di Marco Invernizzi
1. “Dio, patria e famiglia”
L’uomo è un essere sociale che nasce in una comunità, la famiglia, e vive in un’altra comunità più vasta, famiglia di famiglie, chiamata nazione o patria. La famiglia e la patria sono gli ambiti naturali nei quali il progetto divino sulla vita sociale prevede avvenga l’educazione degli individui in tutti i suoi aspetti, fisico, intellettuale e spirituale. Come tali, famiglia e patria sono beni superiori alla vita del singolo e spesso, nel corso della storia, al singolo uomo è stato chiesto di sacrificare la vita per difendere la propria famiglia o la patria. Perciò i princìpi “Dio, patria e famiglia” sono stati sentiti come profondamente uniti fra loro da tutti i popoli, almeno fino alla diffusione dell’ideologia illuminista, nel Settecento, e alla conseguente Rivoluzione francese.
2. La patria senza Dio
Con l’estendersi in Europa dell’ideologia rivoluzionaria nel corso dell’Ottocento, si rompe l’unità che teneva insieme i princìpi: la famiglia si chiude nel proprio egoismo borghese in modo analogo alle proprietà che vengono recintate, cessando l’uso comune della terra praticato nella cristianità medievale e nell’antico regime; la patria viene esaltata in contrapposizione alle altre nazioni, anche in seguito alla progressiva scomparsa, nella cultura dei popoli, dell’amore per l’impero sovranazionale.
Si afferma così il nazionalismo, in conseguenza della rottura degli equilibri religiosi e civili su cui si fondava la società precedente la Rivoluzione dell’Ottantanove; questa ideologia porta a compimento un atteggiamento culturale e politico che già aveva caratterizzato il tempo dell’assolutismo o dispotismo illuminato.
Ogni ismo, cioè ogni ideologia, contiene un aspetto della verità: il suo errore consiste nell’affermare questa “verità impazzita” al di fuori di un rapporto gerarchico e organico con altre verità e, soprattutto, nel rifiutare la sottomissione alla Verità, a Dio, origine e significato della verità di ogni cosa.
Una descrizione illuminante della nascita del nazionalismo viene offerta dallo storico Federico Chabod (1901-1960), in parole pronunciate all’università di Milano nell’anno accademico 1943-1944.
“Il secolo XIX conosce […] quel che il Settecento ignorava: le passioni nazionali. […]
“La politica acquista pathos religioso; e sempre di più, con il procedere del secolo e con l’inizio del secolo XX: ciò spiega il furore delle grandi conflagrazioni moderne.
“Ora, da che deriva questo pathos se non proprio dal fatto che le nazioni si trasferiscono, potremmo dire, dal piano puramente culturale, alla Herder, sul piano politico, alla Rousseau? […]
“La nazione diventa la patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno.
“Nuova divinità: e come tale sacra.
“È, questa, la gran novità che, preannunziata dal geloso fervore nazionale del Rousseau, scaturisce dall’età della Rivoluzione francese e dell’Impero. […]
“Patria, sacra; sangue versato per essa, santo. Ed ecco che da allora, effettivamente, voi sentite parlare di martiri per l’indipendenza, la libertà, l’unità della patria: i martiri del Risorgimento in genere, e in ispecie i martiri dello Spielberg, di Belfiore, ecc.
“Gran mutare del senso delle parole! Per diciotto secoli, il termine di martire era stato riservato a coloro che versavano il proprio sangue per difendere la propria fede religiosa; martire era chi cadeva col nome di Cristo sulle labbra.
“Ora, per la prima volta, il termine viene assunto ad indicare valori, affetti, sacrifici puramente umani, politici: i quali dunque acquistano l’importanza e la profondità dei valori, affetti, sacrifici religiosi, diventano religione anch’essi.
“La religione della patria, cioè della nazione.[…]
“Nulla di simile, infatti, s’era mai avuto per l’innanzi. […]
“E nemmeno nel Machiavelli, con tutta la sua passione politica, nonostante tutto il suo amore per l’Italia, nemmeno nel Machiavelli si può trovare nulla di simile.[…]
“Machiavelli stacca la politica dalla religione; ma a cominciare dall’Ottocento, si trasferisce la religione nella politica, si fa della politica una religione; o, che è lo stesso, si crea la religione della patria, la quale a sua volta è il fine supremo della politica, la mèta a cui tendere”.
3. Il nazionalismo in Italia
Il mutamento culturale descritto da Chabod viene introdotto in Italia durante il Triennio Giacobino (1796-1799) e il successivo periodo della dominazione napoleonica. Ne saranno artefici gli illuministi e i giacobini italiani, oltre agli invasori francesi, ma anche alcuni esponenti della coalizione antinapoleonica, come il plenipotenziario inglese in Sicilia Lord William Bentinck (1774-1839), che cercherà di sfruttare il sentimento nazionale e l’anelito all’indipendenza e all’unità d’Italia contro l’imperialismo napoleonico.
Il nazionalismo è certamente il collante che unisce le diverse anime ideologiche delle forze che promuovono il Risorgimento, la Rivoluzione italiana; gli storici di quest’ultima si divideranno soltanto fra chi sottolineerà la continuità rivoluzionaria fra periodo napoleonico e Risorgimento e chi invece – saranno solo alcuni storici nazionalisti – sosterrà la completa italianità del processo rivoluzionario nella penisola.
Dopo il compimento dell’unificazione nazionale, nel 1870, il nazionalismo rimane un tratto fondamentale della classe dirigente liberale al potere, sia della destra storica che della sinistra, che la sostituisce al governo dopo il 1876, mentre il movimento cattolico e quello socialista sono considerati nemici della patria e dello Stato, il primo per la sua opposizione al modo con cui venne effettuata l’unificazione e il secondo per il suo internazionalismo.
Un certo nazionalismo, imperialista e autoritario, diventa un tratto distintivo di Francesco Crispi (1818-1901), lo statista siciliano che con la sua “politica di grandezza” conduce l’Italia alla grave sconfitta in terra abissina, ad Adua, nel 1896, mentre l’ideologia nazionalista apparirà stemperata nella politica più realistica di Giovanni Giolitti (1842-1928), lo statista piemontese che guida la politica italiana dall’inizio del secolo XX alla prima guerra mondiale.
Proprio nell'”Italietta” di Giolitti trova spazio un “nuovo” nazionalismo, ostile al parlamentarismo, antimassonico e antisocialista, ma sempre legato all’eredità risorgimentale.
4. L’ANI, l’Associazione Nazionalista Italiana
Preparata dalla diffusione delle riviste Marzocco, Leonardo, Il Regno, La Voce, e dall’attività culturale di intellettuali come Enrico Corradini (1865-1931), Giovanni Papini (1881-1956) e Giuseppe Prezzolini (1882-1982) – questi ultimi si staccheranno dal movimento in polemica con il primo -, l’ANI, l’Associazione Nazionalista Italiana, raccoglie nel suo primo congresso, tenuto a Firenze dal 3 al 5 dicembre 1910, quanti vogliono far passare la nuova ideologia nazionalista dall’ambito strettamente culturale a quello politico. Principale artefice della svolta è appunto Corradini, che nella sua relazione lancia la tesi, mutuata dalla dottrina della lotta di classe nella prospettiva socialista, della necessità per le nazioni proletarie, come l’Italia, di praticare una lotta internazionale contro le nazioni ricche per conquistare un futuro migliore. Accanto a lui si costituisce una classe dirigente, di cui fanno parte – fra altri – Alfredo Rocco (1875-1935), uno dei principali “architetti” del regime fascista, e Luigi Federzoni (1878-1967), deputato nazionalista già nel 1913.
In questa ottica di “destra”, i nazionalisti partecipano alle elezioni politiche del 1913, alleandosi in un Blocco con moderati e cattolici e riuscendo a far eleggere cinque deputati. Così, il movimento nazionalista trova motivi di convergenza con gli ambienti del cattolicesimo intransigente, sulla base della comune avversione al socialismo e all’influenza massonica sulla vita nazionale. Ma la prima guerra mondiale, ormai imminente, avrebbe provocato un rovesciamento delle alleanze politiche.
5. L’interventismo
Di fronte alla guerra, le forze politiche e l’opinione pubblica si dividono fra favorevoli all’intervento e neutralisti. L’ANI, che tiene il suo terzo congresso a Milano dal 16 al 18 maggio 1914, ancora paradossalmente dedicato a problemi di politica interna, si schiera per l’intervento a favore delle democrazie occidentali, Francia e Gran Bretagna, nonostante le simpatie verso la Triplice Alleanza – costituita dagli Imperi germanico e austro-ungarico e appunto dall’Italia – presenti nelle file del movimento. Nell’ottobre del 1914 il settimanale nazionalista l’Idea Nazionale diventa quotidiano grazie alla creazione di una società anonima, presieduta dal vicepresidente della FIAT, Dante Ferraris (1868-1931). L’interventismo contro gli Imperi centrali raggela il rapporto instaurato con i cattolici fedeli al Magistero di Papa Benedetto XV (1914-1922), che definiva la guerra in corso una “inutile strage”; e così i nazionalisti si trovano al fianco dei cattolici democratici, come don Luigi Sturzo (1871-1959) e don Romolo Murri (1870-1944), anch’essi favorevoli all’intervento a fianco delle democrazie occidentali.
Dopo la guerra, i nazionalisti sono fra i principali sostenitori della tesi della “vittoria mutilata”, secondo cui l’accordo di pace fra gli Stati vincitori, stipulato a Versailles nel 1919, avrebbe perpetrato un’ingiustizia ai danni dell’Italia. Sulla base di questa tesi i nazionalisti accusano la classe politica italiana d’incapacità nella difesa degli interessi nazionali e, dopo aver presentato un’alternativa ideologica con il Manifesto nazionalista, redatto da Rocco e da Francesco Coppola (1878-1957) nel dicembre del 1918, ne propongono una politica con il Programma nazionalista dell’aprile del 1919.
6. L’incontro e la confluenza nel fascismo
Tuttavia, l’ANI rimaneva un ristretto gruppo di intellettuali alla ricerca, consapevole o meno, di un movimento di massa sul quale inserire le proprie capacità intellettuali e politiche. Così, dopo un infruttuoso tentativo di utilizzare l’impresa realizzata a Fiume, nel 1919-1920, da Gabriele D’Annunzio (1863-1938), avviene l’incontro con il fascismo, prima con l’elezione di una decina di deputati nazionalisti nella lista fascista alle elezioni del 1921, poi con la partecipazione alla Marcia su Roma, l’anno successivo.
Nel primo governo guidato da Benito Mussolini (1883-1945) il movimento nazionalista è rappresentato, oltre che dal ministro delle Colonie Federzoni, dal generale Armando Diaz (1861-1928), ministro della Guerra, e dall’ammiraglio Paolo Thaon de Revel (1859-1948), ministro della Marina. Quindi, nel 1923, l’ANI confluisce nel PNF, il Partito Nazionale Fascista, senza ottenere, come avrebbero desiderato i dirigenti nazionalisti, il riconoscimento di una specifica identità all’interno del partito stesso, a causa del veto posto da Benito Mussolini.
Per approfondire: vedi Federico Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1979; e introduzioni al nazionalismo in genere, in Jean-Luc Chabot, Il nazionalismo, trad. it., Mondadori, Milano 1995; e in Gianfranco Petrillo, Nazionalismo, Ed. Bibliografica, Milano 1995; sul “nazionalismo moderno” in Italia, vedi Francesco Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (1903-1914), Bonacci, Roma 1984; documento di rilievo è Franco Gaeta, Il nazionalismo italiano, Laterza, Bari 1981; sul rapporto fra nazionalismo e cattolicesimo, vedi Luigi Ganapini, Il nazionalismo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Laterza, Bari 1970.