Urge una riscoperta della carnalità della fede cattolica e del Sacrificio eucaristico.
di Diego Torre
Abbiamo sofferto, pianto, protestato perché ci avevano tolto la S. Messa. Abbiamo anche inveito contro chi ce l’ha tolta e atteso con ansia di incontrare e ricevere il Signore, il Suo corpo, Sangue, Anima e Divinità presenti nella Ss. Eucarestia. Abbiamo iniziato a cercare nel buio delle catacombe qualche sacerdote temerario che la celebrasse, sfidando la persecuzione giudiziaria e mediatica, cosciente che, se scoperto, sarebbe stato abbandonato al suo destino. Poi è finito il lockdown, è passata l’estate, sono trascorsi i mesi e abbiamo scoperto che a desiderare Gesù non eravamo poi in tantissimi.
Tutti possiamo verificare il vuoto delle chiese alla S.Messa e la difficoltà di gruppi e classi di catechismo a ripartire. Mons. Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, ha detto il 27 agosto scorso: «Dobbiamo riconoscere che è cresciuta la disaffezione alla Messa, gesto fondamentale della fede, e rischiamo d’essere un popolo sempre più disperso. Siamo umilmente sinceri: si riempiono le piazze della movida, i luoghi di vacanza e di divertimento, ed è comprensibile un desiderio di svago, di tempi più sereni, condivisi in famiglia e con amici. Ma non sono in molti a sentire la necessità di venire a Gesù, d’incontrarlo alla mensa della Parola e del Pane di vita, e tutto ciò ci deve interrogare come pastori, come Chiesa: le circostanze di questo tempo fanno venire alla luce una povertà di fede nel vissuto di tanti e ci chiedono, come comunità cristiana, di lasciarci provocare e purificare nel nostro modo d’essere e di testimoniare la vita secondo il Vangelo».
Già, la povertà di fede. Il Covid ha messo a nudo che per tanti la Messa si poteva surrogare comodamente con la trasmissione in streaming: sdraiati sul divano, senza il rischio di non trovare posto in chiesa, senza subire gli avvisi sanitari del prete e senza sottoporsi alle procedure previste, e soprattutto senza… rischiare il contagio. I preti più zelanti hanno moltiplicato le Messe per riprendere tutti i fedeli, gli scansafatiche hanno preso atto del calo, lieti di lavorare di meno. La paura e la pigrizia hanno lasciato il segno, nei preti e nei fedeli.
Ma emerge di peggio: per tanti la Messa che cos’è? Un’assemblea condominiale dei parrocchiani, una festa che non deve finire, una catechesi elaborata e noiosa, il “luogo” della raccolta delle offerte? Quanti, pastori e pecore, ricordano che l’Eucaristia è trovarsi ai piedi della Croce, presenti e partecipi dell’immolazione dell’Agnello, dalla quale deriva ogni salvezza? Quanto viene ancora ricordato e adeguatamente solennizzato tutto ciò? Persa la sacralità del Santo Sacrificio, non se ne coglie più l’indispensabilità, la grandezza e l’unicità. Non si tratta di una devozione fra le altre, non è la somma delle preghiere dei cristiani presenti, ma il sacrificio che la Chiesa universale offre attraverso il suo Capo, che è Dio, sacerdote e vittima, all’Eterno Padre. Chi ne è più consapevole? Il calo dei fedeli è una conseguenza del calo della fede e della riduzione del messaggio cristiano a un orizzontalismo sociologico che non spinge certo all’impegno e al sacrificio. Quanti cristiani si sono fatti (e nelle terre di missione questo accade comunemente) uccidere per partecipare alla Messa?
Dio si è fatto carne, cibo, materia. E’ per questo che il prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti, card. Robert Sarah, nella lettera inviata ai presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo ha ricordato: «E’ urgente tornare alla normalità della vita cristiana con la presenza fisica alla Messa, dove le circostanze lo consentano: nessuna trasmissione è equiparabile alla partecipazione personale o può sostituirla […] Queste trasmissioni, da sole, rischiano di allontanarci da un incontro personale e intimo con il Dio incarnato che si è consegnato a noi non in modo virtuale, ma realmente. Questo contatto fisico con il Signore è vitale, indispensabile, insostituibile».
Martedì, 13 ottobre 2020