di Domenico Airoma
Nel racconto della Passione di Cristo c’è una figura che mi ha sempre incuriosito. E non è Pilato (nonostante il mestiere che faccio), ma, direi, il suo “lato B”. Anch’egli un suddito di Cesare, pratico e concreto, come ogni romano. Abituato ad avere con le divinità un rapporto a distanza, secondo necessità: cercare di ingraziarsele, per evitare guai. Anche lui un uomo delle istituzioni, aduso ad avere a che fare con l’autorità, talora esercitandola, talaltra subendola. Mi riferisco al centurione. Mentre il giudice romano, al cospetto della verità, volta la faccia e non ha il coraggio di guardarla negli occhi, il soldato rimane sotto la croce, non scappa, a differenza di tutti gli altri. E dinanzi a quell’uomo che muore in croce mentre tutta la natura attorno ruggisce di rabbia, esclama: «Costui era veramente il figlio di Dio!».
Non è semplice aprire gli occhi dinanzi alla verità. Ci vuole un animo umile, l’esatto contrario di noi, «Pilato» moderni, che pensiamo di essere verità a noi stessi e che ci accontentiamo di vivere nella luce artificiale. Non è facile, ma è sempre possibile. E ringrazio Iddio perché ne ho fatto esperienza, anche in epoca di pandemia.
Un bravo collega, di lunga esperienza, molto concreto (di cui non farò il nome, neppure sotto tortura), mi ferma e mi fa: «Ma come è possibile! Pure in questo momento, mi chiamano per un’interruzione di gravidanza di una minorenne». «Di cosa ti stupisci?», gli obietto. «Già è tanto. Di questi tempi, avrebbe potuto farsi prescrivere anche telefonicamente una pillolina e abortire a casa. Chi avrebbe avuto da ridire? Chi avrebbe controllato?». «Ho capito, ma era per lei la seconda volta!», mi riprende incalzandomi, quasi spazientito. «E la mamma stava lì quasi infastidita davanti alle mie perplessità, capisci? Guardi che sua figlia nella pancia ha un bambino non una cosa!». Lo guardo senza parlare, tra l’ammirato e il sorpreso. Non faccio in tempo a dirgli qualcosa che lui attacca: «Sai che penso? Che forse ce la siamo meritati questa maledetta pandemia. Che abbiamo superato ogni limite. Che non c’è più nulla di davvero umano in noi». Va via. Senza aggiungere altro. E senza che io avessi il tempo di aggiungere altro.
Ma, forse, c’era ben poco da aggiungere. Avevo avuto la dimostrazione che davvero nulla accade a caso nella vita degli uomini. Si tratta di non soffocare il centurione che è in noi. Come aveva fatto quel mio collega, un po’ burbero, ma ancora capace di indignarsi e di dare testimonianza alla verità. Anche se a modo suo, ma poco conta.
Non c’è una morale in questa storia. C’è solo un’ulteriore riflessione da fare a margine.
Tutti si interrogano sul dopo pandemia, sul come usciremo; come se quel dopo potesse avere prodigiosi effetti palingenetici sull’umanità. La realtà è che conta innanzitutto chi uscirà. Se usciremo come siamo entrati in questa forzata cattività, tutto sarà come prima; anzi, peggio, se solo guardiamo alle condizioni economiche e sociali che ci attendono. Se, invece, a cominciare da adesso, apriamo gli occhi e il cuore, indignandoci dinanzi alle mille menzogne dei falsi maestri della babele buonista, allora il dopo è già iniziato. Come per il centurione. E ben prima della Resurrezione.
Mercoledì, 15 aprile 2020