Giovanni Paolo II, Cristianità n. 319 (2003)
Messaggio ai partecipanti al convegno del Pontificio Comitato di Scienze Storiche su Leone XIII e gli studi storici, del 28-10-2003, nn. 3-6, in L’Osservatore Romano, 1°-11-2003. Titolo e traduzione del brano latino redazionali.
Come Leone XIII, sono anch’io personalmente convinto che giovi alla Chiesa portare alla luce, per quanto è possibile mediante gli strumenti delle scienze, la piena verità sui suoi duemila anni di storia.
Certo, agli storici viene chiesto non solo di applicare scrupolosamente tutti gli strumenti della metodologia storica, ma anche di prestare una consapevole attenzione all’etica scientifica che sempre deve contraddistinguere le loro ricerche. Nel suo ben noto documento Saepenumero considerantes, Leone XIII indirizzò agli studiosi della storia un famoso monito di Cicerone: “Primam esse historiae legem ne quid falsi dicere audeat, deinde ne quid veri non audeat; ne qua suspicio gratiae sit in scribendo, ne qua simultatis” [La prima regola della storia è non osare affermare nulla di falso, né tacere qualcosa di vero; perché nello scrivere non vi siano sospetti di partigianeria o di avversione] (Leonis XIII Acta, III, 268).
Queste parole di grande saggezza spingono lo storico a non essere né accusatore né giudice del passato, ma ad adoperarsi pazientemente per comprendere ogni cosa con la massima penetrazione e ampiezza, al fine di delineare un quadro storico il più possibile aderente alla verità dei fatti.
Varie volte, nel corso di questi anni, ho avuto modo di sottolineare la necessità della “purificazione della memoria” quale indispensabile premessa per un ordine internazionale di pace (cfr., ad esempio, il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1997, n. 3).
Chi indaga sulle radici dei conflitti in atto in varie parti del Pianeta scopre che eventi risalenti a secoli passati continuano a far sentire anche nel presente le loro funeste conseguenze. Non di rado — e ciò rende più complessa la situazione — queste memorie “inquinate” sono addirittura diventate punti di cristallizzazione dell’identità nazionale e, in alcuni casi, persino di quella religiosa. Ecco perché occorre rinunciare a qualsiasi strumentalizzazione della verità. L’amore degli storici per il proprio popolo, per la propria comunità anche religiosa, non deve entrare in competizione con il rigore per la verità elaborata scientificamente. È da qui che ha inizio il processo della purificazione della memoria.
L’invito ad onorare la verità storica non comporta, ovviamente, che lo studioso abdichi a un suo orientamento o abbandoni la sua identità. Da lui ci si attende soltanto la disponibilità a comprendere e la rinuncia ad esprimere un giudizio affrettato o addirittura fazioso.
Infatti, nello studio della storia non si possono automaticamente applicare al passato criteri e valori acquisiti solo dopo un processo secolare. È invece importante sforzarsi anzitutto di risalire al contesto socio-culturale dell’epoca, per comprendere quanto è accaduto a partire dalle motivazioni, dalle circostanze e dai risvolti del periodo in esame. Gli eventi storici sono il risultato di intrecci complessi tra libertà umana e condizionamenti personali e strutturali. Tutto ciò va tenuto presente quando si intende “purificare la memoria”.
[…] Da queste riflessioni emerge con chiarezza che è necessario in primo luogo riconciliarsi con il passato, prima di avviare un processo di riconciliazione con altre persone o comunità. Questo sforzo di purificare la propria memoria comporta sia per gli individui che per i popoli il riconoscimento degli errori effettivamente compiuti e dei quali è giusto chiedere perdono: “Non si può rimanere prigionieri del passato”, ammonivo nel Messaggio citato (n. 3). Ciò talvolta domanda non poco coraggio e abnegazione. Solo questa, però, è la via attraverso la quale gruppi sociali e nazioni, liberati dalla zavorra di antichi risentimenti, possono unire le loro forze con fraterna e reciproca lealtà, per creare un futuro migliore per tutti.