Giovanni Cantoni nel ricordo dei suoi militanti
Mauro Ronco, Cristianità n. 401 (2020)
Il 18 gennaio è mancato Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica nel lontano 1964 e sua guida instancabile fino al 2016, allorché, colpito per due volte da ictus, rinunciò alla reggenza dell’Associazione. Era nato nel 1938, si era sposato con Sabina il 1° maggio 1965 e aveva dato vita a una famiglia che conta ora quattro figli e venti nipoti. Nel direttorio di Alleanza Cattolica sta scritta una frase attribuita a sant’Agostino (354-430) che esprime il senso del suo apostolato: Animam salvasti animam praedestinasti. Il dono che tu fai agli altri rendendoti umile via di trasmissione della Grazia di Dio per convertirti a Cristo è caparra di vita eterna per te che sei generoso datore del dono.
Il segno più evidente della fede che lo animò fu l’assillo verso un percorso di ininterrotta conversione, di sé e di tutti coloro che al suo magistero si avvicinavano, soprattutto i giovani che, negli anni 1960, 1970 e 1980, anelavano al ritorno forte della fede nella loro vita e nel mondo intero. In un tempo che san Paolo VI (1963-1978) aveva descritto come caratterizzato da un misterioso processo di «autodemolizione» (1) della Chiesa, Cantoni fu la via scelta da Dio per ridare a molti la speranza. Il processo di «autodemolizione» si sarebbe arrestato non con proclami o contestazioni, bensì con la conversione a Cristo delle menti e dei cuori e con le opere di carità spirituale che ne sarebbero conseguite. Con la conversione delle menti, in primo luogo. La verità sta prima nell’ordine delle essenze; il logos precede l’amore. Sant’Ignazio di Antiochia (35 ca.-107) nella Lettera agli Efesini ha fissato l’ordine inalterabile delle due virtù: «La fede è il principio, l’amore il fine» (2). Cantoni citava nello stesso senso sant’Agostino: «Non si ama ciò che non si conosce». Dunque, chi si convertiva, magari animato da un generico spiritualismo antimaterialistico, riceveva da Cantoni la preghiera (rectius: il comando) di studiare anzitutto la dottrina della Chiesa. Poiché, poi, l’impreparazione dei laici che si avvicinavano a lui non consentiva che attingessero direttamente alle fonti dei Padri o alla somma dottrina di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), egli li invitava a iniziare con lo studio sistematico della dottrina sociale della Chiesa, mettendosi alla scuola del Magistero petrino. Lo studio mai avrebbe dovuto essere gelosamente custodito per sé stessi, per la propria vanagloria, bensì messo a servizio della carità spirituale.
Nessuno tra i militanti di Alleanza può dimenticare i suoi mirabili commenti alle encicliche Centesimus annus, Dominum et vivificantem, Evangelium vitae, Fides et ratio, Sollicitudo rei socialis, Veritatis splendor. Il primo numero di Cristianità, la rivista da lui fondata, diretta e scritta in gran parte, attentamente controllata pur nelle minuzie editoriali, si apriva con il titolo «Preghiera, Azione, Sacrificio» (3). Riprendendo l’antica divisa della prima azione cattolica, egli così dichiarava: «Preghiera, per impetrare da Dio, attraverso la mediazione della santissima Vergine, la grazia di essere fedeli alla sua legge, sia a quella naturale che a quella rivelata, per ciò che ordina in rapporto alla sua gloria, alla nostra santificazione, e quindi all’amore del prossimo in tutti i suoi gradi e in tutte le sue forme; azione, per diffondere nella sua integrità la buona dottrina, spirituale e sociale, sostenere le cause giuste e resistere ai malvagi; sacrificio per agire con costanza e abnegazione, e per supplire con volontarie mortificazioni alle offese, sia private che pubbliche, sia individuali che sociali, fatte alla legge di Dio».
Note:
(1) Paolo VI, Resoconto della conversazione con gli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968, ibid., vol. VI, 1968, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1969, pp. 1187-1189 (p. 1188).
(2) Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, cap. XIV, 1.
(3) Cfr. Cristianità, anno I, n. 0, luglio-agosto 1973, pp. 1 e 10.
(4) Ibid., p. 10.