Massimo Introvigne, Cristianità n. 131 (1986)
Intervista con lo storico Jean Dumont
L’Inquisizione fra miti e interpretazioni
Jean Dumont, che ho incontrato a Torino in occasione di una conferenza sulla Rivoluzione francese organizzata il 26 febbraio 1986 da Alleanza Cattolica e da Amicizia Cattolica, è soprattutto noto – oltre che per un suo recente best-seller sulla Rivoluzione francese – per le sue ricerche sull’Inquisizione spagnola, un argomento di cui è considerato uno dei maggiori specialisti mondiali. Su questo tema, poco noto al pubblico italiano al di là dei miti e dei luoghi comuni, ho rivolto a Jean Dumont alcune domande.
La propaganda rivoluzionaria e il mito dell’Inquisizione spagnola
D. Nel suo volume sulla Rivoluzione francese vengono passati in rassegna i miti anti-cattolici diffusi dagli illuministi negli anni precedenti il 1789 e che preparano il clima rivoluzionario. Tra questi miti Lei non cita l’Inquisizione spagnola. Perché?
R. La polemica contro l’Inquisizione non è centrale nella letteratura anti-cattolica degli anni precedenti il 1789. Sull’argomento vengono diffusi soltanto uno o due opuscoli, mentre vi sono decine di testi su altri temi come il preteso genocidio del Perù o la pretesa corruzione morale nei conventi. Il vero mito dell’Inquisizione spagnola nasce più tardi, con l’invasione della Spagna e la propaganda – stampata del resto in Francia – di autori illuministi e liberali spagnoli come Juan Antonio Llorente. Vi è una ragione che spiega perché l’arma della polemica anti-inquisitoriale non sia stata usata prima del 1789: in Francia era ancora vivo il ricordo della letteratura propagandistica finanziata dal cardinale di Richelieu contro la Spagna, che accusava l’Inquisizione spagnola – al contrario – di non essere seria e di non perseguire a sufficienza i nemici della fede; si trattava di dimostrare – falsamente, peraltro – in funzione antispagnola che solo la Francia, figlia primogenita della Chiesa, difendeva davvero la fede.
Le diverse Inquisizioni
D. Nei suoi scritti sull’Inquisizione Lei distingue anzitutto fra Inquisizione francese, spagnola e romana in modo molto netto …
R. Per la verità i miei studi riguardano soprattutto l’Inquisizione spagnola, anche se molto recentemente ho raccolto documenti interessanti sull’Inquisizione francese e sulla crociata contro gli albigesi. Su quest’ultimo argomento credo significativo raccontare un piccolo aneddoto. Se si apre un qualunque testo scolastico francese di storia si legge che, nella crociata contro gli albigesi, è stata distrutta la città di Béziers e ne sono stati massacrati tutti gli abitanti. Ai capi militari della crociata, che chiedevano come distinguere tra abitanti albigesi e cattolici, il legato pontificio avrebbe risposto: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi». È una frase famosa, che si radica nella memoria di tutti gli scolari francesi. Bene: eruditi locali hanno recentemente mostrato che a Béziers non vi erano albigesi, che la crociata non è passata da Béziers e meno che mai sono transitati dalla città «legati pontifici». Béziers fu messa a sacco – è vero – in anni non lontani dalla crociata, ma nel contesto di una guerra feudale tra due famiglie della zona, del tutto priva di motivazioni religiose. Ma chi corregge i libri di testo? Per valutare l’Inquisizione francese delle origini occorre avere anzitutto una buona informazione sui catari: non si trattava di un movimento di pacifisti innocui, ma di bande di fanatici che predicavano l’assassinio dei nemici e il suicidio di massa – la famosa endura, una sorta di auto-genocidio -, quindi di un pericolo mortale per l’Europa, che l’Inquisizione francese ha definitivamente sconfitto, peraltro spesso con la mitezza e la tolleranza e solo raramente con la forza. A partire da Filippo il Bello l’Inquisizione francese diventa una sigla di cui si appropria il potere politico «laico» e su cui la Chiesa non ha più alcun controllo effettivo. I tribunali «inquisitoriali» che processano i templari e poi Giovanna d’Arco non sono più la vera Inquisizione, ma manifestazioni del potere «laico».
Quanto all’Inquisizione romana – su cui molti studi restano da fare – la mia impressione, come specialista dell’Inquisizione spagnola, è di trovarmi di fronte a una realtà per certi versi dilettantesca, priva della competenza e della sapienza giuridica che si manifestano in Spagna. Spesso gli inquisitori romani non sono inquisitori di professione, ma personaggi di curia impegnati in mille altre cose e che, occasionalmente, esercitano questa funzione giudiziale. Questa circostanza – mi pare – potrebbe spiegare certi errori evidenti e certe severità eccessive che talora appaiono frettolose. Quando parlo di severità eccessive non dimentico, naturalmente, che anche l’Inquisizione romana, nei suoi periodi più duri, era pur sempre più tollerante dei tribunali «laici» delle stesse epoche; e delle Inquisizioni protestanti, che erano davvero durissime come hanno mostrato gli studi recenti di Jean-Marc Brissaud che – come direttore di collane editoriali – ho contribuito a far pubblicare.
All’origine dell’Inquisizione spagnola
D. La sua tesi centrale sull’Inquisizione spagnola – come merge dai suoi libri – è che si è trattato di un’istituzione necessaria, indispensabile e che ha evitato guai peggiori …
R. Raramente chi parla dell’Inquisizione spagnola adotta il punto di partenza corretto, che è la questione ebraica in Spagna. Il problema era antico: già in epoca romana l’Andalusia veniva chiamata «la seconda Palestina» per il gran numero di ebrei che vi si erano stabiliti fin da tempi antichissimi, seguendo i fenici. Si calcola che in epoca imperiale il venticinque per cento della popolazione andalusa fosse ebrea, con punte del trentatré per cento nelle grandi città come Siviglia e Cadice. Certi studiosi sostengono che una intera tribù d’Israele, la tribù di Giuda, si era trasferita in Andalusia. Con il cristianesimo questi ebrei non si convertono; recentemente sono stati pubblicati i documenti completi del primo concilio nazionale nella storia della Chiesa, il concilio di Elvira agli inizi del IV secolo, dove si può dire che non si è parlato altro che degli ebrei andalusi. Mille anni dopo, nel secolo XV, il problema si poneva in modo diverso. Molti ebrei si erano convertiti al cattolicesimo formando una classe di conversos che dominava l’economia, la cultura e talora anche le cariche ecclesiastiche, suscitando il rancore dei cattolici di origine non ebraica, che a poco a poco si vedevano sfuggire tutte le posizioni di potere. Il rancore diventa violenza quando, in alcuni casi evidenti, gruppi di conversos rivelano chiaramente che la loro adesione al cattolicesimo è stata puramente formale e mossa dal desiderio di occupare cariche pubbliche – riservate ai cattolici – celebrando in pubblico riti inequivocabilmente giudaici o «giudaizzando» i riti cattolici. È un fatto noto agli storici e largamente provato che, a un certo punto, nella cattedrale di Cordoba si celebrava un ufficio che aveva ben poco di cattolico e dove tutti i riferimenti culturali erano giudaici. A partire dal 1391 esplodono in Spagna episodi di violenza popolare contro gli ebrei, sia di religione giudaica che conversos, che fa molti morti: e sarebbe stato un bagno di sangue senza il ricorso all’Inquisizione, richiesto insistentemente al re da molti autorevoli conversos. Qual è dunque lo scopo primo dell’Inquisizione? Colpire i falsi conversos che hanno finto la conversione per ragioni di convenienza e che «giudaizzano» i riti cattolici. Ma qual è il rovescio della medaglia? L’Inquisizione, colpendo una ridotta percentuale di conversos, certifica che tutti gli altri conversos – la stragrande maggioranza, quella che non viene colpita – è composta da veri cattolici e da veri spagnoli, che nessuno ha il diritto di discriminare e meno ancora di attaccare con la violenza. Dal momento in cui nasce l’Inquisizione spagnola i promotori di tumulti anti-giudaici perdono qualunque giustificazione, vengono colpiti dal potere reale e in pochi anni i tumulti spariscono. Colpendo una minima percentuale di conversos fittizi l’Inquisizione ha salvato gli ebrei convertiti di Spagna dalle invidie e dai tumulti e ne ha garantito la prosperità: sono di origine ebraica Diego Lainez, il grande protagonista del Concilio di Trento, molti gesuiti, grandi famiglie come gli Acosta di Medina del Campo – che daranno cinque fratelli, i famosi padri Acosta, alla Compagnia di Gesù – e i marchesi di Cadice, poi noti come duchi di Arcos. Ma ancora: a chi la Chiesa mette in mano l’Inquisizione? A conversos, a cattolici di origine ebraica come Tomas de Torquemada e come il suo successore Diego Deza. Garanzia di un trattamento senza pregiudizi anti-giudaici; e forse ragione occulta delle incredibili menzogne che tutta una letteratura di propaganda ha diffuso su questi personaggi. Pochi sanno che lo stesso Torquemada è uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca: tutto il magnifico complesso di San Tommaso d’Avila, il vertice del gotico spagnolo, è il frutto del mecenatismo di Tomas de Torquemada, a cui deve molto anche la grande pittura di Pedro de Berruguete. Ma desterà ancora maggiore stupore sapere che Tomas de Torquemada è stato un inquisitore generale relativamente mite e liberale, che si è battuto per ottenere ampie amnistie come quella del 1484, di cui ha beneficiato il nonno di santa Teresa d’Avila, un ebreo converso sorpreso a «giudaizzare», che con l’amnistia si ritrova libero e riabilitato fino a potere diventare direttore delle finanze reali ad Avila. Tra l’altro, la pena a cui era stato condannato non era poi terribile: doveva visitare in abito da penitente un certo numero di chiese tutti i venerdì.
I fatti e le cifre
D. L’obiezione che le è stata talora rivolta è che – se anche le dimensioni quantitative delle condanne dell’Inquisizione sono state esagerate e vanno riviste – resta pur sempre vero che un certo numero di uomini ha perso la vita per le proprie idee, un fatto a cui la coscienza moderna afferma di ribellarsi …
R. Anzitutto l’esagerazione relativa alle cifre è stata talmente clamorosa da far concludere alla falsificazione deliberata. Vi sono ancora in circolazione libri che parlano di centinaia di migliaia di vittime dell’Inquisizione spagnola: libri scritti da persone che ricopiano fonti propagandistiche dell’Ottocento e che non sanno neppure che dagli archivi possono essere ottenute informazioni quasi complete. Uno studio quantitativo, condotto anche con l’aiuto del computer, dei processi dell’Inquisizione spagnola è in corso, ma vi sono già dei risultati parziali. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, completato lo spoglio di cinquantamila processi che coprono l’arco di centoquarant’anni, ha reperito circa cinquecento casi di condanne a morte eseguite, cioè l’uno per cento. Altri studiosi hanno confermato questi dati.
L’Inquisizione spagnola è figlia della sua epoca, e va paragonata a fenomeni analoghi in altri paesi, per esempio alle decine di migliaia di morti della repressione anticattolica in Irlanda e in Inghilterra. Quanto alla coscienza moderna, è poi così certa di essere più tollerante di ieri? La repressione ideologica, religiosa, razziale comunista o nazionalsocialista ha fatto milioni di morti, mille e più volte dell’Inquisizione spagnola. E l’alternativa all’Inquisizione spagnola – come ho accennato – sarebbe stata la furia cieca e sanguinaria dei tumulti anti-ebraici e della guerra civile. Non è poi del tutto esatto dire che le vittime dell’Inquisizione spagnola sono morte «per le loro idee»; nessun ebreo dichiarato è stato condannato perché tale, mentre sono stati condannati coloro che si fingevano cattolici per ricavarne vantaggi. Come tutti i tribunali l’Inquisizione ha commesso errori: ma doveva essere un tribunale prudente, se lo spoglio degli archivi sta rivelando che un processo su cento portava il condannato alla pena capitale. Degli altri novantanove si penserà forse che esponessero il reo ai famosi orrori delle «prigioni dell’Inquisizione». In realtà, solo recentemente gli storici hanno scoperto – è ormai un fatto indiscusso – che le formule «prigione perpetua» e «prigione irremissibile» non significano affatto l’ergastolo, ignoto in Spagna. La «prigione perpetua» durava in genere cinque anni e quella «irremissibile» otto. Le prigioni dell’Inquisizione erano fra le migliori dell’epoca e molti istituti moderni a favore dei detenuti risalgono all’Inquisizione spagnola: il trasferimento in casa o in convento dei detenuti anziani e ammalati, per esempio, così come la semi-libertà. Tutto questo in un’epoca in cui il carcere «laico» era – quello sì – spesso spaventoso. Vale la pena, forse, di aggiungere una parola sulla tortura: era comune all’epoca nella procedura «laica», mentre le istruzioni degli inquisitori generali raccomandano di farvi ricorso con la più grande parsimonia. Anche qui parlano i verbali e gli archivi: nell’epoca di maggiore voga della tortura, in Spagna, a Valenza, su duemila processi dell’Inquisizione, nell’arco che va dal 1480 al 1530, sono stati ritrovati dodici casi di tortura. La proporzione in altre epoche e altre città in genere non è la stessa: è minore.
Ho insistito sui processi contro i giudaizzanti e i falsi conversos perché statisticamente rappresentano la grande maggioranza dei processi dell’Inquisizione spagnola; sono molti meno i casi in cui sono stati presi in considerazione musulmani falsamente convertiti, e pochissimi i casi di repressione di umanisti o di illuministi. I seguaci spagnoli di Erasmo, che ho particolarmente studiato, tra cui i Valdés – di cui ho ritrovato gli archivi – sono stati disturbati, ma mai seriamente perseguiti. E chi viene presentato come grande martire illuminista degli ultimi anni dell’Inquisizione? Pablo de Olavide. Per dare un esempio ai lettori e diffusori dei filosofi francesi – i cui libri, teoricamente vietati, sono stati ritrovati in gran copia nelle biblioteche spagnole del Settecento – Pablo de Olavide viene condannato dall’Inquisizione, nel 1778, alla prigione «irremissibile», dunque – come sappiamo – a otto anni, da scontare in convento anziché in prigione a causa della sua malattia. Appena in convento, Pablo de Olavide protesta di aver bisogno di cure termali, e viene mandato alle terme in Castiglia. Poiché queste non gli giovano, protesta di nuovo chiedendo di essere mandato ad altre terme in Catalogna. Anche stavolta l’Inquisizione lo accontenta, e così da una stazione termale vicina al confine può facilmente rifugiarsi in Francia dove viene accolto come martire dell’Inquisizione destinato ad una lunga carriera sui libri di testo; i quali – tra l’altro – dimenticano di dire che Olavide, anni dopo, sarà convertito dal terrore rivoluzionario e, da illuminista che era, chiuderà la sua vita scrivendo in difesa della religione.
Il futuro del mito
D. Il mito relativo all’Inquisizione è stato in parte demolito: ma le ricerche degli specialisti non sono affatto conosciute dal grande pubblico. Prevede qualche modifica a questa situazione nel prossimo futuro?
R. Circa la Francia sono scettico. In Spagna passo gran parte del mio tempo, e mi sembra che sia rimasto almeno qualcosa di quello spirito che spingeva il popolo a firmare in massa, nel tardo Settecento, petizioni di protesta contro l’abolizione dell’Inquisizione. Le voglio raccontare una delle esperienze più interessanti della mia vita. Dopo la pubblicazione del mio volume sull’Inquisizione spagnola, la Gran Loggia della massoneria francese – e sappiamo che importanza ha l’Inquisizione nella propaganda massonica – mi ha invitato, nell’ottobre del 1983, a tenere una conferenza a porte chiuse, con successivo dibattito, ai massoni di venti diverse logge francesi e a una delegazione di massoni spagnoli. Una conferenza bizzarra: come oratore ero messo in una posizione quasi laterale al pubblico, che rimaneva in ombra in modo che non potessi distinguere bene le persone. Ho riassunto il mio libro senza omettere nulla, e alla fine il gran maestro ha introdotto il dibattito con un attacco durissimo, dicendo che il mio intervento era stato provocatorio. Da parte mia, non avevo promesso niente di diverso. Ebbene, uno dei massoni spagnoli si è alzato e ha detto che le critiche del gran maestro erano fuori posto, e che la lezione da trarre dalla mia conferenza era che bisogna smettere di attaccare la Chiesa con argomenti ormai storicamente inaccettabili e che rischiano di essere confutati. Qualche tempo dopo questo signore – un avvocato molto noto a Malaga – è venuto a trovarmi in Spagna e mi ha raccontato un episodio che mostra come il popolo spagnolo – che può avere punte di anticlericalismo feroce – conserva un certo rispetto per la sua storia. Raccontava questo massone spagnolo di essersi fermato in un caffè di periferia pieno di operai in tuta arringati da un pastore protestante – vi è una vera offensiva protestante in Spagna – che li invitava a una riunione. A un certo punto, di fronte alle insistenze del pastore, un operaio aveva dato questa risposta, in cui vi è tutta una certa Spagna: «Senti, amico, io sono ateo. Non credo neppure al Dio cattolico, che è il vero Dio. Figuriamoci se credo al tuo …».
a cura di Massimo Introvigne