivolgendosi alla curia romana. Il discorso non ha però avuto l’eco che meritano le riflessioni svolte in quella circostanza, che di solito hanno un carattere programmatico.
Forse c’erano delle frasi non opportune per la sensibilità di molti importanti sostenitori del Papa, che non amano i riferimenti a un «cambiamento che si fonda principalmente sulla fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione» e al rifiuto di una «pastorale relativistica», mentre per i suoi detrattori abituali il Pontefice avrebbe forse dovuto dire altre cose.
Ma in sostanza il Santo Padre ha voluto proporre ancora una volta a tutti i fedeli una prospettiva missionaria, cioè un ragionamento assai semplice e che dovrebbe convincere chiunque: se circa l’80% degli italiani (nel resto dell’Europa la percentuale è più alta, tranne che in Polonia e in pochi altri Paesi) non frequenta la Chiesa, sarebbe giusto preoccuparsi di andare a cercarli, cercando di formare in questa prospettiva apostolica il restante 20%. Infatti, ha detto Papa Francesco citando il proprio predecessore Benedetto XVI, «mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (Porta fidei, 2). Oggi viviamo un «cambiamento d’epoca», non semplicemente un’epoca in cui si sono verificati alcuni cambiamenti, ha ripetuto il Santo Padre, e quindi «le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale».
Che significa tutto ciò? Semplicemente che ciascun battezzato dovrebbe assumere l’atteggiamento del missionario e cercare con tutte le sue forze di portare Cristo e di portare a Cristo coloro che incontra lavorando o giocando, facendo la spesa o andando al cinema, in qualsiasi situazione si venisse a trovare.
Se questo non avviene, nulla avviene. Non saremo certo noi, con le nostre forze, a operare la nuova evangelizzazione del vecchio mondo un tempo cristiano, e tuttavia sappiamo che Cristo opera nei cuori ordinariamente attraverso persone che parlano ad altre persone, contribuendo a costituire un ambiente comune dove sia più facile trasmettere la fede. Ma se questo avviene, allora un mondo migliore sarà veramente possibile.
Venerdì, 3 gennaio 2020