Un organo di stampa ufficiale del Partito Comunista Cinese ha criticato la gestione degli inizi della epidemia di COVID-19 a Wuhan
di Ermanno Pavesi
Il Global Times, organo di stampa in inglese della cui edizione è responsabile il Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, ha pubblicato, il 14 febbraio 2020, un articolo on line basato soprattutto su una intervista al professore di diritto Jiang Shigong, dell’Università di Pechino, che ha descritto due fasi nella gestione dell’epidemia a Wuhan, prima e dopo il 20 gennaio 2020.
Sulla prima fase il Professore Jiang esprime critiche molto severe: il primo caso di COVID si sarebbe verificato già agli inizi di dicembre, ma le autorità locali non avrebbero preso provvedimenti fino a quando, il 30 dicembre, il dottor Li Wenliang con alcuni colleghi ha reso nota l’esistenza di alcuni casi di polmoniti sospette che avevano contagiato anche il personale sanitario. Un articolo del 19 marzo del Global Times, rivela che Li in una prima chat aveva parlato di sette pazienti affetti da Sars, e un’ora dopo aveva comunicato che era stata confermata la diagnosi di infezione da coronavirus. Dopo che la notizia delle infezioni da coronavirus era diventata di dominio pubblico, le autorità locali hanno comunicato ufficialmente l’esistenza di una epidemia il 31 dicembre e nello stesso giorno sono stati coinvolti nella gestione dell’epidemia anche esperti del CDC, il Center for Disease Control and Prevention (CDC), il massimo ente sanitario cinese per le malattie infettive.
L’articolo prende atto che “dal 31 dicembre al 17 gennaio, le autorità sanitarie locali non hanno comunicato né il fatto che la malattia potesse essere trasmessa da uomo a uomo, né il numero delle nuove infezioni. Li, con altre sette persone, è stato redarguito dalla polizia locale per aver diffuso ‘notizie false online’ mentre si stavano verificando altri casi di infezione, in particolare tra il personale medico”. L’articolo sottolinea che nella prima fase dell’epidemia anche Gao Fu, Direttore generale del CDC, sosteneva che il virus non avrebbe mostrato alcun segno di trasmissione da uomo a uomo. Solamente il 20 gennaio, Zhong Nanshan, consulente medico del governo centrale, durante un programma televisivo ha informato la popolazione che il COVID-19 può essere trasmesso da uomo a uomo. Secondo un bollettino dell’OMS il 20 gennaio vi erano 278 casi confermati in Cina e quattro in altri paesi.
L’articolo accusa i funzionari locali e alcuni esperti inviati dal CDC di non essersi resi pienamente conto della gravità della situazione e, quindi, di aver perso tempo prezioso per prendere provvedimenti adatti a isolare l’epidemia e “per salvare quante più vite possibili”. L’articolo lascia aperta la questione, in che forma e fino a quale livello il governo centrale può essere stato informato sulla situazione: “In che modo i medici, gli esperti delle autorità centrali e locali, compresi importanti consulenti medici, hanno deciso e formulato suggerimenti e hanno riferito questa situazione al governo centrale? Il processo non è noto nei dettagli”.
Dopo il 20 gennaio la gestione dell’epidemia è stata assunta dai vertici del Partito e dallo stesso Xi Jinping, Segretario generale del Comitato centrale del Partito Comunista: “Xi, come comandante di questa guerra, ha convocato numerose riunioni, ha ascoltato rapporti, ha impartito importanti istruzioni sul lavoro di prevenzione e controllo e ha discusso l’argomento con leader stranieri”. Il 23 gennaio è stato imposto il lockdown per Wuhan e per altre città della provincia Hubei.
Un articolo del Global Times del 5 marzo ha riabilitato Li Wenliang, “Molti hanno affermato che le autorità locali devono scusarsi per averlo rimproverato e per averlo accusato di aver diffuso “voci”; –ciò che si è rivelato essere un avvertimento che avrebbe potuto aiutare il paese a evitare una enorme crisi sanitaria”.
Un confronto con i comunicati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità conferma i dati più importanti di queste ricostruzioni ufficiali. L’OMS è stata informata dell’esistenza di una epidemia il 31 dicembre. Il 12 gennaio ha comunicato che le autorità cinesi avevano identificato 763 contatti dei malati di COVID-19 senza trovare nuovi casi positivi, in particolare neppure tra il personale sanitario, ciò che avrebbe escluso la possibilità di contagio da uomo a uomo. L’OMS si è basata su queste informazioni per le sue raccomandazioni, per esempio per quanto riguardava i viaggi da e per la Cina.
Fino al 24 gennaio per l’OMS sono state in vigore le raccomandazioni del 10 gennaio che raccomandavano unicamente le precauzioni abituali ma non restrizioni nel traffico internazionale.
Il 17 gennaio l’ECDC, l’European Centre for Disease Prevention and Control, una agenzia dell’Unione Europea dichiarava che: “La probabilità di infezione per i viaggiatori che visitano Wuhan, ma non visitano questi mercati, è considerata bassa, perché finora non vi è alcuna indicazione della circolazione del virus tra la popolazione. Pertanto, la probabilità di importazione di casi di COVID-19 nella UE è considerata bassa, ma non può essere esclusa nella situazione attuale”. E proprio in quei giorni una dipendente cinese della ditta produttrice di componenti per automobili Webasto, è arrivata da Shanghai e ha partecipato il 20 e il 21 gennaio a riunioni nella sede della ditta a Stockdorf nell’Alta Baviera dove ha contagiato alcuni dipendenti. Alcuni studi dimostrerebbero che proprio il ceppo “bavarese” del virus avrebbe provocato i primi focolai nel Nord Italia.
Se articoli del Global Times hanno sostenuto che una gestione migliore dell’epidemia avrebbe potuto salvare vite in Cina e risparmiare al paese una grave crisi sanitaria, questo vale anche per i paesi nei quali il virus è stato esportato. D’altra parte, gli esperti dell’OMS e dell’ECDC avrebbero dovuto rendersi conto che le informazioni fornite dalla Cina non erano credibili: solo per due terzi dei primi casi c’era stato un contatto con il mercato del pesce di Wuhan, e non è detto che in tutti questi casi il contagio sia avvenuto da animale a uomo, ma per un terzo dei casi le modalità del contagio non erano note. La notizia che dei 763 contatti nessuno era risultato positivo, neppure tra il personale sanitario, non era corretta almeno in un caso: il dottor Li ha manifestato i primi sintomi dell’infezione COVID il 10 gennaio, è stato ricoverato il 12 gennaio ed è deceduto il 7 febbraio.
Mercoledì, 29 luglio 2020