Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 11-12 (1975)
PREFAZIONE
Nell’agosto 1963, quando fu pubblicato per la prima volta questo studio, la diplomazia e la propaganda comuniste facevano sforzi sempre maggiori per instaurare il regime di coesistenza pacifica tra i due mondi, quello capitalista e quello comunista, e i rapporti tra l’Occidente e l’Oriente cominciavano appena a uscire dal regime della guerra fredda.
Bersagli privilegiati dello sforzo “pacifista” sovietico erano, naturalmente, i due grandi pilastri della resistenza al comunismo: in campo materiale gli Stati Uniti, in campo spirituale la Chiesa cattolica.
Nella potente nazione nordamericana, la propaganda diretta da Mosca si serviva di utili-idioti – di una idiozia forse discutibile, ma di una utilità sempre indiscutibile – per diffondere una atmosfera di ottimismo sentimentale e pacifista a oltranza che induceva surrettiziamente i nordamericani a dimenticare l’esperienza del passato, e a sperare in una riconciliazione definitiva con i sorridenti leaders sovietici dell’era post-staliniana.
In seno alla Chiesa la diffusione della stessa atmosfera era fatta attraverso gruppi di teologi e di uomini d’azione, ora ingenui, ora dichiaratamente di sinistra. L’illusione secondo la quale sarebbe stata possibile una autentica coesistenza pacifica tra la Chiesa e i regimi comunisti andava conquistando terreno, nonostante che in tutto il mondo comunista continuasse in tutto il suo rigore la lotta antireligiosa.
Questo studio è stato scritto per creare ostacoli – nella misura del possibile – alla dolosa manovra “pacifista” di Mosca negli ambienti cattolici.
* * *
Da allora a oggi, nel corso degli anni, diverse edizioni dell’opera si sono via via succedute: nove in portoghese, una in tedesco, undici in spagnolo, tre in francese, quattro in inglese, due in italiano, una in polacco e una in ungherese, per un totale di 144 mila esemplari, senza contare la trascrizione integrale su più di trenta giornali o riviste di undici paesi diversi.
Contemporaneamente, sulla grande scena mondiale anche gli avvenimenti hanno proseguito il loro corso. E, così come oggi si presentano, impongono la seguente constatazione: gli sforzi “pacifisti” di Mosca sono aumentati, sono riusciti a operare enormi trasformazioni, e stanno raggiungendo ampiamente gli obiettivi perseguiti.
Tra l’Occidente e le nazioni comuniste prosegue ostinatamente la “distensione” promossa da Nixon e da Kissinger. Anche il Vaticano sta “distendendo” in modo impressionante i suoi rapporti con i governi di Mosca e delle diverse nazioni satelliti. Parallelamente, l’ecumenismo ha offerto l’occasione per l’allacciamento di rapporti sempre più frequenti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa scismatica soggetta a Mosca.
Come segni di questo duplice avvicinamento – diplomatico e religioso – tra la Chiesa e il mondo comunista, non è superfluo ricordare alcuni grandi accadimenti: l’omissione di qualsiasi condanna del comunismo durante il Concilio Vaticano II; gli accordi con la Jugoslavia, l’Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia e la Germania Orientale; la lettera apostolica Octogesima adveniens; le difficoltà tra il cardinal Slipyj e i cattolici di rito ucraino e la Santa Sede; e la recente destituzione del cardinale Mindszenty dalla sede arcivescovile di Esztergom.
Diverso dalla doppia “distensione” Mosca-Washington e Mosca-Vaticano, ma a essa affine, vi è il fermento che lavora nelle sfere politiche più malleabili dell’Europa occidentale e orientale a favore della “convergenza”. Come tutti sanno, si tratta di una tendenza, che si esprime su diversi piani e con diversi nomi, all’adozione di uno stesso regime socio-economica in tutte le nazioni. Tale regime si porrebbe a una certa distanza tra la proprietà individuale e la proprietà collettiva. Se prevarrà questa tendenza, il mondo non comunista farà un passo enorme verso la sinistra. E la parte più “duttile” del mondo comunista forse farà un piccolo passo verso il regime di proprietà privata. Questa soluzione lascerà allora intravedere il giorno in cui le nazioni così “avvicinate” faranno un nuovo passo di avvicinamento verso la parte irriducibilmente comunista. E così si arriverà virtualmente al comunismo. Il futuro proverà che le diverse tappe della “convergenza” sono solo altrettante tappe sulla via versa il polo più estremo e radicale costituito dal comunismo.
Tutto questo, ben inteso, se la Provvidenza non interromperà – e siamo certi che lo farà – la marcia di questo enorme processo di conquista del mondo da parte dei comunismo.
Questo panorama, considerato nel suo insieme, dà una visione impressionante della escursione del potere comunista nel mondo. E impone una domanda: questa escursione presenta anche altri aspetti?
Sarebbe impossibile non ricordarne almeno tre:
a) il crescente disagio nei rapporti tra l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti minaccia gravemente l’Alleanza Atlantica;
b) una crisi economica e finanziaria, confusa nelle sue cause e nelle sue manifestazioni, sembra erodere l’economia occidentale;
c) infine, in un altro ordine di fatti, la potenza militare della Russia sta crescendo sempre di più, nella misura in cui l’influenza internazionale degli Stati Uniti sta ovunque riducendosi, e la potenza militare nordamericana sta lasciandosi raggiungere o superare da quella russa.
Se, nell’anno in cui fu pubblicato questo studio, qualcuno avesse osato prevedere tante calamità, avrebbe trovato ben poche persone disposte a dargli credito. La maggior parte di queste persone, poste oggi di fronte a questi fatti incontestabili, non li trova sorprendenti, e ancora meno pericolosi.
Forse la maggiore delle calamità è proprio questa: l’intorpidimento dei buoni.
* * *
Di fronte a questo quadro, che cosa si propone questa nuova edizione di uno studio, che invita a lottare contro un avversario la cui vittoria finale, ancora prima di realizzarsi, a tanti spiriti pusillanimi sembra ormai definitiva.
A certe categorie di persone consiglio di non leggere questo saggio. Non è stato scritto per le mentalità accomodanti, per gli idolatri del fatto compiuto. E neppure per i pigri e per i paurosi, per i quali lo sforzo e il rischio costituiscono mali che non sono assolutamente disposti ad affrontare. Ancora meno per gli ambiziosi, che cercano di indovinare il corso degli avvenimenti, per sapere in anticipo davanti a chi dovranno piegarsi, nell’intento di aumentare più rapidamente le loro ricchezze o il loro potere.
Leggendo questo saggio, perderanno soprattutto il loro tempo gli uomini senza fede, che non credono in Dio, e pensano che il corso della storia, nelle epoche di catastrofe e di decadenza, sia esclusivamente soggetto alle cieche forze sociali ed economiche, o alle personalità, nello stesso tempo insipienti e mostruose, che compaiono allora sulla cresta degli avvenimenti.
Le persone di queste diverse categorie non sono preparate a dare il dovuto valore al fatto che l’opinione pubblica è stata misteriosamente addormentata, ma certamente non conquistata, dalla propaganda sovietica. Oggi rimane assolutamente vero, come lo era nel 1963, che il comunismo non si è mai dimostrato capace di raggiungere la maggioranza in elezioni libere e senza frode (1).
Da allora a oggi, sono trascorsi undici anni di fermo e generale rifiuto del comunismo. Bisogna poi aggiungere che la non rassegnazione al comunismo, intatta in Occidente, non ha fatto altro che crescere, in questi undici anni, oltre la cortina di ferro. Sono tante e così note le manifestazioni di questo fatto, che mi dispenso dal commentarle.
In sintesi, il comunismo ha al suo servizio la potenza, l’oro, la propaganda. In certe élites corrotte continua ad aumentare. Ma le moltitudini, da una parte non le conquista, dall’altra le perde. E di fronte a questa constatazione, il suo potere, formidabile come un gigante, lascia vedere bene a nudo i suoi piedi d’argilla.
Tuttavia che questi piedi siano d’argilla lo colgono soltanto, con tutta chiarezza, gli uomini di fede, che non si lasciano ingannare dal turbine della propaganda fatta intorno alla supposta onnipotenza comunista. Essi credono in Dio, confidano nella Vergine e sono fermamente disposti a scendere in lotta, certi che la vittoria finale appartiene a loro.
Solo da tali uomini, che sanno vedere che i piedi del colosso sono di argilla, si può sperare che lo calpestino. Questo saggio è stato scritto per loro. Provando l’impossibilità della coesistenza della Chiesa con i regimi comunisti, questo studio mira ad aiutarli a confermarsi in una posizione di totale rifiuto di ogni manovra comunista; e costituisce uno stimolo affinché, in numero sempre maggiore, attacchino l’avversario terribilmente grande e ridicolmente debole. Ripetiamo: lottando per la causa di Dio, avranno con loro l’aiuto del Cielo e potranno, con l’ausilio della Vergine, rinnovare la faccia della terra.
Plinio Corrêa de Oliveira
San Paolo, luglio 1974
INTRODUZIONE
La Chiesa può essere veramente libera in uno Stato comunista? Limiti e caratteri di questo studio.
Prima di entrare in argomento mi sembra necessario definire i limiti naturali di questo studio. Esso verte sul problema della liceità della coesistenza pacifica tra la Chiesa e il regime comunista, negli Stati nei quali questo regime è vigente.
L’argomento non va confuso con quello della coesistenza pacifica, sul piano internazionale, tra gli Stati che vivono sotto regimi politici economici e sociali diversi; né con quello delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e le nazioni soggette al giogo comunista.
L’analisi, anche se superficiale, di questi due argomenti, ciascuno dei quali ha caratteristiche e prospettive molto peculiari, comporterebbe un ampliamento oltre misura di questo studio. Non li teniamo dunque presenti nel corso di queste pagine, dedicate esclusivamente a studiare se, e a che condizioni, la Chiesa può coesistere, veramente libera, con un regime comunista.
Non tratteremo neppure, in questa sede, il problema della collaborazione tra cattolici e comunisti nei paesi non comunisti. L’argomento è stato trattato, con il notorio acume, da S. E. Rev.ma mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, nella sua magnifica lettera pastorale per mettere in guardia i fedeli della propria diocesi contro le insidie della setta comunista (2).
Detto questo, passiamo direttamente all’argomento, cominciando dall’analisi dei fatti.
I
I FATTI
All’inizio, l’atteggiamento dei governi comunisti era di chiara e aperta persecuzione della religione: alla Chiesa non rimaneva altra alternativa che quella di reagire contro di essa energicamente. In mezzo a drammatiche peripezie è corso abbondantemente il sangue dei martiri. E il comunismo non è riuscito a estinguere la fede nelle anime dei popoli che gli sono soggetti.
Da qualche tempo a questa parte alcuni governi comunisti stanno cambiando tattica. Hanno inaugurato un’era di tolleranza limitata, nella quale si apre alla Chiesa la prospettiva di una tenue libertà di culto e di parola. In verità molto tenue, perché la Chiesa continua a essere combattuta apertamente dalla propaganda ideologica ufficiale e spiata dalla polizia.
1. Per molto tempo l’atteggiamento dei governi comunisti, non solo verso la Chiesa cattolica, ma anche verso tutte le altre religioni, è stato dolorosamente chiaro e coerente.
a) Secondo la dottrina marxista, ogni religione è un mito che comporta una “alienazione” dell’uomo a un ente superiore immaginario, cioè a Dio. Di tale “alienazione” approfittano le classi dominanti per mantenere il loro potere sul proletariato. Infatti, la speranza in una vita ultraterrena, promessa ai lavoratori rassegnati come premio della loro pazienza, opera su di loro come l’oppio, perché non si rivoltino contro le dure condizioni di esistenza che sono loro imposte dalla società capitalistica.
b) Così, nel mito religioso tutto è falso e nocivo all’uomo. Dio non esiste, non vi è vita futura; l’unica realtà è la materia in stato di continua evoluzione. L’obiettivo specifico dell’evoluzione consiste nel “dis-alienare” l’uomo da quanto si riferisce a qualsiasi sottomissione a signori reali o L’evoluzione, nel cui libero corso sta il bene supremo dell’umanità, trova dunque un serio ostacolo in ogni mito religioso.
c) Di conseguenza, lo Stato comunista, che per mezzo della dittatura del proletariato deve aprire la via alla “dis-alienazione” evolutiva delle masse, ha il dovere di distruggere radicalmente ogni e qualsiasi religione, e a questo fine, nel territorio sotto la sua giurisdizione, è suo compito:
– in un lasso di tempo maggiore o minore, a seconda della malleabilità della popolazione, chiudere tutte le chiese, eliminare tutto il clero, proibire ogni culto, ogni professione di fede, ogni apostolato;
– nella misura in cui non sia stato possibile raggiungere completamente questo risultato, mantenere verso i culti ancora non soppressi un atteggiamento di tolleranza ostile, di spionaggio di vario genere e di limitazione continua delle loro attività;
– infiltrare comunisti nelle gerarchie ecclesiastiche sopravviventi, trasformando dissimulatamente la religione in veicolo del comunismo;
– promuovere con tutti i mezzi a disposizione dello Stato e del partito comunista l’”ateizzazione” delle masse.
A partire dal momento in cui la dittatura comunista si è instaurata in Russia, e più o meno fino all’invasione dell’URSS da parte delle truppe naziste, la condotta del governo sovietico verso le varie religioni fu caratterizzata da questi principi.
Durante tutta questa prima fase, la propaganda comunista ostentava agli occhi del mondo intero la sua intenzione di distruggere tutte le religioni e mostrava chiaramente che, perfino quando ne tollerava qualcuna, lo faceva per arrivare più sicuramente a eliminarla.
2. Di fronte a questo modo di procedere del comunismo, anche la linea di condotta che doveva essere mantenuta dall’opinione pubblica cattolica si presentava semplice e chiara.
Perseguitata a oltranza in ragione di una incompatibilità sostanziale e completa tra la sua dottrina e quella del comunismo, la Chiesa poteva reagire solo a oltranza, con tutti i mezzi leciti.
Le “relazioni” tra i governi comunisti e la Chiesa potevano consistere solo in una lotta totale, per la vita o per la morte. Consapevole di questa situazione, l’opinione pubblica cattolica si ergeva in ogni paese come una sterminata falange, disposta a sopportare tutto, e perfino il martirio, per evitare l’instaurazione del comunismo. E nei paesi in cui questa si era verificata, i cattolici sopportavano con grande forza d’animo di vivere in una clandestinità eroica, come i primi cristiani.
3. Da qualche tempo a questa parte, l’atteggiamento di determinati governi comunisti in materia religiosa sembra presentare toni nuovi.
Infatti, mentre in alcune nazioni sotto il dominio comunista – per esempio la Cina – l’atteggiamento dei governi verso la religione rimane inesorabilmente lo stesso, in altre – come la Jugoslavia, la Polonia e più di recente la Russia – questo atteggiamento sembra si vada gradatamente modificando.
Così, in questi ultimi paesi, secondo quanto annunciano i rispettivi organi di propaganda, l’intolleranza del governo verso alcune religioni ha cominciato a essere sostituita da una tolleranza dapprima malevola, che è poi diventata, se non benevola, almeno indifferente. E il vecchio regime di coesistenza aggressiva tende sempre più a essere sostituito da quello improntato alla coesistenza pacifica.
In altri termini, i governi russo, polacco e jugoslavo mantengono completamente la loro adesione al marxismo-leninismo, che continua a essere per loro l’unica dottrina insegnata e accettata ufficialmente. Ma – su scala maggiore o minore a seconda del paese – sono passati ad ammettere una più ampia libertà di culto, e a concedere un trattamento senza violenza e, da qualche punto di vista, quasi corretto, alla religione o alle religioni di importanza considerevole nei rispettivi territori.
In Russia, come è noto, la religione che conta il maggior numero di adepti è quella greco-scismatica, comunemente detta “ortodossa”. In Polonia è la religione cattolica (la maggior parte dei fedeli è di rito latino). E in Jugoslavia sono numerose entrambe.
Di conseguenza, per la Chiesa cattolica, in certe nazioni oltre la cortina di ferro, si presenta una tenue libertà, consistente nella facoltà, ora maggiore, ora minore, di amministrare i sacramenti e di predicare il Vangelo a popoli quasi completamente privati di assistenza religiosa. Diciamo “tenue”, perché la Chiesa continua, nonostante tutto, a essere combattuta apertamente dalla propaganda ideologica ufficiale, e continuamente spiata dalla polizia, e perciò non può fare nulla o quasi nulla oltre a celebrare le funzioni del culto e a fornire qualche elemento di catechesi. In Polonia, oltre a questo, si tollera che tenga corsi per la formazione di sacerdoti, e si permettono certe opere sociali.
II
UN PROBLEMA COMPLESSO
Di fronte a questo cambiamento nel modo di comportarsi delle autorità comuniste di alcuni paesi, si aprono per la Chiesa due vie: accettare un accordo con il regime comunista o rifiutarlo, restando nella clandestinità. La scelta tra queste due vie dipende dalla soluzione data al seguente problema morale: è lecito ai cattolici accettare rapporti armoniosi con un regime comunista?
Mutato così, in qualche misura, il modo di procedere delle autorità comuniste, nei suddetti paesi si apre per la Chiesa cattolica due vie:
l a) lasciare l’esistenza clandestina e catacombale finora condotta oltre la cortina di ferro, e passare a vivere alla luce del sole, coesistendo con il regime comunista con un modus vivendi tacito o esplicito;
l b) oppure rifiutare qualsiasi modus vivendi e mantenersi nella clandestinità.
Scegliere tra queste vie è la questione tattica molto complessa che si pone, nel momento attuale, alla coscienza di numerosi cattolici. Diciamo “alla coscienza” perché la decisione, a questo bivio, dipende dalla soluzione che si dà al seguente problema morale: è lecito ai cattolici accettare un modus vivendi con un regime comunista? Questo il problema che, come abbiamo detto, intendiamo studiare in questo scritto.
III
IMPORTANZA DEL PROBLEMA SUL PIANO CONCRETO
Questo mutamento tattico del comunismo verso la religione sta portando un enorme beneficio alla causa comunista: l’opinione degli ambienti cattolici, che in altri tempi costituiva un muro invalicabile per la propaganda comunista, si è diviso circa l’orientamento da seguire. Si è così rotta la maggiore diga di opposizione ideologica al comunismo.
Prima di entrare nel merito del problema, diciamo qualcosa della sua importanza concreta.
L’importanza di questo problema per le nazioni sottoposte a regime comunista è ovvia.
Ci pare necessario dire qualcosa sulla sua portata nei paesi dell’occidente. E particolarmente per quanto si riferisce ai piani di penetrazione dell’imperialismo ideologico in questi paesi.
Il timore che, nel caso di una vittoria mondiale dei comunisti, la Chiesa si venga a trovare ovunque sottoposta agli orrori che ha sofferto in Messico, in Spagna, in Russia, in Ungheria o in Cina, costituisce la ragione principale della decisione di 500 milioni di cattolici sparsi nel mondo, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, di resistere al comunismo fino alla morte. Questa è pure la ragione principale, relativa alle rispettive religioni; dell’atteggiamento anticomunista delle centinaia di milioni di persone che professano altri credi.
Queste eroica decisione rappresenta, nell’ordine dei fattori psicologici, l’ostacolo maggiore – o forse perfino l’unico considerevole – a che il comunismo giunga a instaurarsi e a mantenersi in tutto il mondo.
Quali che siano i motivi tattici che determinano il citato mutamento nell’atteggiamento di alcuni governi comunisti verso i vari culti, il fatto è che la tolleranza religiosa, che attualmente praticano e che la loro propaganda annuncia in modo esagerato a tutto il mondo, sta già portando loro un enorme beneficio: di fronte alla alternativa da essa creata, le opinioni degli ambienti religiosi si vanno dividendo quanto all’orientamento da seguire, e con questo si sta rompendo la diga di opposizione massiccia e a oltranza contro il comunismo, mantenuta da tutti gli uomini che credono in Dio e gli tributano un culto.
Infatti, il problema della determinazione di un atteggiamento dei cattolici, e dei seguaci di altri credi, di fronte alla nuova politica religiosa di certi governi comunisti, sta dando luogo a perplessità, a divisioni e perfino a polemiche. A seconda del loro livello di fervore, del loro ottimismo o del loro pessimismo, molti cattolici continuano a pensare che la lotta a oltranza rimane l’unico atteggiamento coerente e sensato di fronte al comunismo; ma altri pensano che sarebbe meglio accettare da subito, e senza ulteriore resistenza, una situazione come quella della Polonia, piuttosto che lottare fino alla fine contro la penetrazione comunista e cadere nella situazione tanto più oppressiva in cui si trova l’Ungheria.
Inoltre, a questi ultimi pare che l’accettazione di un regime comunista – o semi-comunista – da parte dei popoli ancora liberi, potrebbe evitare la tragedia cosmica di una guerra nucleare. L’unica ragione che li porterebbe ad accettare con rassegnazione il rischio di una tale ecatombe, sarebbe il dovere di lottare per evitare alla Chiesa una persecuzione mondiale di un’ampiezza senza precedenti e tesa al suo sterminio totale. Ma, qualora questo pericolo non si presenti – poiché in certi paesi comunisti si tollera che la Chiesa sopravviva, sebbene ridotta a fruire di una libertà minima -, la disposizione ad affrontare il pericolo della guerra atomica diminuisce di molto. E guadagna terreno, in tali cattolici, l’idea che si possa stabilire ovunque, e su scala quasi mondiale, un modus vivendi – come quello polacco – tra la Chiesa e il comunismo, accettato come un male, ma come un male minore.
Tra queste due correnti, comincia a formarsi un’immensa maggioranza disorientata, indecisa e per ciò stesso psicologicamente meno pronta alla lotta di quanto non lo fosse fino a poco tempo fa.
Se questo fenomeno di debilitazione dell’atteggiamento anticomunista si produce in persone assolutamente ostili al marxismo, è ben naturale che sia più intenso nei cosiddetti cattolici di sinistra, sempre più numerosi, i quali, senza professare il materialismo e l’ateismo, hanno simpatie per gli aspetti economici e sociali del comunismo!
In sintesi, in tutti o quasi tutti i paesi non ancora soggetti al giogo marxista, milioni di cattolici che fino a ieri sarebbero morti di buon grado in eserciti regolari o in bande armate per evitare l’instaurazione del comunismo nelle rispettive patrie o per rovesciarlo nel caso fosse giunto a conquistare il potere, già oggi non hanno più la stessa predisposizione.
Nell’ipotesi di una crisi di panico – per esempio una suspense nell’imminenza di una guerra nucleare universale – questo fenomeno potrà accentuarsi ancora di più, spingendo eventualmente intere nazioni a capitolazioni catastrofiche di fronte alle potenze comuniste.
Queste considerazioni pongono in risalto tutta l’importanza dello studio tempestivo, nei loro vari aspetti, delle questioni morali inerenti all’alternativa posta alla coscienza di milioni e milioni di uomini nostri contemporanei dalla condotta di relativa tolleranza religiosa di alcuni governi comunisti.
È lecito affermare che dalla soluzione di questo problema dipende in modo considerevole il futuro del mondo.
IV
NON È POSSIBILE ELUDERE IL PROBLEMA
La rottura è opera diretta dei cosiddetti cattolici di sinistra, o progressisti.
La distensione inaugurata dal comunismo può solo essere frutto di un interesse politico: diminuzione delle crescenti tensioni dietro la cortina di ferro oppure la smobilitazione psicologica dell’Occidente, o entrambe le cose. Tali risultati stanno per essere raggiunti gradatamente e implacabilmente dal comunismo internazionale.
Diventa così indispensabile che i cattolici risolvano il problema morale e tattico che il fatto presenta loro.
L’attualità di questo studio diventa chiara quando si considera che questo scritto ha attraversato la cortina di ferro e ivi ha avuto ampie ripercussioni tra i cattolici.
L’utilità di tale studio sembrerà forse problematica ad alcuni spiriti frettolosi, che cercheranno di eludere il complicato problema con obiezioni preliminari che ci sembrano assolutamente contestabili.
Enumeriamo, a titolo di esempio, alcuni di questi preliminari, e le risposte che si potrebbero dare loro:
l a) Evidentemente la relativa tolleranza religiosa è soltanto una manovra comunista e quindi la prospettiva di un modus vivendi tra la Chiesa e qualsiasi regime marxista non può essere presa in seria considerazione.
Si potrebbe rispondere che nulla vieta di supporre che certe tensioni interne, di molteplice natura, abbiano imposto ad alcuni governi comunisti questo atteggiamento distensivo in materia religiosa. Così, la distensione potrebbe forse avere una certa durata e consistenza, e aprire alla Chiesa nuove prospettive.
l b) Qualunque accordo con gente che, come i comunisti, nega Dio e la morale, non offre garanzie di essere rispettato. Così, anche permettendo che oggi essi vogliano realmente tollerare fino a un certo punto la religione, domani, se converrà loro, scateneranno contro di essa la persecuzione più brutale e totale.
Riconosciamo che, in linea di principio, le cose stanno così. Ciononostante, benché la tolleranza religiosa dello Stato comunista si basi non certo sul rispetto della parola data, ma sull’interesse, essenzialmente politico, di evitare o di ridurre difficoltà interne, essa potrà durare tanto quanto durano queste difficoltà. Ossia, potrà eventualmente durare per un non breve lasso di tempo. Quindi le autorità comuniste, non per onestà, ma per calcolo, può darsi che osservino durevolmente le clausole dell’accordo che offrono a qualche culto.
l c) Questo studio non sarà di nessuna utilità per i popoli oltre la cortina di ferro, tra i quali il presente scritto non potrà circolare liberamente. Ai popoli di qua dalla cortina non interessa: a essi non si pone il problema della liceità di una possibile coesistenza della Chiesa con il regime comunista, poiché questo regime in Occidente non esiste. Il problema che interessa i popoli occidentali non è se si possa coesistere con un tale regime, ma che fare per evitare che esso si instauri. Di conseguenza, questo studio non interessa nessuno.
Per quanto riguarda i popoli di oltre cortina, non è vero che non possano prendere visione del presente studio, tanto è vero che ne sono venuti a conoscenza. Il settimanale Kierunki, di Varsavia, edito dalla associazione Pax, influente movimento polacco di estrema sinistra “cattolica”, ha pubblicato, in prima pagina e con grande risalto, una Lettera aperta al dr. Plinio Corrêa de Oliveira, ampia e indignata protesta contro questo scritto, a opera di un membro di rilievo del movimento, Zbigniew Czajkowski (3).
Ugualmente Tadeusz Masowiecki, redattore-capo del mensile Wiez e deputato del gruppo cattolico Znak alla Dieta polacca, ha pubblicato sulla sua rivista, in collaborazione con A. Wielowieyski, un articolo nel quale abbiamo motivi per vedere una risposta al presente studio (4). Se è stato necessario confutare questo nostro scritto, è perché in qualche modo ha superato la cortina di ferro e ha avuto ripercussioni in zone sottoposte al dominio comunista. Quanto all’interesse del tema in Occidente, la risposta a questa considerazione è che, in realtà, val più prevenire un male che porvi rimedio.
Ma può ben accadere che una nazione occidentale, o varie nello stesso tempo, si vedano costrette a scegliere tra i due mali, cioè la guerra moderna, interna ed esterna, convenzionale e termonucleare, con tutti i suoi orrori, o l’accettazione di un regime comunista.
In questo caso sarà necessario scegliere il male minore. E si porrà inevitabilmente il problema: se la Chiesa può accettare la coesistenza con un governo e un regime comunista, può darsi che il male minore consista nell’evitare l’ecatombe bellica, accettando come fatto compiuto la vittoria del marxismo; solo giudicando che tale coesistenza è impossibile, e che l’instaurazione del comunismo rappresenta un grave rischio di sradicamento completo o quasi completo della fede in un determinato popolo, solo allora il male minore sarà l’accettazione della lotta. Infatti la perdita della fede è un male maggiore della distruzione di tutto quanto la guerra atomica può distruggere.
Come si vede, tutte queste obiezioni preliminari, tendenti a evitare la messa a fuoco della questione, non hanno consistenza. Il problema della liceità della coesistenza tra il regime comunista e la Chiesa deve essere affrontato di petto, e può essere risolto in modo soddisfacente per tutti gli spiriti cattolici, solo se analizzato nella sostanza dei suoi aspetti dottrinali.
V
IL PROBLEMA
Se il regime comunista offrisse alla Chiesa libertà di culto a condizione che essa tacesse a proposito di certi errori del marxismo – in modo particolare la negazione della proprietà individuale o della famiglia -, la Chiesa potrebbe accettare questa proposta? La Chiesa potrebbe, per ottenere questa libertà di culto, accettare almeno la condizione di raccomandare ai cattolici di desistere da qualsiasi tentativo di restaurare nella legislazione la proprietà privata e la famiglia, giudicando l’abolizione di queste istituzioni condannabile soltanto in tesi, ma tranquillamente accettabile in pratica, in virtù della imposizione del regime?
A prima vista il problema della coesistenza tra la Chiesa e un regime comunista “tollerante” si potrebbe, considerato in sé stesso, enunciare in questi termini:
l Se in un determinato paese, che viva soggetto a un governo e a un regime comunisti, i detentori dei potere – lungi dal proibire il culto e la predicazione – permettessero l’una e l’altra cosa, la Chiesa potrebbe o perfino dovrebbe accettare questa libertà di azione, per distribuire senza impedimenti i sacramenti e il pane della parola di Dio?
Presentata la questione puramente e semplicemente in questi termini, la risposta è necessariamente affermativa: la Chiesa potrebbe e perfino dovrebbe accettare questa libertà e, in questo senso, potrebbe e dovrebbe coesistere con il comunismo poiché, con nessun pretesto, essa può rifiutarsi di compiere la sua missione.
Bisogna premettere, tuttavia, che questa formulazione del problema è semplicistica. Essa fa supporre implicitamente che il governo comunista non imporrebbe la sia pur minima restrizione alla libertà d’insegnamento della Chiesa. Però nulla porta a credere che un tale governo concederebbe alla Chiesa una piena libertà d’insegnamento. Questo infatti implicherebbe il permesso di predicare tutta la dottrina dei Papi sulla morale, sul diritto e più esplicitamente sulla famiglia e sulla proprietà privata, il che a sua volta vorrebbe dire fare di ogni cattolico un avversario naturale del regime, cosicché, nella misura in cui la Chiesa dilatasse la sua azione, sopprimerebbe il regime stesso. Di conseguenza, nella misura in cui questo tollerasse la libertà della Chiesa, praticherebbe il suicidio. E questo accadrebbe soprattutto nei paesi in cui l’influenza della Chiesa sulla popolazione è molto grande.
Perciò non possiamo accontentarci di risolvere il problema nella formulazione generica con cui è stato or ora presentato. Dobbiamo vedere qual’è la soluzione che gli deve essere data nel caso che un governo comunista esiga che la predicazione e l’insegnamento cattolici, per essere tollerati, si conformino alle seguenti condizioni:
l 1. che espongano tutta la dottrina della Chiesa in modo affermativo, ma senza fare ai fedeli nessuna confutazione del materialismo e degli altri errori inerenti alla filosofia marxista;
l 2. che tacciano ai fedeli il pensiero della Chiesa sulla proprietà privata e sulla famiglia;
l 3. o che almeno, senza criticare direttamente il sistema economico-sociale del marxismo, affermino che l’esistenza legale della famiglia e della proprietà privata sarebbe un ideale desiderabile in tesi, ma irrealizzabile in pratica, a causa della dominazione comunista – perciò, nell’ipotesi concreta attuale, si raccomanderebbe ai fedeli di desistere da qualsiasi tentativo di abolire il regime comunista e di restaurare nella legislazione, secondo i principi del diritto naturale, la proprietà privata e la famiglia.
Tali condizioni potrebbero, in coscienza, essere tacitamente o espressamente accettate come prezzo di un minimo di libertà legale per la Chiesa in regime comunista? In altri termini, la Chiesa potrebbe rinunciare alla sua libertà su qualcuno di questi punti, per conservarla su altri a beneficio spirituale dei fedeli? Ecco il cuore del problema.
VI
LA SOLUZIONE
In queste condizioni, i cattolici dovrebbero rifiutare la coesistenza pacifica della Chiesa con il comunismo perché:
l 1. L’ordine temporale esercita un’azione formatrice – o deformante – profonda sull’anima dei popoli e degli individui. La Chiesa non può, quindi, accettare una libertà che comporti il silenzio sugli errori del regime comunista, creando nel popolo la impressione che essa non li condanni.
l 2. Rinunciando a insegnare i precetti del decalogo che fondano la proprietà privata (settimo e decimo comandamento), la Chiesa presenterebbe una immagine sfigurata di Dio stesso. L’amore di Dio, la pratica della virtù della giustizia e il pieno sviluppo delle facoltà dell’uomo, e pertanto, la sua santificazione, sarebbero in questo modo gravemente pregiudicati.
l 3. La Chiesa non può accettare il comunismo come un fatto compiuto e un “male minore”.
1. Circa la prima condizione, ci sembra che la risposta debba essere negativa, in considerazione della forza persuasiva di una metafisica e di una morale concretizzate in un regime, in una cultura, in un ambiente.
La missione docente della Chiesa non consiste solo nell’insegnare la verità, ma anche nel condannare l’errore. Nessun insegnamento della verità è sufficiente in quanto insegnamento, se non include la enunciazione e la confutazione delle obiezioni che si possono fare contro la verità stessa. “La Chiesa – ha detto Pio XII – piena sempre di carità e di bontà verso le persone di quei traviati, fedele tuttavia alla parola del divino suo Fondatore, che ha dichiarato: “Chi non è con me, è contro di me” (Matth. 12, 30), non può mancare al dovere di denunciare l’errore, di togliere la maschera ai “fabbricatori di menzogne” (Iob. 13, 4) […]” (5). Nello stesso senso si è espresso Pio XI: “Il primo e il più ovvio dono di amore del sacerdote al mondo è di servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l’errore, qualunque sia la forma o il suo travestimento” (6).
Fa parte dell’essenza stessa del liberalismo religioso la falsa massima secondo cui per insegnare la verità non è necessario impugnare e confutare l’errore. Non vi è formazione cristiana adeguata che prescinda dall’apologetica. Riesce particolarmente importante notarlo, di fronte al fatto che la maggior parte degli uomini tende ad accettare come normale il regime politico e sociale in cui nasce e vive, e che il regime esercita a questo titolo una profonda influenza formativa sulle anime.
Per misurare in tutta la sua portata il potere di questa azione formativa, la esaminiamo nella sua ragion d’essere e nel suo modo d’operare.
Ogni regime politico, economico e sociale si basa, in ultima analisi, su di una metafisica e su di una morale. Le istituzioni, le leggi, la cultura e i costumi che lo formano, o che gli sono relativi, riflettono nella pratica i principi di questa metafisica e di questa morale.
Per il fatto stesso di esistere, con il naturale prestigio del potere pubblico, come pure con l’enorme forza dell’ambiente e dell’abitudine, il regime induce la popolazione ad accettare come buoni, normali, perfino indiscutibili, la cultura e l’ordine temporali vigenti, che sono le conseguenze dei principi metafisici e morali dominanti. E, accettando tutto questo, lo spirito pubblico finisce per spingersi più oltre, lasciandosi penetrare – come per osmosi – da questi stessi principi, abitualmente intravisti in modo confuso, inconsapevole, ma molto vivo, dalla maggior parte delle persone.
L’ordine temporale esercita dunque un’azione formativa – o deformante – profonda sull’anima dei popoli e degli individui.
Vi sono epoche in cui l’ordine temporale si fonda su princìpi contradditori, che convivono in ragione di un certo scetticismo di intonazione quasi sempre pragmatistica. In generale, questo scetticismo pragmatico passa poi alla mentalità delle moltitudini.
Vi sono altre epoche in cui i principi metafisici e morali che costituiscono l’anima dell’ordine temporale sono coerenti e monolitici, nella verità e nel bene come nell’Europa del secolo XIII, o nell’errore e nel male come nella Russia o nella Cina dei nostri giorni. In tali casi, questi principi possono imprimersi a fondo nei popoli che vivono in una società temporale da essi ispirata.
Vivere in un ordine di cose così coerente nell’errore e nel male è già di per sé un tremendo invito all’apostasia.
Nello Stato comunista, ufficialmente filosofico e settario, questa impregnazione dottrinale della massa è fatta con intransigenza, ampiezza e metodo, e completata da un indottrinamento esplicito instancabilmente ripetuto a ogni proposito.
Lungo tutta la storia, non vi è esempio di pressione più completa nel suo contenuto dottrinale, più sottile e polimorfica nei suoi metodi, più brutale nei suoi momenti di azione violenta, di quella esercitata dai regimi comunisti sui popoli che sono sotto il loro giogo.
In uno stato così totalmente anticristiano non vi è modo di evitare questa influenza se non istruendo i fedeli su ciò che ha di rovinoso.
Di fronte a un tale avversario, più ancora che di fronte a qualsiasi altro, la Chiesa non può, dunque, accettare una libertà che implica la rinuncia esplicita ed effettiva all’esercizio, aperto ed efficace, della sua funzione apologetica.
2. Circa la seconda condizione, anch’essa non ci sembra accettabile, tenendo presente non solo l’assoluta incompatibilità tra il comunismo e la dottrina cattolica, ma in modo particolare il diritto di proprietà nelle sue relazioni con l’amore di Dio, la virtù della giustizia e la santificazione delle anime.
Per rifiutare questa seconda condizione vi è anzitutto una ragione di carattere generale. La dottrina comunista, atea, materialistica, relativistica, evoluzionistica, contrasta nel modo più radicale con la concezione cattolica di un Dio personale, che ha dato agli uomini una legge in cui sono racchiusi tutti i principi della morale, fissi, immutabili e conformi all’ordine naturale. La “cultura” comunista, considerata in tutti i suoi aspetti e in ciascuno di essi, porta alla negazione della morale e del diritto. Il contrasto del comunismo con la Chiesa non si dà, dunque, solo in materia di famiglia e di proprietà, ed è soprattutto la morale, soprattutto le nozioni di diritto che la Chiesa dovrebbe in questo caso tacere.
Non vediamo, pertanto, a quale risultato tattico potrebbe condurre un “armistizio ideologico” tra cattolici e comunisti circoscritto a questi due punti, se in tutti gli altri la lotta ideologica continuasse.
Consideriamo, tuttavia, argumentandi gratia, l’ipotesi di un silenzio della Chiesa solo a proposito della famiglia e della proprietà privata.
È tanto evidentemente assurdo ammettere che essa accetti restrizioni quanto alla sua predicazione in materia di famiglia che non ci fermiamo neppure all’analisi di questa ipotesi.
Ma immaginiamo che uno Stato comunista dia alla Chiesa tutta la libertà di predicare sulla famiglia, non però sulla proprietà privata. Che cosa potremmo allora rispondere?
A prima vista, si potrebbe dire che la missione della Chiesa consiste essenzialmente nel promuovere la conoscenza e l’amore di Dio, più che nel preconizzare o mantenere un regime politico, sociale o economico; e che le anime possono conoscere e amare Dio senza essere istruite sul principio della proprietà privata.
La Chiesa potrebbe, dunque, accettare come un male minore il compromesso di tacere sul diritto di proprietà, per ricevere in cambio la libertà di istruire e santificare le anime, parlando loro di Dio e del destino eterno dell’uomo, e amministrando i sacramenti.
Questo modo di vedere la missione docente e santificatrice della Chiesa, urta contro una obiezione preliminare. Se un governo terreno esige da essa – come condizione per essere libera – che rinunci alla predicazione di qualche precetto della Legge, essa non potrà accettare questa libertà, che sarebbe solo un simulacro ingannatore.
Affermiamo che questa “libertà” sarebbe un simulacro ingannatore, perché la missione magisteriale della Chiesa ha per oggetto l’insegnamento di una dottrina che costituisce un tutto indivisibile. O essa è libera di compiere il mandato di Gesù Cristo insegnando questo tutto, o deve considerarsi oppressa e perseguitata. Se non le si riconosce questa libertà totale, essa dovrà – conformemente alla sua natura militante – scendere in lotta contro l’oppressore. La Chiesa, nella sua funzione docente, non può accettare un mezzo silenzio, una mezza oppressione, per ottenere una mezza libertà. Sarebbe un completo tradimento della sua missione.
* * *
Oltre a questa obiezione preliminare, basata sulla missione docente della Chiesa, se ne potrebbe portare un’altra, concernente la sua funzione come educatrice della volontà umana per il raggiungimento della santità.
Questa obiezione si fonda sul fatto che la chiara conoscenza del principio della proprietà privata, e il rispetto di questo principio nella pratica, sono assolutamente indispensabili per la formazione genuinamente cristiana delle anime:
l a) Dal punto di vista dell’amore di Dio: la conoscenza e l’amore della Legge sono inseparabili dalla conoscenza e dall’amore di Dio. Infatti la Legge è in qualche modo lo specchio della santità divina. E quanto si può dire di ognuno dei suoi precetti, è vero soprattutto quando la si considera nel suo insieme. Rinunciare all’insegnamento dei due precetti del decalogo che fondano la proprietà privata, comporterebbe la presentazione di una immagine sfigurata di questo insieme, e pertanto di Dio stesso. Ora, quando le anime hanno un’idea sfigurata a proposito di Dio, si formano secondo un modello errato, il che è incompatibile con la vera santificazione.
l b) Dal punto di vista della virtù cardinale della giustizia: le virtù cardinali sono, come dice il nome, cardini sui quali si appoggia tutta la santità. Perché l’anima si santifichi, deve conoscerle rettamente, amarle sinceramente e praticarle genuinamente.
Tutta la nozione di giustizia si fonda sul principio che ogni uomo, il suo prossimo individualmente considerato e la società umana sono rispettivamente titolari di diritti, cui corrispondono naturalmente dei doveri. In altri termini, le nozioni di “mio” e di “tuo” stanno alla base del più elementare concetto di giustizia.
Ora, proprio queste nozioni di “mio” e di “tuo” in materia economica, portano direttamente e ineluttabilmente al principio della proprietà privata.
Da ciò deriva che, senza la retta conoscenza della legittimità e dell’estensione – come d’altra parte anche della limitazione – della proprietà privata, non c’è retta conoscenza di cosa sia la virtù cardinale della giustizia. E senza questa conoscenza non sono possibili né un vero amore, né una vera pratica della giustizia; insomma, non è possibile la santificazione.
l c) Da un punto di vista più generale, del pieno sviluppo delle facoltà dell’anima e della sua santificazione: l’esposizione di questo argomento presuppone come dato che la retta formazione dell’intelligenza e della volontà, per molti aspetti è strumento atto a favorire la santificazione, e per altri si identifica perfino con essa. E che, a contrario sensu, tutto quando pregiudica la retta formazione dell’intelligenza e della volontà, per molti aspetti è incompatibile con la santificazione.
Passiamo a dimostrare che una società nella quale non esista la proprietà privata ostacola in modo grave il retto sviluppo delle facoltà dell’anima. specialmente della volontà; perciò, di per sé, è incompatibile con la santificazione degli uomini.
Di passaggio, faremo anche riferimento al pregiudizio che, per ragioni analoghe, la comunanza dei beni arreca alla cultura, Lo faremo, perché il vero sviluppo culturale non solo è un fattore propizio alla santificazione dei popoli, ma anche un frutto di questa santificazione; perciò la retta vita culturale ha un’intima connessione con il nostro tema.
Affrontiamo l’argomento ponendo in evidenza un punto essenziale, frequentemente trascurato da quanti trattano dell’istituto della proprietà privata, e cioè che esso è necessario all’equilibro e alla santificazione dell’uomo.
Per dare ragione di questa tesi bisogna ricordare, anzitutto, che i documenti pontifici, quando trattano del capitale del lavoro e della questione sociale, non lasciano il minimo dubbio quanto al fatto che la proprietà privata non è solo legittima, ma anche indispensabile al bene individuale e al bene comune, e questo per quanto si riferisce tanto agli interessi materiali dell’uomo, quanto a quelli della sua anima.
È ben certo che questi stessi documenti papali sono insorti con forza contro i numerosi eccessi e abusi che, principalmente a partire dal secolo XIX, si sono verificati in materia di proprietà privata. Il fatto però che siano molto riprovevoli e dannosi gli abusi che gli uomini fanno di una istituzione, non vuole assolutamente dire che per questo essa non sia intrinsecamente eccellente. Anzi, si deve tendere il più delle volte a pensare il contrario: corruptio optimi pessima – il pessimo è, forse, quasi sempre la corruzione di ciò che in sé stesso è ottimo. Nulla di più sacro e di più santo in sé stesso e da tutti i punti di vista, del sacerdozio. Nulla di peggiore della sua corruzione. E perciò stesso si comprende come la Santa Sede, tanto severa contro gli abusi della proprietà privata, sia ancora più severa quando reprime gli abusi del sacerdozio.
Molteplici sono i motivi per cui l’istituto della proprietà privata è indispensabile agli individui, alle famiglie e ai popoli. Eccederebbe i limiti del presente lavoro una esposizione completa di questi motivi. Ci limitiamo alla spiegazione di quanto importa più direttamente al nostro tema: come abbiamo appena affermato, tale istituto è necessario all’equilibrio e alla santificazione dell’uomo.
Naturalmente dotato di intelligenza e di volontà, l’uomo tende, con le sue stesse facoltà spirituali, a provvedere a tutto quanto è necessario al suo bene. Da ciò gli deriva il diritto di procurarsi da sé stesso le cose di cui necessita e di impossessarsene quando non hanno padrone. Da ciò gli deriva anche il diritto di provvedere in modo stabile alle sue necessità del futuro, prendendo possesso del suolo, coltivandolo e producendo per questa coltivazione i suoi strumenti di lavoro. Insomma, l’uomo tende inoppugnabilmente a essere proprietario proprio perché ha un’anima. Ed è in questo, dicono Leone XIII e san Pio X, che la sua posizione di fronte ai beni materiali lo distingue dagli animali irrazionali: “IV. L’uomo ha sui beni della terra non solo il semplice uso, come i bruti; ma sì ancora il diritto di proprietà stabile: né soltanto proprietà di quelle cose, che si consumano usandole; ma eziandio di quelle cui l’uso non consuma. (Encycl. Rerum novarum)” (7).
Ora, siccome dirigere il proprio destino e provvedere al proprio sostentamento è oggetto prossimo, necessario e costante dell’esercizio dell’intelligenza e della volontà – e la proprietà è mezzo normale perché l’uomo sia e si senta sicuro del suo avvenire e padrone di sé -, ne deriva che l’abolizione della proprietà privata, e di conseguenza l’abbandono dell’individuo, come termine inerme, ala direzione dello Stato, significa privare la sua mente di alcune condizioni basilari del suo funzionamento normale, significa portare all’atrofia per in esercizio le facoltà della sua anima significa insomma deformarlo profondamente. Di qui, in gran parte, la tristezza che caratterizza le popolazioni soggette al comunismo, come pure la noia, le nevrosi e i suicidi sempre più frequenti in certi paesi dell’Occidente, abbondantemente socialisti.
Si sa bene, infatti, che le facoltà dell’anima, che non si esercitano, tendono ad atrofizzarsi. Al contrario, l’esercizio adeguato può svilupparle, talora perfino prodigiosamente. Su questo si fonda un grande numero di pratiche didattiche e ascetiche approvate dai migliori maestri, e consacrate dall’esperienza.
Poiché la santità è la perfezione dell’anima, si comprende facilmente quanta importanza ha per la salvezza e la santificazione degli uomini quanto da ciò si conclude. La condizione di proprietario, di per sè, crea situazioni altamente propizie al retto e virtuoso esercizio delle facoltà dell’anima. Senza accogliere l’ideale utopistico di una società in cui ogni individuo, senza eccezione, sia proprietario, o nella quale non vi siano patrimoni disuguali, grandi, medi e piccoli, bisogna affermare che la maggiore diffusione possibile della proprietà favorisce il bene spirituale, e ovviamente anche quello culturale, sia degli individui, sia delle famiglie, sia della società. In senso contrario, la proletarizzazione crea condizioni altamente sfavorevoli per la salvezza, la santificazione e la formazione culturale dei popoli, delle famiglie e degli individui.
l Per maggiore comodità di esposizione, prendiamo subito in considerazione alcune obiezioni alla tesi appena esposta:
* Coloro che, nelle società in cui c’è la proprietà privata, non sono proprietari restano privi di uso di ragione? O non si possono santificare?
Per rispondere a questa domanda, bisogna tenere presente che la proprietà privata è una istituzione che favorisce indirettamente, ma realmente, anche i non proprietari. Essendo dunque grande il numero delle persone che traggono adeguato vantaggio dai benefici morali e culturali che la condizione di proprietario conferisce loro, ne risulta un ambiente sociale elevato, che attraverso la naturale comunicazione delle anime favorisce anche i non proprietari. La situazione in cui costoro si vengono a trovare non è dunque identica a quella degli individui che vivono in un regime nel quale non esiste nessuna proprietà.
* La proprietà privata è dunque la causa della elevazione morale e culturale dei popoli?
Diciamo che la proprietà è condizione importantissima del bene spirituale e culturale degli individui, delle famiglie e dei popoli. Non diciamo che essa è la causa della santificazione. Allo stesso modo la libertà della Chiesa è condizione per il suo sviluppo; ma la Chiesa perseguitata fiorì meravigliosamente nelle catacombe. Sarebbe esagerato dire, per esempio, che il popolo è necessariamente tanto più virtuoso e colto quanto più è diffusa la proprietà. Questo significherebbe far dipendere il soprannaturale dalla materia, e la cultura dall’economia.
Però è certo che a nessun popolo è lecito contraddire il disegno della Provvidenza, abolendo una istituzione imposta dall’ordine naturale delle cose quale è la proprietà privata, istituzione che è condizione molto importante per il bene delle anime, tanto sul piano religioso che su quello culturale. E se qualche popolo procede in questo modo, prepara i fattori della sua degradazione morale e culturale, e perciò della sua completa rovina.
* Se le cose stanno così, come mai si ebbe tanta cultura nella Roma imperiale, ove la maggioranza della popolazione era costituita da proletari e da schiavi? E come poterono alcuni schiavi, a Roma come in Grecia, portarsi a un elevato livello morale e culturale?
La differenza tra una stanza completamente buia, e un’altra illuminata da una luce fioca, è maggiore di quella esistente tra quella dalla luce fioca e un’altra meravigliosamente illuminata. E questo si verifica perché il male prodotto dalla carenza totale di un bene importante, come sarebbe in questo caso la luce, è sempre incomparabilmente maggiore di quello prodotto dalla insufficienza del bene stesso. La società romana aveva, sebbene in misura minore del desiderabile, una vasta e colta classe di proprietari. Da ciò l’esistenza nell’impero, almeno in una certa proporzione, dei benefici culturali della proprietà. Ben altra sarebbe la situazione di un paese assolutamente privo di una classe di proprietari; da questo punto di vista sarebbe completamente nelle tenebre.
Si obietterà forse che l’esperienza contrasta con questa conclusione teorica. Infatti, nel popolo russo si riscontra un innegabile progresso culturale e tecnico, a dispetto della comunanza di beni imposta dal regime marxista.
Anche a questo proposito la risposta non è difficile.
All’arbitrio del governo sovietico sono soggette le risorse raccolte da tutti gli angoli di un vastissimo impero. Esso dispone arbitrariamente delle capacità, del lavoro e della produzione di centinaia di milioni di persone.
Perciò non gli sono assolutamente mancati i mezzi per formare alcuni ambienti artificiali, di alta preparazione tecnica o culturale (anticulturale, si dovrebbe più propriamente dire). Senza negare la mole dei risultati così raggiunti, si può molto legittimamente esprimere una certa sorpresa per il fatto che essi non siano di gran lunga maggiori. Infatti, se uno Stato-moloc, assolutamente contro natura, non produce risultati-moloc nell’ordine delle cose artificiali, questo succede perché di fatto non possiede il segreto dell’efficacia.
Inoltre, questa fioritura intellettuale di serra è completamente separata dalla popolazione, non è prodotta dalla società, non deriva da una maturazione nel suo seno, ma è ottenuta fuori di essa, e con il sangue a essa succhiato. Cresce e si afferma senza di essa, e in un certo modo contro di essa.
Simile produzione non è indice della cultura di una nazione; allo stesso modo, in una immensa proprietà rurale in abbandono, i prodotti di una serra ivi esistente non sarebbero prova valida del fatto che la proprietà è debitamente coltivata.
Ritornando all’obiezione relativa alla Roma imperiale, vi furono certamente schiavi che si elevarono a livelli intellettuali e morali stupendi: meraviglie della grazia sul piano morale, e della natura, che ancora oggi riempiono di stupore. Si tratta di eccezioni gloriose che non sono sufficienti per negare la verità ovvia che la condizione servile, di per sé, è oppressiva e pregiudizievole per l’anima dello schiavo, sia dal punto di vista religioso che da quello culturale; e che la schiavitù, già di per sé moralmente e naturalmente nociva, la sarebbe stata incomparabilmente più per gli stessi schiavi dell’antichità, se non ci fossero stati patrizi e plebei liberi, e se la società fosse stata costituita solo da uomini senza autonomia né proprietà, come succede nel regime comunista.
* Ma – si argomenterà infine – lo stato religioso è allora intrinsecamente nocivo alle anime, a causa dei voti di obbedienza e di povertà che lo costituiscono? Non atrofizzano essi la tendenza dell’uomo a provvedere a sé stesso?
La risposta è facile. Questo stato è profondamente benefico per le anime che la grazia attira su vie eccezionali. Se immaginassimo questo stato come vissuto da tutta una società, sarebbe nocivo, perché quanto conviene alle eccezioni non conviene a tutti. Perciò la comunanza dei beni tra i fedeli non è mai stata generalizzata nella Chiesa primitiva, e ha finito per essere eliminata, E le esperienze protestantiche di tipo comunista di certe collettività del secolo XVI si sono concluse con uno strepitoso insuccesso.
Considerati questi molteplici argomenti e obiezioni, rimane ferma la tesi secondo cui è vano tacere sull’immoralità della totale comunanza dei beni, per ottenere in cambio la santificazione delle anime attraverso la libertà e una relativa libertà della predicazione.
l D’altra parte, una volta accettato questo patto mostruoso, non sarebbe perciò praticabile la coesistenza sognata. Infatti, in una società senza proprietà privata, le anime rette tenderebbero sempre, e per il dinamismo stesso della loro virtù, a creare condizioni per sé favorevoli. Poiché tutto quanto esiste tende a lottare per la propria sopravvivenza, distruggendo le condizioni avverse, e instaurando condizioni favorevoli; a contrario sensu, tutto quanto cessa di lottare contro le condizioni gravemente avverse viene da esse distrutto.
Di conseguenza, la virtù sarebbe in continua lotta contro la società comunista in cui fiorisse e tenderebbe continuamente a eliminare la comunanza dei beni; e la società comunista sarebbe in continua lotta contro la virtù, e tenderebbe a soffocarla. Tutto questo è proprio l’esatto contrario della coesistenza sognata.
3. Circa la terza condizione, ci sembra ugualmente inaccettabile, poiché la necessità di tollerare un male minore non può comportare la rinuncia alla sua eliminazione totale.
Quando la Chiesa decide di tollerare un male minore, non vuole con ciò dire che questo male non debba venire combattuto con tutta la forza possibile. A fortiori quando questo male “minore” è in sé stesso gravissimo.
In altri termini, essa deve formare nei fedeli, e in essi rinnovare in ogni momento, un dolore vivissimo per la necessità di accettare il male minore; e, con il dolore, deve suscitare in essi il proposito efficace di fare tutto il possibile per rimuovere le condizioni che hanno reso necessaria l’accettazione del male minore.
Ora, così agendo, la Chiesa romperà la possibilità della coesistenza; e tuttavia, a quanto ci sembra, sotto l’imperativo della sua sublime missione non potrebbe agire diversamente.
VII
SOLUZIONE DI OBIEZIONI FINALI
l Un effetto collaterale, ma tragico, del silenzio della Chiesa sul principio della proprietà privata sarebbe il fatto che, in questo modo, essa verrebbe a patti con la diffusione progressiva della miseria, derivante dalla sostituzione della proprietà individuale con quella collettiva.
l Anche in uno Stato non completamente collettivizzato, la Chiesa è obbligata a far brillare agli occhi di tutti la verità integrale.
l Anche se il senso della proprietà, così radicato, fosse inestirpabile in certe regioni d’Europa, la Chiesa non potrebbe tacere a proposito del diritto di proprietà, senza danno per la formazione morale dei fedeli.
l L’istituto della proprietà privata deve esistere secondo lo stesso ordine naturale delle cose. E anche se gli attuali proprietari rinunciassero ai loro diritti sotto la pressione di uno Stato comunista, la Chiesa non potrebbe ottenere una coesistenza veramente pacifica con questo.
l La Chiesa non può accettare il regime comunista neppure a titolo transitorio, sperando che crolli o almeno si attenui.
l Le relazioni diplomatiche della Santa Sede con i paesi comunisti si situano su di un piano diverso da quello preso in esame in questo studio. L’insegnamento ufficiale e ufficioso del Vaticano affermano la impossibilità di una tregua ideologica o di una coesistenza pacifica tra la Chiesa e il comunismo. In questo senso non mancano neppure dichiarazioni di fonte comunista.
l Infine, la Chiesa non potrebbe accettare la coesistenza con qualche Stato comunista in un regime di “pia fraus”. Sarebbe ingenuo pensare che i comunisti non si accorgano subito delle violazioni del patto.
Nel corso di questo studio abbiamo risolto diverse obiezioni immediatamente collegate ai diversi temi trattati. Analizzeremo ora altre obiezioni che, non dovendo essere necessariamente abbordate nel corso dell’esposizione sono contenute, per maggiore comodità del lettore, in questa parte.
1. Difendendo a questo modo il diritto di proprietà, la Chiesa abbandonerebbe la lotta contro la miseria e la fame.
Questa obiezione ci offre la possibilità di esaminare gli effetti catastrofici che potrebbe produrre, dal punto di vista del bene temporale, il silenzio della Chiesa in materia di proprietà, nello Stato comunista.
Analizzate dunque le principali obiezioni che si potrebbero fare a un tale silenzio, dal punto di vista della missione docente, e dal punto di vista della missione santificatrice della Chiesa, prendiamo in considerazione un effetto secondario, ma interessante, del silenzio medesimo: essa verrebbe così a patti con la diffusione progressiva della miseria in una situazione mondiale segnata dal progresso della collettivizzazione.
Ciascun uomo cerca, con un moto istintivo continuo, potente e fecondo, di provvedere anzitutto alle sue necessità personali. Quando si tratta della propria conservazione, l’intelligenza umana lotta più facilmente contro le sue limitazioni, e cresce in acume e agilità; la volontà vince con più facilità la pigrizia e affronta con maggiore vigore gli ostacoli e le lotte.
Questo istinto, quando è contenuto nei giusti limiti, non deve essere contrastato, ma deve anzi essere sostenuto e utilizzato come un prezioso fattore di arricchimento e di progresso, e in nessun modo può essere qualificato in senso peggiorativo come egoismo. Si tratta dell’amore verso sé stessi, che secondo l’ordine naturale delle cose deve venire dopo l’amore per il Creatore, e prima dell’amore per il prossimo.
Dalla negazione di queste verità rimarrebbe vanificato il principio di sussidiarietà, presentato dall’enciclica Mater et Magistra come elemento fondamentale della dottrina sociale cattolica (8).
Infatti, in virtù di questa gerarchia nella carità, ogni uomo deve provvedere direttamente a sé stesso, per quanto sta nelle sue possibilità personali, ricevendo l’aiuto dei gruppi superiori – famiglia, corporazione, Stato – solo nella misura in cui gli sia impossibile fare da sé. E in virtù dello stesso principio la famiglia e la corporazione (enti collettivi dei quali pure si deve dire che “omne ens appetit suum esse“) provvedono anzitutto e direttamente per sé, ricorrendo allo Stato solo quando sia indispensabile. E lo stesso si ripete per quanto riguarda le relazioni tra lo Stato e la società internazionale.
In conclusione, sia per i dettami della sua ragione, sia per il suo stesso istinto, tutto nella natura di ogni uomo richiede che esso si impadronisca di beni per garantire la sua esistenza, e per renderla piena, decorosa e tranquilla. E il desiderio di possedere averi propri e di moltiplicarli, è il grande stimolo del lavoro e pertanto un fattore essenziale dell’abbondanza della produzione.
Come si vede, l’istituto della proprietà privata, che è il corollario necessario di questo desiderio, non può essere considerato come semplice fondamento di privilegi personali; esso è condizione indispensabile ed efficacissima della prosperità di tutto il corpo sociale.
Il socialismo e il comunismo affermano che l’individuo esiste principalmente per la società, e deve produrre direttamente, non per il proprio bene, ma per quello di tutto il corpo sociale.
Con questo, cessa il migliore stimolo del lavoro, la produzione diminuisce inevitabilmente, si generalizzano in tutta la società l’indolenza e la miseria. E l’unico mezzo – ovviamente insufficiente – che la pubblica autorità può usare come stimolo della produzione è la frusta …
Non neghiamo che nel regime di proprietà privata possa accadere – e frequentemente è accaduto – che i beni prodotti in abbondanza circolino difettosamente nelle diverse parti del corpo sociale, qui accumulandosi e altrove scarseggiando. Questa constatazione spinge a fare tutto il possibile a favore di una proporzionata diffusione della ricchezza nelle diverse classi sociali. Non è però una ragione sufficiente perché rinunciamo alla proprietà privata, e alla ricchezza che da essa nasce, per rassegnarci al pauperismo socialista.
2. Per uno Stato non completamente collettivizzato non valgono gli argomenti contrari alla coesistenza della Chiesa con uno Stato totalmente collettivizzato.
Secondo certe notizie della stampa alcuni governi comunisti enunciano il proposito, pari passu con la concessione di una certa libertà religiosa, di operare un arretramento parziale sulla via del socialismo, ammettendo, di fatto se non di diritto, e a titolo provvisorio, alcune forme di proprietà privata. In questo caso, si dirà, l’influenza del regime sulle anime sarebbe meno funesta. La predicazione e l’insegnamento cattolico non potrebbero allora accettare di passare sotto silenzio non necessariamente il principio della proprietà privata, ma tutta la portata che esso ha nella morale cattolica?
A questa obiezione si potrebbe rispondere che i regimi più brutalmente antinaturali – o gli errori più evidenti e dichiarati – non sono sempre quelli che giungono a deformare più profondamente le anime. L’errore scoperto o l’ingiustizia brutale, per esempio, suscitano indignazione e causano orrore, mentre sono accettate più facilmente come normali le mezze ingiustizie e come verità i mezzi errori, e le une e gli altri corrompono più rapidamente le mentalità. Fu molto più facile combattere l’arianesimo del semiarianesimo, il pelagianesimo del semipelagianesimo, il protestantesimo del giansenismo, la rivoluzione brutale del liberalismo, il comunismo del socialismo moderato. Ne consegue che la missione della Chiesa non consiste solo nel combattere gli errori brutalmente radicali ed evidenti, ma nell’espungere dalla mente dei fedeli ogni e qualsiasi errore, per quanto tenue sia, per far brillare agli occhi di tutti la verità integrale e senza macchia, insegnata da nostro Signore Gesù Cristo.
3. Il senso della proprietà è a tal punto radicato nei contadini di certe regioni d’Europa, che si può trasmettere di generazione in generazione, quasi con il latte materno, con il semplice insegnamento del catechismo in famiglia. Di conseguenza, la Chiesa potrebbe tacere sul diritto di proprietà per decenni, senza arrecare pregiudizio alla formazione morale dei fedeli.
Non neghiamo che il senso della proprietà sia vivo in alcune regioni d’Europa. È noto che proprio per questo i comunisti hanno dovuto retrocedere nella loro politica di confisca e, per esempio, restituire terre ai piccoli proprietari della Polonia.
Tuttavia, queste ritirate strategiche, frequenti nella storia del comunismo, costituiscono per i suoi seguaci soltanto prese di posizione occasionali, a cui talora si rassegnano, per vincere in modo più completo. Però, appena le circostanze glielo permettono, tornano alla carica con astuzia ed energia raddoppiate.
Sarà allora il momento di maggiore pericolo. Esposti all’azione della tecnica di propaganda più astuta e perfezionata, i contadini avranno da sopportare per un tempo indeterminato l’offensiva ideologica marxista.
Chi non si spaventerebbe immaginando esposta a questo rischio la giovane generazione di qualunque parte della terra? Ammettere che il semplice senso abituale e naturale della proprietà personale costituisca normalmente una corazza del tutto rassicurante nei confronti di un pericolo così grande, significa riporre eccessiva fiducia in un fattore umano. In realtà, senza l’azione diretta e soprannaturale della Chiesa, che prepara i suoi figli con tutta la preveggenza e li assiste nella lotta, è poco probabile che fedeli di qualsiasi paese e di qualsiasi condizione sociale resistano alla prova.
Inoltre, come abbiamo detto, non ci sembra giusto che la Chiesa, in qualsiasi caso, sospenda per decenni l’esercizio della sua missione, che consiste nell’insegnare integralmente la legge di Dio.
4. La coesistenza della Chiesa con uno Stato comunista sarebbe possibile se tutti i proprietari rinunciassero ai loro diritti.
Nell’ipotesi di una tirannia di ispirazione comunista, disposta a tutte le violenze per imporre il regime della comunanza dei beni, e di proprietari che persistono nell’affermare i loro diritti contro lo Stato (che non li ha creati né li può validamente sopprimere), qual è la soluzione della tensione che ne deriva?
Immediatamente non si vede altro che la lotta. Non però una lotta qualsiasi, ma una lotta a morte di tutti i cattolici fedeli al principio della proprietà privata, posti in un atteggiamento di legittima difesa contro la rovina provocata da un potere tirannico la cui bestiale brutalità, di fronte a un rifiuto della Chiesa, può giungere a estremi imprevedibili. Una rivolta, una rivoluzione con tutti gli episodi atroci che le sono inerenti, l’impoverimento generale, e le inevitabili incertezze quanto alla conclusione della tragedia.
Stando così le cose, ci si potrebbe chiedere se i proprietari non siano allora obbligati in coscienza a rinunciare al loro diritto a favore del bene comune, permettendo così la instaurazione della comunanza dei beni su di una base moralmente legittima, a partire dalla quale il cattolico potrebbe accettare, senza problemi di coscienza, il regime comunista.
L’opinione è infondata. Essa confonde l’istituto della proprietà privata, in quanto tale, con il diritto di proprietà di persone concretamente esistenti in un dato momento storico. Ammessa come valida la rinuncia di queste persone al loro patrimonio, imposta in conseguenza di una brutale minaccia al bene comune, i loro diritti cesserebbero: non ne deriverebbe assolutamente l’eliminazione della proprietà privata come istituzione. Essa continuerebbe a esistere, per così dire, in radice, nello stesso ordine naturale delle cose, come immutabilmente indispensabile al bene spirituale e materiale degli uomini e delle nazioni, e come un imperativo inamovibile della legge di Dio.
E per il fatto di continuare a esistere in radice, sarebbe in ogni momento sul punto di rinascere. Ogni volta, per esempio, che un pescatore o un cacciatore si impossessasse, in mare o nell’aria, del necessario per il suo sostentamento e per accumulare qualche economia; ogni volta che un intellettuale o un lavoratore manuale producesse più dell’indispensabile per vivere giorno per giorno, e riservasse per sé il resto, si sarebbero ricostituite piccole proprietà private, generate nelle profondità dell’ordine naturale delle cose. E, come è normale, queste proprietà tenderebbero a crescere… Per evitare ancora una volta la rivoluzione anticomunista, sarebbe necessario continuare a ripetere in ogni momento le rinunce, il che evidentemente porta all’assurdo.
Bisogna aggiungere che, in numerosi casi, l’individuo non potrebbe fare tale rinuncia senza peccare contro la carità verso sé stesso. E questa rinuncia urterebbe frequentemente contro i diritti di un’altra istituzione, profondamente affine alla proprietà, e ancora più sacra di questa, cioè la famiglia. Infatti, sarebbero molti i casi in cui il membro di una famiglia non potrebbe operare tale rinuncia senza venire meno alla giustizia o alla carità verso i suoi.
l La proprietà privata e la pratica della giustizia: a questo punto, dopo avere descritto e giustificato questo continuo rinascere del diritto di proprietà, possiamo fare una considerazione che fino a ora non avrebbe potuto essere fatta con la necessaria chiarezza.
Essa riguarda la virtù della giustizia nelle sue relazioni con la proprietà privata. Al capo VI, 2, b, di questo studio, abbiamo parlato della funzione della proprietà nella conoscenza e nell’amore della virtù della giustizia. Consideriamo ora la parte della proprietà nella pratica della giustizia medesima.
Dato che in ogni momento vanno nascendo, nei paesi comunisti come altrove, dei diritti di proprietà, lo Stato collettivista, che confisca i beni dei privati, si trova, dal punto di vista della buona morale, nella condizione di un ladro. E coloro che ricevono dallo Stato beni confiscati sono, in via di principio, di fronte al proprietario spogliato, nella condizione di chi si arricchisce con beni rubati.
Qualsiasi moralista può facilmente prevedere, a partire da questa considerazione, quale enorme sequela di difficoltà deriverà alla pratica della virtù della giustizia dalla collettivizzazione dei beni. Queste difficoltà saranno tali, soprattutto in Stati polizieschi, da esigere spesso, forse in ogni momento, atti eroici da parte di ogni cattolico. Si tratta di una prova in più dell’impossibilità della coesistenza tra la Chiesa e lo Stato comunista.
5. Poiché il comunismo è tanto antinaturale, ha una esistenza necessariamente effimera. Perciò la Chiesa potrebbe accettare un modus vivendi con esso solo per qualche tempo, fino a vederne il crollo, o quanto meno l’attenuazione.
A questa obiezione potrebbero essere date varie risposte:
a) Questo carattere “effimero” è per lo meno molto relativo. Il comunismo domina in Russia da quasi mezzo secolo. Poiché solo Dio conosce il futuro, chi può dire con sicurezza quando cadrà?
b) Proprio per il fatto di attenuarsi, tale regime si prolungherebbe, poiché diverrebbe meno antinaturale. Questa attenuazione non sarebbe dunque una marcia verso la rovina, ma un fattore di stabilizzazione.
c) Vi sono regimi intrinsecamente contrari a fondamentali esigenze della natura umana, ma che pure sussistono indefinitamente. Per esempio, la barbarie di certi popoli aborigeni d’America o d’Africa, che è durata per secoli, e più ancora durerebbe, per sua intrinseca vitalità, se fattori esterni non la stessero eliminando; e ciononostante, con che sforzo si va facendo questa sostituzione di un ordine antinaturale con uno più naturale!
6. A prima vista si direbbe che certi gesti di “distensione” del compianto Papa Giovanni XXIII nei confronti della Russia sovietica sono tali da orientare lo spirito in un senso diverso dalle conclusioni di questo studio.
Se ne deve pensare esattamente il contrario. I gesti di Giovanni XXIII cui ci si riferisce si situano interamente nell’ambito delle relazioni internazionali (9).
Quanto al piano su cui ci poniamo in questo studio, lo stesso Pontefice, riaffermando nell’enciclica Mater et Magistra le condanne fulminate dai suoi predecessori contro il comunismo, ha messo bene in chiaro che non vi può essere una smobilitazione dei cattolici di fronte a questo errore, che i documenti pontifici respingono con la massima energia.
E nello stesso senso, da parte del Papa Paolo VI, gloriosamente regnante, vi è da registrare, tra altre, questa significativa dichiarazione: “Nè si creda che questa sollecitudine pastorale, di cui oggi la Chiesa si fa programma prevalente, che assorbe la sua attenzione e impegna la sua cura, significhi cambiamento di giudizio circa errori diffusi nella nostra società e già dalla Chiesa condannati, come il marxismo ateo, ad esempio: cercare d’applicare rimedi salutari e premurosi ad una malattia contagiosa e letale non significa mutare opinione su di essa, sì bene significa cercare di combatterla non solo teoricamente, ma praticamente; significa far seguire alla diagnosi una terapia; e cioè alla condanna dottrinale la carità salvatrice” (10).
Analoga posizione ha preso ripetute volte, durante l’attuale pontificato, L’Osservatore Romano, organo ufficioso del Vaticano. Per esempio, nel numero del 20 marzo 1964 della sua edizione in lingua francese, si legge: “Lasciando da parte le distinzioni più o meno fittizie, è certo che nessun cattolico, direttamente o indirettamente, può collaborare con i comunisti, poiché alla incompatibilità ideologica tra religione e materialismo (dialettico e storico) corrisponde una incompatibilità di metodi e di fini, incompatibilità pratica, cioè morale” (11).
E in altro articolo dello stesso numero: “Perché il cattolicesimo e il comunismo fossero conciliabili, sarebbe necessario che il comunismo cessasse di essere comunismo. Ora, anche nei molteplici aspetti della sua dialettica, il comunismo non transige in quanto dice riguardo ai suoi fini politici e alla sua intransigenza dottrinale. Così la concezione materialista della storia, la negazione dei diritti della persona, l’abolizione della libertà, il dispotismo di Stato, e la stessa esperienza economica assai infelice, pongono il comunismo in opposizione con la concezione spiritualista e personalista della società così come deriva dalla dottrina sociale del cattolicesimo […]” (12).
Nello stesso senso ancora, è opportuno ricordare la lettera collettiva del venerando episcopato italiano contro il comunismo ateo, del 1° novembre 1963 (13).
Del resto, anche da fonti comuniste non sono mancate affermazioni sulla impossibilità di una tregua ideologica o di una coesistenza pacifica tra la Chiesa e il comunismo: Quelli che propongono l’idea della coesistenza pacifica, in materia ideologica, cadono di fatto in una posizione anticomunista” (Kruscev) (14). “La mia impressione è che mai, e in nessun campo […] sarà possibile giungere a una coesistenza del comunismo con altre ideologie e pertanto con la religione” (Agiubei) (15). “Non vi è conciliazione possibile tra il cattolicesimo e il marxismo” (Palmiro Togliatti) (16). “Una coesistenza pacifica delle idee comunista e borghese costituisce un tradimento della classe operaia […]. Non vi è mai stata coesistenza pacifica delle ideologie; non vi è mai stata né vi sarà” (L. Ilitchev, segretario del Comitato Centrale e presidente della Commissione Ideologica del PCUS) (17). “I sovietici respingono l’accusa che Mosca applichi il principio della coesistenza anche alla lotta di classe, e dicono che non la ammettono neppure sul terreno ideologico” (lettera aperta del CC del PCUS) (18).
In queste condizioni è evidente che la Chiesa militante non ha rinunciato, e non potrebbe rinunciare alla libertà essenziale per lottare contro il suo terribile avversario.
7. La coesistenza potrebbe essere accettata in regime di pia fraus, cioè se la Chiesa volesse accettare la coesistenza con qualche regime comunista, potrebbe farlo con l’arrière pensée di frodare, per quanto possibile, il patto che con esso stabilisce.
Considerata l’ipotesi di un patto esplicito, si deve rispondere che a nessuno è permesso impegnarsi a fare qualcosa di illecito. Se dunque l’accettazione delle condizioni di cui stiamo trattando è illecita, il patto che le contempli non può essere concluso.
Quanto all’ipotesi di un patto implicito, bisogna dire – per prenderne in considerazione soltanto un aspetto – che è da ingenui immaginare che le autorità comuniste, di stampo eminentemente poliziesco e servite dai potenti mezzi della tecnica moderna, non siano immediatamente informate delle violazioni sistematiche di tale patto.
VIII
FRUTTI DELL’ACCORDO: CATTOLICI DI NOME
Un patto della Chiesa con un regime comunista, nelle condizioni da questo volute, avrebbe come effetto la formazione di nuove generazioni di cattolici che reciterebbero forse il Credo a fior di labbro, ma la cui mente e il cui cuore sarebbero intrisi di tutti gli errori del comunismo.
Al comunismo, un patto alle condizioni enunciate al capo V, se rispettato esattamente, darebbe immensi vantaggi. Infatti si formerebbero nuove generazioni di cattolici malamente preparati, tiepidi, che reciterebbero forse il Credo a fior di labbro, ma avrebbero la mente e il cuore impregnati di tutti gli errori del comunismo. Insomma, cattolici in apparenza e in superficie, comunisti negli strati più profondi e autentici della loro mentalità. Dopo due o tre generazioni formate in una tale coesistenza, cosa rimarrebbe ancora di cattolico nei popoli?
A conferma di queste osservazioni, ci sia concesso fare una considerazione a proposito dei gravissimi rischi pastorali e pratici che derivano talora dalla accettazione inevitabile dell’ipotesi, anche quando si rimanga fedeli alla tesi.
Godendo di tutta la libertà nell’attuale regime laicista, nato dalla Rivoluzione francese, la Chiesa ha già visto allontanarsi dal suo seno milioni e milioni di uomini. Come ha detto S.E. Rev.ma mons. Angelo Dell’Acqua, sostituto alla Segreteria di Stato, “in conseguenza dell’agnosticismo religioso degli Stati” è rimasto “indebolito o quasi perduto nella società moderna il senso della Chiesa” (19). Qual’è la ragione ultima di questo fatto? Le istituzioni pubbliche, come abbiamo detto prima (cfr. capo VI, I), esercitano una profonda influenza sulla maggior parte degli uomini. Essi le prendono abitualmente, e perfino senza accorgersene, come modello e fonte di ispirazione per tutto il loro modo di pensare, di essere e di agire. E il laicismo, a causa della sua adozione da parte degli Stati, ha corrotto completamente un enorme numero di anime. Questo non sarebbe certamente accaduto se i cattolici fossero stati molto più zelanti nel trarre profitto dall’illimitata libertà di parola e di azione di cui godono in regime liberale, per diffondere e propugnare tutti gli insegnamenti della Chiesa contro lo Stato laico. Essi invece non si sono serviti di questa libertà, in tutta la misura necessaria, perché in moltissimi casi, vivendo in un’atmosfera laicista, hanno perso la nozione viva di che tremendo male è il laicismo. Hanno continuato ad affermare, raramente e a fior di labbro, la tesi antilaicista, ma hanno finito per trovare normale l’ipotesi.
Ora, in un regime comunista nel quale gli errori sono inculcati dallo Stato con molta più insistenza che nel regime laico-liberale, o si lascia che le anime vengano traviate in un numero di gran lunga maggiore, o, contro questi errori, si deve fare molto e molto di più di quanto si è fatto contro il laicismo dalla Rivoluzione francese a oggi.
Chi osasse immaginare che ciò sarebbe tollerato da qualsiasi regime comunista, non avrebbe la minima idea di che cosa è il comunismo.
IX
CONCLUSIONE PRATICA
È importante e urgente mostrare il carattere necessariamente e intrinsecamente fraudolento della “libertà” offerta dal comunismo alla religione.
Per annullare i vantaggi che, in Occidente, il comunismo sta già ottenendo con i suoi accenni a una certa distensione sul terreno religioso e sociale, è importante e urgente illuminare l’opinione pubblica sul carattere intrinsecamente e necessariamente fraudolento della “libertà” da esso concessa alla religione e sull’impossibilità della coesistenza pacifica di un regime comunista – anche se moderato – con la Chiesa cattolica.
X
DOV’È IL VERO PERICOLO DI UNA ECATOMBE
Le guerre hanno come causa principale i peccati delle nazioni. Se, per evitare l’ecatombe nucleare, le nazioni dell’Occidente commettessero l’enorme peccato di accettare il comunismo, attirerebbero su di sé gli effetti della collera divina. A Fatima, la Madonna ha detto che la preghiera, la penitenza e il cambiamento di vita allontanano le guerre. Ella ci dia il coraggio di esclamare, di fronte al comunismo: “Non possumus”.
Giungendo al termine del presente studio, molti lettori si chiederanno tra sé e sé: come evitare allora l’ecatombe nucleare? È assolutamente chiaro che, se i cattolici si irrigidiscono sul principio della proprietà privata, le potenze comuniste, persa la speranza di imporre al mondo il loro sistema per via pacifica, ricorreranno alla guerra. Di fronte a ciò – si dica ciò che si vuole dal punto di vista dottrinale – non sarà preferibile cedere?
Uomini di poca fede – saremmo tentati di rispondere – perché dubitate? (20).
Le guerre hanno come causa principale i peccati delle nazioni. Infatti queste, dice sant’Agostino, non potendo essere ricompensate né castigate nell’altra vita, ricevono in questo stesso mondo il premio delle loro buone azioni e la punizione dei loro crimini.
Perciò, se vogliamo evitare le guerre e le ecatombi, combattiamole nelle loro cause. La corruzione delle idee e dei costumi, l’empietà ufficiale degli Stati laici, l’opposizione sempre più frequente tra le leggi positive e la legge di Dio, ecco ciò che ci espone alla collera e al castigo del Creatore, e ci conduce, più di ogni altra cosa, alla guerra!
Se, per evitarla, le nazioni dell’Occidente commettessero un peccato maggiore di quelli attuali, quale sarebbe l’accettazione di vivere sotto il giogo comunista in condizioni che la morale cattolica condanna, sfiderebbero in questo modo l’ira di Dio e richiamerebbero su di sé gli effetti della sua collera.
Tanto più che la concessione che si facesse oggi riguardo all’abolizione della proprietà privata, domani dovrebbe essere ripetuta riguardo all’abolizione della famiglia, e così di seguito. Infatti la tattica delle imposizioni successive, insita nello spirito del comunismo internazionale, procede con inesorabile intransigenza. In questo modo, fino a che infamia, fino a che abisso, fino a che apostasia ci degraderemmo?
L’esistenza umana, senza istituzioni necessarie come la proprietà privata e la famiglia, non vale la pena di essere vissuta. Sacrificare l’una o l’altra per evitare la catastrofe, non comporta un propter vitam vivendi perdere causas? Perché vivere in un mondo trasformato in un immenso baraccamento di schiavi gettati in una promiscuità animale?
Di fronte alla opzione drammatica dell’ora presente, che questo scritto cerca di porre in evidenza, non dobbiamo ragionare come degli atei, che pesano i pro e i contro come se Dio non esistesse.
Un atto supremo ed eroico di fedeltà, in quest’ora, potrebbe cancellare agli occhi di Dio una moltitudine di peccati, disponendolo ad allontanare il cataclisma che si avvicina.
Un atto di fedeltà eroica … un atto di completa ed eroica fiducia nel Cuore di Colui che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete sollievo per le vostre anime” (21).
Sì, confidiamo in Dio. Confidiamo nella sua misericordia, il cui canale è il Cuore Immacolato di Maria.
Nel messaggio di Fatima la Madre di Misericordia ha detto al mondo che la preghiera, la penitenza e il cambiamento di vita allontanano le guerre. E non le concessioni dettate dalla situazione, imprevidenti e vigliacche …
La Madonna di Fatima ottenga a tutti noi, che abbiamo il dovere di lottare, il coraggio di esclamare “non possumus” (22) di fronte alle suggestioni insidiose del comunismo internazionale.
PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA
Note:
(1) Nel 1970, cinque anni dopo la prima edizione di questo studio, andò al potere in Cile, per via elettorale, un governo marxista. Ma è noto che i partiti marxisti cileni non ottennero assolutamente la maggioranza. Come ho avuto occasione di provare allora, in un articolo ampiamente diffuso in quasi tutti i paesi dell’America Latina (cfr. Tutta la verità sulle elezioni cilene, in Folha de S. Paulo, 10-9-1970), nelle elezioni presidenziali precedenti, tenute nel 1964, Allende era appoggiato soltanto dai comunisti, ossia dal Partito Socialista (marxista), dal Partito Comunista e da certi gruppuscoli comunisti dissidenti. Così, tutto l’elettorato di Allende era comunista, e tutto l’elettorato comunista era per Allende; ed egli fu sconfitto. Nella consultazione del 1970, al contrario, Allende si presentò come candidato di una coalizione, ricevendo, oltre ai suddetti voti comunisti, l’appoggio di partiti non esplicitamente marxisti. E successe proprio che Allende fu primo dei candidati, ma ottenne soltanto il 36,3% dei voti contro il 38,7% ottenuto nelle elezioni precedenti. Si verificò, pertanto, un regresso dell’elettorato marxista nelle elezioni presidenziali del 1970, dal momento che, anche unito alle altre forze, egli ottenne una percentuale di voti inferiore al 1964. E il comunismo non si sarebbe assolutamente instaurato allora in Cile se non vi fossero stati: da una parte la divisione politica dei candidati antagonisti; dall’altra l’appoggio male mascherato, sconcertante, della Gerarchia e del clero cileni, alla testa il cardinale Silva Henriquez (che giunse ad autorizzare i cattolici a votare il candidato marxista!…); e, infine, la vergognosa cessione del potere ad Allende da parte della Democrazia Cristiana, al momento della scelta, in parlamento, tra i due candidati più votati.
Inoltre bisogna notare che nelle elezioni seguenti la coalizione di sinistra non ottenne la maggioranza dei voti. Per di più, le elezioni non si svolsero in un clima di autentica libertà. La libera propaganda elettorale fu coartata dal governo, che si servì con vigore dei mezzi di “persuasione” in suo potere, e inoltre esercitò una pressione diretta sulle aziende editrici di giornali e riviste, nonché su emittenti radio-televisive, coinvolgendole in arbitrarie inchieste, in alcuni casi assumendone il controllo azionario, e in altri casi sospendendone anche l’attività. Non si ebbe quindi la possibilità di una propaganda veramente libera, e questo fatto lasciò l’elettore di base dell’opposizione – il cui atteggiamento in una competizione elettorale è molto importante – in condizioni di non poter votare liberamente (cfr. gli articoli In Cile: pareggio sotto pressioni e Né vittoria autentica, né libera consultazione da me pubblicati sulla Folha de S. Paulo rispettivamente l’11 e il 18-4-1971. Questi articoli, quello precedentemente citato e altri sul medesimo argomento sono accessibili al lettore italiano nel volume Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, Cristianità, Piacenza 1973).
Le numerose agitazioni delle masse popolari, non rassegnate alla miseria derivante dalla applicazione dei principi comunisti alla economia cilena, misero bene in chiaro in che senso si sarebbe pronunciato il popolo se vi fossero state elezioni nei mesi che precedettero la caduta e il suicidio di Allende.
Per tutte queste ragioni, anche il caso cileno non costituisce un argomento valido contro la tesi secondo cui un partito comunista non ha mai ottenuto la maggioranza in elezioni veramente libere.
(2) Cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, Le insidie della setta comunista, trad. it., Cristianità, Piacenza 1975.
(3) Cfr. ZBIGNIEW CZAJKOWSKI, List otwarty do dr. Plinio Corrêa de Oliveira, in Kierunki. Varsavia 1-3-1964, n. 8.
(4) Cfr. T. MASOWIECKI- A. WIELOWIEYSKI, Otwarcie na Wschód, in Wiez, novembre-dicembre 1963, n. 11-12.
(5) PIO XII, Radiomessaggio natalizio ai popoli di tutto il mondo, del 24-12-1947, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. IX, p. 393.
(6) PIO XI, Enciclica Mit brennender Sorge, del 14-3-1937, in AAS, vol. XXIX, p. 163.
(7) SAN PIO X, Motu proprio Dell’azione Popolare cristiana, del 18-12-1903, vol. XXXVI, in ASS, pp. 341-343. [Il testo del documento è trascritto in Cristianità, Piacenza novembre-dicembre 1973, anno I, n. 2 (N.d.T.)].
(8) Cfr. GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, del 15-5-1961, in AAS, vol. LIII, pp. 414-415.
(9) Dalla data di pubblicazione di questo studio a oggi, la Santa Sede ha sviluppato, in misura considerevole, i suoi rapporti con governi comunisti, da cui sono derivate firme di accordi con questi governi. Ma questi accordi non eliminano la difficoltà fondamentale costituita dalle relazioni del Vaticano o delle gerarchie ecclesiastiche locali con i governi comunisti, perché, come è ovvio, non dispensano le autorità ecclesiastiche dall’insegnamento del settimo e del decimo comandamento. È quindi inevitabile che le autorità ecclesiastiche veramente fedeli alla loro missione facciano della predicazione integrale della morale cattolica una attività ideologica anticomunista. (Nota dell’Autore alla decima edizione).
(10) PAOLO VI, Allocuzione alla XIII Settimana di Orientamento Pastorale, del 6-9-1963, in AAS, vol. LV p. 752.
(11) F. A., Le rapport Ilitchev, in L’Osservatore Romano, ed. in lingua francese, 20-3-1964.
(12) A propos de “solution de remplacement”, ibidem.
(13) Cfr. Messaggio dei Vescovi d’Italia per la vocazione cattolica della Patria contro l’insidia del comunismo ateo, in La Civiltà Cattolica, vol. IV del 1963, pp. 388-391.
(14) Telegramma dell’11-3-1963 delle agenzie AFP e ANSA, in O Estado de São Paulo, 12-3-1963.
(15) Telegramma del 15-3-1963 delle agenzie ANSA, UPI e DEA, ibid., 16-3-1963.
(16) Telegramma del 23-3-1963 dell’agenzia AFP, ibid., 23-3-1963.
(17) Telegramma del 18-6-1963 delle agenzie ANSA, AFP, AP, DPA, NUI, ibid., 19-6-1963.
(18) Telegramma del 15-7-1963 delle agenzie citate nella nota precedente. ibid., 17-7-1963.
(19) MONS. ANGELO DELL’ACQUA, Lettera a S. Em.za il signor cardinale Carlos Carmelo de Vasconcellos Motta, arcivescovo di San Paolo, in occasione della Giornata Nazionale di Ringraziamento del 1956.
(20) Cfr. Mt. 8, 26.
(21) Mt. 11, 29.
(22) Atti 4, 20.