Giovanni Cantoni nel ricordo dei suoi militanti
Stefano Nitoglia, Cristianità n. 401 (2020)
Ho conosciuto Giovanni Cantoni nel 1975 e ne sono rimasto affascinato. Entrai, allora, in Alleanza Cattolica (AC), nella Croce romana dedicata alla Madonna del Miracolo. Ebbi così modo di conoscere Cantoni più a fondo, e quello che in lui e di lui mi colpì particolarmente fu quel suo interessarsi sempre delle persone, dei loro bisogni più disparati, non solo spirituali, sempre con quel suo caratteristico prenderti sottobraccio, e la sua capacità di offrire risposte concrete. In poche parole mi colpì la sua umanità, la sua paternità spirituale, la sua carità, quella sulla quale, alla fine, secondo la Scrittura, saremo giudicati.
Dopo sei anni di militanza in AC, venne il 1981, con il referendum sull’aborto proposto dal Movimento per la Vita, che fu accusato da alcuni, con un ragionamento infondato — ma lo compresi pienamente solo molto dopo —, di «minimalismo». Fui tra questi e abbandonai Alleanza Cattolica per altre esperienze, lasciate pure quelle venticinque anni dopo.
Nel 2013, rimasto solo, ma con il tarlo dei talenti da usare che dentro mi rodeva, mi ricordai di Cantoni, della sua paternità spirituale, la cui memoria, per tanti anni, aveva costituito il mio unico legame con lui. Decisi, quindi, di chiamare Attilio Tamburrini, altro militante storico di AC al quale ero rimasto legato, e di chiedergli di poter frequentare le riunioni della Croce romana Regina Salus Populi Romani. Mi fu caritatevolmente accordato. Era il mese di aprile del 2013. Da poco Cantoni era stato colpito dal male che dopo sette anni di lungo calvario, sopportato eroicamente, lo avrebbe portato alla pace eterna. Iniziai, così, il mio «noviziato» in AC, dove, finalmente, ho ritrovato la mia vocazione.
Mi piace pensare che questo mio ritorno, dopo trentadue anni di esodo, sia dovuto anche alle sofferenze espiatorie di Giovanni Cantoni.