Una introduzione alla lettera enciclica firmata il 3 ottobre da Papa Francesco. Con la speranza che venga letta e studiata da molti, anche da quelli che la stanno criticando per pregiudizio ideologico oppure senza averla veramente letta.
di Michele Brambilla
L’enciclica Fratelli tutti, lungamente attesa in questo anno di pandemia, è stata firmata da Papa Francesco il 3 ottobre sulla tomba di san Francesco d’Assisi. Del resto, le prime parole sono tratte proprio da un testo del Poverello (Ammonizioni, 6, 1: FF 155) e l’intero documento papale si ispira al celebre incontro tra san Francesco e il sultano in Egitto (1219): «senza ignorare le difficoltà e i pericoli, san Francesco andò a incontrare il sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli», vale a dire la mansuetudine evangelica, che è carità nella verità.
L’enciclica viaggia proprio attraverso questi poli: cerca di coniugare la massima apertura di cuore con la conferma di alcuni caposaldi della riflessione cattolica di questi anni. Il Santo Padre, infatti, non esita a criticare molti dei presupposti della cultura contemporanea: la radicale dialettizzazione del dibattito pubblico (n.4), l’aggressività derivante dall’individualismo radicale (n.44), l’oscuramento degli autentici diritti umani in nome delle colonizzazioni ideologiche (n.22 e 51) e la cosiddetta cancel culture (n.52). Il Pontefice considera, però, altrettanto riprovevoli i «regimi politici populisti», affiancati nella condanna al neo-liberismo (n. 37), ritenendo infondati molti dei timori che circondano il fenomeno migratorio: «comprendo che di fronte alle persone migranti alcuni nutrano dubbi o provino timori. Ma è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri» (n.41), cosa possibile solo se si ha un’identità “forte” (n.143).
A proposito di populismo, nel n.156 il Papa prende le distanze dall’abuso che si fa degli aggettivi “populista” e “non populista” sui media: «ormai non è possibile che qualcuno si esprima su qualsiasi tema senza che tentino di classificarlo in uno di questi due poli, o per screditarlo ingiustamente o per esaltarlo in maniera esagerata». Distingue tra «leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo» e «leader populisti chiusi», che impedirebbero l’evoluzione del pensiero determinata dagli apporti “nuovi” e si fermerebbero al tornaconto elettorale (n.159-160). Anche la politica deve riconoscere in ciascun cittadino (o aspirante tale) un fratello e una sorella in umanità (n.180).
Venendo ad un altro tema che ha fatto molto discutere, la pena di morte, essa è considerata una mutilazione inaccettabile della dignità umana alla pari della guerra (n.266-270): «i cristiani che dubitano e si sentono tentati di cedere a qualsiasi forma di violenza, li invito a ricordare l’annuncio del libro di Isaia: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri” (2,4)».
Il nocciolo dell’enciclica è da ricercarsi proprio nella centralità della persona, in qualunque condizione si trovi. Francesco si ribella ad un’economia eccessivamente finanziarizzata (n.33), agli orrori dei conflitti armati e del settarismo (n.257), e offre come paradigma la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37): «per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (cfr Mt 25,40.45). […] A ciò si aggiunge che crediamo che Cristo ha versato il suo sangue per tutti e per ciascuno, e quindi nessuno resta fuori dal suo amore universale» (n.85). Anche il Papa desidera un «mondo aperto» (titolo del cap.3), ma solo a partire dal riconoscimento della paternità di Dio su ogni creatura. Colpisce l’attacco frontale portato alla celebre “triade” della Rivoluzione francese, «libertà, uguaglianza, fraternità», di cui dimostra la sterilità se non accompagnata da un principio trascendente: «la fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità», come pretende l’ideologia liberale. «Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità»: ne deduce che «l’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni» (nn.103-104-105).
Nel n.112 dice: «non possiamo tralasciare di dire che il desiderio e la ricerca del bene degli altri e di tutta l’umanità implicano anche di adoperarsi per una maturazione delle persone e delle società nei diversi valori morali che conducono ad uno sviluppo umano integrale. Nel Nuovo Testamento si menziona un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22) definito con il termine greco agathosyne. Indica l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per gli altri», mentre invece «in questa linea, torno a rilevare con dolore che “già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi” (Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 229: AAS 107 (2015), 937)». Chi ama la propria terra, intesa anche come radici culturali, apprezza anche la terra e la cultura dell’altro (n.143).
Il cap.8 torna a proporre una “santa alleanza” tra le religioni presenti nel mondo («le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società», recita il n.271), ma solo una di esse predica davvero quanto enunciato dal Papa, che tocca allora l’argomento della specificità cristiana: «la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e “nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 2). Tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che “se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati” (Discorso nell’Incontro ecumenico, Riga – Lettonia (24 settembre 2018): L’Osservatore Romano, 24-25 settembre 2018, p. 8)».
L’unico universalismo che sia davvero riuscito ad unire tutti i popoli raggiunti è quello della Chiesa: «chiamata a incarnarsi in ogni situazione e presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo significa “cattolica” –, la Chiesa può comprendere, a partire dalla propria esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito all’amore» nei confronti di tutti. Un anelito oscurato dal fondamentalismo, un pericolo che secondo il Papa si annida potenzialmente anche in casa cattolica (n.284). Invita, pertanto, a considerare prioritaria la difesa della libertà religiosa. «Come cristiani chiediamo», infatti, «che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza. C’è un diritto umano fondamentale che non va dimenticato nel cammino della fraternità e della pace: è la libertà religiosa per i credenti di tutte le religioni» (n.279).
Il Santo Padre sigilla l’enciclica con un forte appello contro il terrorismo di matrice religiosa (n.285), rinnovando i toni del documento sulla fratellanza umana sottoscritto assieme all’imam Ahmad Al-Tayyeb, e confidando che «in questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da san Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri». Seguono due preghiere: la prima è indirizzata genericamente al Creatore, affinché sia fatta propria da tutti gli uomini di buona volontà; la seconda è una «preghiera cristiana ecumenica», che si apre con l’invocazione alla Trinità, cioè al dogma che unisce i cristiani di tutte le confessioni.
Mercoledì, 7 ottobre 2020