di Daniele Fazio
La “narrazione” della pandemia da parte di Papa Francesco alla luce della Quaresima e soprattutto delle celebrazioni del Triduo pasquale ha avuto un asse importante: il richiamo alla speranza. Nella Veglia pasquale, il Successore di Pietro ha scandito: «Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza. È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza, con un sorriso di passaggio. No. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli». Non è nuovo Papa Francesco, sulla scia dei suoi Predecessori, nell’attirare l’attenzione verso quella che è una virtù teologale, grandemente incompresa nella modernità e nella post-modernità. Il Papa emerito Benedetto XVI (2005-2013) ha dedicato proprio alla tematica l’enciclica Spe Salvi (2007), descrivendo come nel mondo moderno attraverso delle tappe ben distinte si sia consumato il naufragio della speranza.
Un tale itinerario di oblio inizia con il soggettivismo moderno, il cui padre religioso fu Martin Lutero (1483-1546) che – compiendo una traduzione personale – del versetto della Lettera agli Ebrei che definisce la fede in connessione con la speranza (Eb. 11,1) – ne muta il senso e da realtà oggettiva – ipostatica – e prova della dimensione eterna, la riduce a convinzione privata. In questo senso, non solo la speranza ma anche la fede si riducono in senso individualistico e non informano più con la loro carica di verità lo spazio pubblico. La salvezza riguarda solo il singolo ed esclude la comunità, men che meno riguarderà la dimensione sociale. Così la religione viene relegata nell’intimo e l’uomo inizia a sperare in altro.
Convertendo la verità in utile, il filosofo della tecnica Francesco Bacone (1561-1626) e poi l’Illuminismo sostituirono la speranza cristiana con la corsa al progresso, che avrebbe definitivamente – grazie alla scienza – liberato da ogni problema l’uomo occidentale e inaugurato sulla terra una civiltà perfetta. La frattura della sintesi tra la fede e la ragione, che aveva avuto il suo culmine nel pensiero di Tommaso d’Aquino (1225 – 1274), erosa dal volontarismo tardo medievale – veniva ora a produrre il primo effetto socio-culturale nel tentativo operato dall’Illuminismo di rinchiudere la religione entro i limiti della ragione, svuotandola dai suoi contenuti soprannaturali, e con la Rivoluzione francese di inverare un mondo nuovo che escludesse dallo spazio pubblico ogni riferimento a Dio e alla sua legge. A dominare sarebbe stata solo la ragione strumentale, fulcro della scienza, di cui è cantore Immanuel Kant (1724-1804).
La successiva tappa è rappresentata dalla filosofia di Karl Marx (1818-1883) e dal comunismo. La speranza, ormai secolarizzata, diventa fiducia nella rivoluzione politica ritenuta capace di vincere ogni ingiustizia e, rifuggendo dal “cielo”, ossia da ogni riferimento spirituale e metafisico, inaugurare la società egualitarista, una sorta di paradiso terrestre rigorosamente senza Dio. Anche tale tentativo si è mostrato grandemente fallimentare in quanto la rivoluzione bolscevica e la dittatura comunista realizzatisi hanno solo prodotto inferni terrestri. Sono implosi come motore della secolarizzazione, ma lasciano ancora delle appendici vistose come, ad esempio, la Cina.
I tentativi illuministi e comunisti di tradurre la speranza in tensione terrena, sostanziata ora dalla scienza ora dalla politica, hanno avuto sicuramente una critica da parte della Scuola di Francoforte, che certamente ha individuato nelle principali correnti della modernità dei nodi problematici. Tuttavia, la filosofia dei francofortesi prevede una soluzione del problema che fa emergere un’ottica nichilistica e contribuisce, soprattutto con la rivoluzione culturale del ’68, – di cui sono ritenuti maestri – ad un’ulteriore tappa di smarrimento della speranza.
Di questo processo, è complice anche il cristianesimo moderno nella misura in cui si è fatto persuadere dalla posizione soggettivistica e quindi – attraverso varie tipologie di “scelte religiose” – si è ritirato nel privato, talvolta confondendosi con le ideologie dominanti e comunque rinunciando ad informare con l’autenticità del messaggio di Cristo la storia, così come furono capaci di fare le precedenti generazioni dei cristiani.
Alla fine di questo itinerario comprendiamo, allora, perché il nostro mondo è disperato e non potrà mai trovare speranza se non accetta di concentrare nuovamente l’attenzione su Colui che nella storia ha fatto germogliare questa virtù che riguarda sia i singoli che le società: Gesù Cristo, morto e risorto, che nella sua esperienza terrena ha saputo dare senso alla sofferenza, trasformandola in amore. Questo da allora è diventato la misura non solo della vita terrena, ma anche della possibilità di ricevere in dono la vita vera nel paradiso o tragicamente di perderla nell’inferno. Ed è proprio da qui che rinascere la speranza.
Martedì, 14 aprile 2020