di Silvia Scaranari
Da cattolica e da torinese mi stupisco sempre quando incontro qualcuno che non sa cosa sia la Sindone. Eppure, anche tra i miei concittadini, qualcuno c’è. Non più tardi di qualche giorno fa, parlando con i miei allievi di un prestigioso liceo cattolico torinese, mi sono accorta dell’assoluta ignoranza sull’argomento. Eppure è la più importante reliquia della cristianità.
Perché allora è poco nota? Un po’ per il carattere dei piemontesi che non “urlano” mai, al massimo “sussurrano” le proprie ricchezze, un po’ per il velo di scetticismo che è sceso sul Sacro Lino negli ultimi 50-60 anni, frutto di quel distacco tra spirito e corpo, fra una fede tutta intellettuale e una fede che invece comprende la dimensione integrale dell’uomo. La Sindone è la testimonianza più forte del Dio che si è fatto carne e ne ha lasciato traccia fino a noi. La Chiesa non si è mai impegnata ufficialmente sull’autenticità di questo Telo, ma la devozione ormai plurimillenaria del popolo fedele la rende un segno visibile del Cristo che ha sofferto ed è morto per salvare gli uomini.
Secondo il Vangelo «Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe […] Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. […] Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova» (Mt 27, 58-61) e questo lenzuolo viene ritrovato da san Giovanni e da san Pietro quando arrivano al sepolcro: «Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte» (Gv 20, 6-8).
La prima testimonianza storica certa risale a un medaglione di bronzo del Trecento, ritrovato nella Senna, che riporta la raffigurazione di un lenzuolo, tessuto a spina di pesce, con una doppia immagine e lo stemma della famiglia Charny.
Il lenzuolo funebre sarebbe stato conservato gelosamente dai primi cristiani e alcuni testi del secolo V parlano di un Mandylion (telo/asciugamano) raffigurante il volto di Cristo conservato a Edessa (oggi Urfa, in Turchia). I testi lo presentano come una immagine acheropita (non fatta da mano umana) che pare venisse esposta alla devozione pubblica ripiegata in modo da mostrare solo il volto. Nel secolo X questo telo viene trasferito a Costantinopoli, capitale dell’impero bizantino. Qui viene esposta ogni venerdì al culto dei fedeli nella sua completa estensione o almeno così racconta Robert de Clari, cavaliere francese che partecipò alla IV Crociata e di cui si è conservato fino ad oggi il diario (Biblioteca Reale di Copenaghen).
Con il sacco di Costantinopoli del 1204, durante la IV crociata, il Telo sarebbe stato trafugato dai Latini (il vescovo di Halbertstadt lo cita nell’elenco delle reliquie che avrebbe prelevato per onorare la sua chiesa ma è notizia poco certa) e portato in Grecia da Othon de la Roche designato duca di Atene e di Tebe. Probabilmente sarà stata custodita con grande segretezza dalla famiglia perché ricompare solo a Lirey, in Francia, quando nel 1340 una discendente di Othon de le Roche, Jeanne de Vergy, sposa Geoffroy de Charny portando in dote la preziosa reliquia.
Il 1° giugno 1390 una bolla, emanata da Papa Clemente VII, concede indulgenze a tutti coloro che si fossero recati alla chiesa di Lirey per venerarvi la Sindone. Anni dopo, con l’infuriare della guerra dei 100 anni, Margherita di Charny cerca un rifugio più sicuro del monastero di Lirey e la consegna, nel 1453, alla duchessa Anna di Lusignano, moglie del duca Ludovico di Savoia a Ginevra, in cambio di protezione.
Così la Sindone arriva nelle mani dei Savoia che ne detengono la proprietà e la tutela fino al 1983 quando l’ultimo re d’Italia in esilio, Umberto II, la lascia per testamento al Papa Giovanni Paolo II. Oggi è proprietà della Santa Sede ma la sua custodia è demandata al vescovo di Torino.
Come si presenta il Sacro Telo?
Un telo di lino rettangolare di 4,41 metri di lunghezza per 1,13 di larghezza, tessuto a lisca di pesce, antichissimo e di difficile datazione. Sono stati fatti esperimenti al C14 che lo hanno datato al XIII/XIV secolo ma questi risultati sono stati criticati per lo scarso rigore seguito nelle procedure, tanto da essere oggi ritenuti poco validi.
Sul tessuto si nota una doppia immagine, frontale e dorsale, di un uomo alto circa 1,80 metri, con barba e capelli lunghi. Sono presenti e molto evidenti anche delle macchie, dei rammendi e delle toppe. Nel tempo la sindone ha subito vari incidenti fra cui un incendio nel 1532 della cappella del castello di Chambery dove era conservata in una cassetta d’argento. La colatura di una goccia di argento fuso attraversò tutti gli strati distruggendo il tessuto in punti simmetrici oggi ben visibili come triangoli su cui le monache clarisse di Chambery posero delle toppe. Oggi, nell’opera di conservazione, le toppe sono state rimosse e il telo è stato dotato di un tessuto di supporto ben riconoscibile per il colore e la manifattura diversi.
Cosa mostra l’immagine dell’uomo sindonico?
È un uomo disteso, con la testa leggermente reclinata verso sinistra e le braccia incrociate sul pube con la mano sinistra sul polso destro. Il polso sinistro ed entrambi gli avambracci mostrano evidenti macchie di sangue. Il volto è segnato da macchie rossastre come pure i capelli. Si notano inoltre tumefazioni sotto gli occhi, sulla guancia destra, sul labbro superiore e sulla mascella. Il setto nasale è deviato. Molto importante è l’immagine dorsale che mostra moltissimi segni di flagello, dal collo alle caviglie. Sulla nuca sono visibili segni di sangue. Si notano bene i segni dei piedi e quello destro ha un alone scuro intorno ad un foro da cui fuoriescono due rivoli di sangue, uno cola verso le dita e l’altro verso il tallone.
Cosa dice la scienza?
Il 25 maggio del 1898 l’avvocato Secondo Pia effettuò delle fotografie della Sindone scoprendo il negativo dell’immagine e mettendo in rilievo l’inversione dei chiaro-scuri dell’immagine. Quel momento segna l’inizio degli studi sul telo e sull’immagine con metodi scientifici via via più moderni. Ad oggi restano comunque molte domande aperte.
La scienza ad oggi ci dice che non è un’immagine dipinta bensì un’impronta lasciata dal corpo di un cadavere. Un gruppo di scienziati statunitensi dello STURP (Shroud of Turin Research Project), nel 1978 ha accertato l’assoluta assenza di pigmenti e coloranti e l’elaborazione elettronica dell’immagine da parte di un équipe torinese ha evidenziato la sua tridimensionalità, elemento ovviamente assente in un dipinto. In più si è notato che l’immagine corporea ha uno spessore di alcuni centesimi di millimetro ed è stata causata da un’ossidazione-disidratazione della cellulosa delle fibre di lino, certamente non causata da mezzi artificiali, e le cui cause sono ancora oggi ignote alla scienza. Un particolare stupefacente è che l’immagine del corpo non è presente sotto le macchie di sangue il che significa che si è formata dopo che il sangue si è raggrumato sul tessuto.
Un ulteriore scannerizzazione dell’immagine del volto ha reso possibile notare sulla palpebra destra dei segni riconducibili ad una moneta romana coniata nella prima metà del I secolo.
Negli anni 1970 sono state applicate sulla stoffa strisce adesive che hanno permesso di estrarre granuli di polline che si sono rivelati appartenenti a 58 piante diverse. Tra queste piante ve ne sono alcune che crescono solo in Palestina e in Anatolia, il che dimostra la permanenza del Lino in queste zone prima del secolo XIV perché siamo certi che da quel momento non ha più lasciato la Francia. Più recentemente studiosi israeliani hanno confermato le precedenti ricerche ampliando però il numero di piante.
Le macchie che la tradizione ha sempre considerato causate dal sangue di Cristo, sono state sottoposte ad esame clinico con prelievo di piccoli campioni nel 1978. La scienza (gli esami sono stati condotti separatamente da un laboratorio italiano e da uno statunitense) conferma che si tratta di sangue umano e, per di più, del gruppo AB.
Ultima ricerca è di tipo artistico. L’elaborazione elettronica del volto ha permesso di ripulire il viso dal sangue e ricostruirne le fattezze originarie. Una comparazione con le fattezze iconiche dei primi secoli dimostra che esistono dei caratteri comuni molto evidenti. Questo potrebbe indicare un comune ispirarsi degli artisti dei primi secoli a questo volto della Sindone, indicando quindi la sua presenza in Oriente fin dalla nascita del cristianesimo.
La posizione della Chiesa
Non si è mai impegnata ufficialmente ma i documenti, le bolle pontificie, la venerazione universale, le testimonianze di decine e decine di pontefici conferisce a questo Telo una portata spirituale senza confronti.
San Paolo VI nel 1973 afferma «Fortuna grande dunque la nostra, se questa asserita effigie della Sacra Sindone ci consente di contemplare qualche autentico lineamento dell’adorabile figura fisica di nostro Signore Gesù Cristo […] Raccolti d’intorno a così prezioso e pio cimelio crescerà in noi tutti, credenti o profani, il fascino misterioso di Lui».
Per San Giovanni Paolo II è «specchio del Vangelo», mentre secondo Benedetto XVI «la Sacra Sindone si comporta come un documento fotografico, dotato di un positivo e di un negativo… il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. E la Sindone sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale».
E infine per Papa Francesco «attraverso la Sacra Sindone ci giunge la Parola unica ed ultima di Dio: l’Amore fatto uomo, incarnato nella nostra storia; l’Amore misericordioso di Dio che ha preso su di sé tutto il male del mondo per liberarci dal suo dominio».
Lunedì, 13 aprile 2020