di Domenico Airoma
No woman, No cry era il titolo di una canzone di Bob Marley (1945-1981). Mi è tornata in mente in questi giorni, guardando la mia scrivania di pubblico ministero. «No man, no crime», mi sono detto: nessuno (o quasi) per strada, nessuno (o quasi) crimine da perseguire. Tranne pacchi di denunce per violazione del divieto di uscire di casa, ma questa è un’altra storia. Al di là del sollievo, molto interessato (lo ammetto), per il carico di lavoro sensibilmente diminuito – più del 70% in meno di notizie di reato ‒, la cosa non può non far riflettere. E non per vagheggiare, intendiamoci, uno Stato di polizia: un ordine pubblico che si regga sul divieto della socialità assomiglia infatti troppo al silenzio tombale dei cimiteri, così come non interesserebbe a nessuno un mondo senza donne, anche se talvolta costano qualche pena d’amore.
Giovanni Falcone (1939-1992), un uomo che di criminalità se ne intendeva e non ne faceva film o fiction, ha lasciato un pensiero di cui mi sono ricordato in questi giorni di lavoro a scartamento ridotto: «La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano». L’esperienza drammatica di questi giorni costituisce, forse, la dimostrazione più evidente della verità di tale affermazione.
C’è una criminalità, infatti, che è antica quanto il mondo (e l’uomo post peccatum) e che vede in Caino l’indiscusso capostipite: una criminalità fatta di sopraffazione del più debole. Ma c’è un’altra criminalità, che si fonda su un patto scellerato, che risponde a domande viziose e che si organizza per farlo. Perché si traffica la droga o si riducono in schiavitù donne e bambini da avviare alla prostituzione, se non c’è una domanda in tal senso? Se tutto ciò, in questo tempo drammatico, è assente, ciò vuol dire non che possiamo fare a meno della socialità, ma che si deve prendere atto che la nostra socialità è viziata. E che la mafia, essendo un cancro, ha bisogno, come il Covid-19, di un corpo su cui attecchire. E che, dunque, occorre guarire il corpo, anzi la mente e il cuore, trattandosi di un morbo che attacca la nostra capacità di distinguere il bene dal male e di comportarci di conseguenza.
La terapia d’urto di questi giorni insegna, forse, ciò di cui si ha davvero bisogno e che consentirà, una volta passata la tempesta, di scrollarsi di dosso anche il parassita mafioso. In particolare: che, assieme alla salute, non si può fare a meno di curare la salvezza delle anime (non sono un caso i milioni di spettatori che hanno seguito la benedizione urbi et orbi impartita da Papa Francesco il 27 marzo); che non si può fare a meno di prendersi cura della terra dei nostri padri e di chi la abita, se si vuole un futuro per noi e per i nostri figli; che non si può fare a meno dell’unico ambiente che ci protegge, dalla nascita alla vecchiaia, quello familiare. Insomma: «Dio, patria e famiglia»: l’unico evergreen che mi scalda il cuore. Con buona pace di Greta & friends. L’unica terapia che ci libererà dei falsi surrogati fatti da padrini, cosche e codici d’onore.
Martedì, 31 marzo 2020