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A proposito dello sgombero del Leoncavallo

9 Settembre 2025 - Autore: Salvatore Calasso

I centri sociali sono stati i pionieri di uno stile di vita che ora caratterizza tutta la società postmoderna

di Salvatore Calasso

Il nuovo sgombero del Leoncavallo – il quarto della sua storia, avvenuto a Milano il 21 agosto 2025 – ha riportato sotto i riflettori della grande stampa, il variegato mondo dei Centri Sociali Occupati Autogestiti (CSOA), di cui il Leoncavallo, con la sua cinquantennale storia, è il prototipo.

Questa azione delle forze dell’ordine ha suscitato nel vasto mondo progressista un’ondata di reazioni critiche verso l’operato del governo, che ha ordinato lo sgombero, e di solidarietà verso i “leoncavallini”. Ciò che è successo a Milano ci dà l’opportunità di illustrare cosa sono i Centri Sociali Occupati Autogestiti, partendo dal raccontare la storia del Leoncavallo.

Questo Centro Sociale comincia la sua avventura mezzo secolo fa, nell’ottobre del 1975, con l’occupazione di un grande magazzino abbandonato in Via Mancinelli, nella periferia nord est di Milano ad alta concentrazione di fabbriche e operai. Ciò risponde a uno schema antagonista, che non è ancora tramontato, e vede nella lotta di classe il motore della storia, con – all’epoca – l’operaio quale elemento centrale. Non a caso gli occupanti appartengono ai collettivi antifascisti, ai movimenti extraparlamentari di sinistra come Avanguardia Operaia, il Movimento Lavoratori per il Socialismo e Lotta Continua. Dice a questo proposito il sociologo Andrea Membretti: «L’occupazione del 18 di ottobre del 1975 nasce […] nell’alveo di un diffuso movimento di riappropriazione dal basso degli spazi urbani, nel segno dell’autogestione e dell’azione socio-politica extraistituzionale, movimento che a Milano era particolarmente attivo. […] Il contesto sociale in cui viene deciso il gesto è dunque tipicamente popolare, con la presenza di un’ampia componente giovanile poco scolarizzata e già afflitta dal problema della disoccupazione, oltre che dagli inizi della piaga dell’eroina»[1].

Immediatamente il Centro si qualifica come luogo di aggregazione, autogestione, azione diretta, e come promotore di cultura antagonista, basata sulla ribellione, sulla creativa arroganza e sul protagonismo giovanile, propugnando l’indifferenza e il disprezzo delle regole, celato dietro le battaglie per il reddito minimo garantito, l’occupazione abusiva delle case, la riappropriazione di spazi e tempi di vita, la cittadinanza aperta a tutti, l’antiproibizionismo, le libertà individuali. Accumula decenni di occupazioni abusive nelle varie sedi, compie scontri con le forze dell’ordine e raccoglie condanne. Il Centro sociale crea un ambiente favorevole alla diffusione di tale cultura con concerti, laboratori artistici e artigianali, dibattiti, attività femminista, scuola popolare, stampa e diffusione di libri, spettacoli teatrali alternativi, murales, e progetti radiofonici.

Nonostante la diffusione al suo interno della “cultura antiproibizionista”, contrasta il dilagare dell’uso dell’eroina a Milano con le ronde antispaccio[2] e il 18 marzo 1978 Fausto Tinelli (1960-1978) e Lorenzo Iannucci (1960-1978), detto Iaio, due attivisti impegnati sul campo a impedire i traffici di eroina e a ricostruire i presunti legami tra spacciatori e gruppi di destra, vengono assassinati in un agguato a colpi di pistola. Da quel momento le madri dei due ragazzi e altre donne del quartiere iniziano a partecipare attivamente alle attività del Centro con il gruppo “mamme del Leoncavallo”, a cui ben presto hanno aggiunto l’aggettivo “antifasciste”.

A metà agosto del 1989 un ingente schieramento di polizia intervenne e sgomberò il centro, nonostante la resistenza agguerrita degli occupanti, che diedero vita a una vera e propria guerriglia urbana contro le forze dell’ordine. In seguito l’area è stata rioccupata ed è stata avviata la campagna di ricostruzione, con il sostegno attivo di persone e centri sociali arrivati da tutta Italia di cui il Leoncavallo diventa simbolo e punto di riferimento.

Nel 1994 la sede storica fu abbandonata per passare all’occupazione di un’ex cartiera in via Watteau, appartenente alla famiglia Cabassi[3], nell’area sud-est della città. In questo nuovo centro, il Leoncavallo continua senza soste a promuovere quel protagonismo, quell’arte e quella cultura alternativa che hanno contribuito al dissolvimento dei valori tradizionali della città e del Paese, sostituendoli con un nichilismo di marca progressista, dove l’uomo dimentica la sua compostezza per seguire i suoi istinti.

È in questo frangente che assume il nome di “Leoncavallo S.p.A. – Spazio pubblico Autogestito”, che – come spiegano loro – è «[…] un acronimo, un gioco di parole e al tempo stesso un ironico sberleffo a chi in questi anni ha continuato a guardare il dito perdendo di vista la luna. […] Un processo che abbisogna di conflitto: pensare di esistere, agire in controtendenza. E quindi, nel nostro piccolo, alla svendita del “patrimonio” pubblico opponiamo il quotidiano lavoro di trasformazione di proprietà private in un esperimento a partecipazione pubblica. Disobbedire e fare società. Con la chiara percezione dell’insufficienza del disobbedire a leggi e scelte ingiuste se non coniugato come un “fare società”, che guardi a un diverso e futuro mondo possibile, oltre gli slogan»[4].

Il Leoncavallo, in linea con l’ideologia degli altri Centri sociali, propone la sua idea di “città rivoluzionaria” basata sul “municipalismo libertario”. Scrivono sul loro sito: «Noi abbiamo un’altra idea di città e di mondo che da cinquant’anni a oggi è cambiata e si è fatta anche transfemminista, intersezionale, antiabilista, una città a tutela delle agricolture contadine e dei loro territori aggrediti, per l’accesso al cibo come nutrimento culturale»[5].

Secondo parecchi osservatori, negli ultimi decenni il Leoncavallo e gli altri centri sociali hanno gradualmente attenuato la loro connotazione originaria di militanza politica, diventando soprattutto dei «divertimentifici a prezzi popolari o supplenti di un welfare in fase di dissoluzione», come affermato dal giornalista Giorgio D’Imporzano su L’Espresso del 30 ottobre 2007[6]. Questa posizione viene rifiutata dai leoncavallini, come spiega Membretti: «Essere un attore no profit e nel contempo un soggetto politico antagonista – la linea individuata dal centro sociale – è una posizione che si scontra dunque con chi non accetta l’impegno politico e tentando di appiattirlo a luogo di aggregazione e di servizio socio-culturale»[7]. Eppure secondo l’analisi fatta da D’Imporzano, «oggi i centri sociali si dividono in due categorie. Quelli che sono animati dal binomio birra & musica, dove si respira aria di libertà senza necessariamente fare i conti con le ideologie, sono sempre più frequentati. Gli altri si sono svuotati fino a chiudersi in se stessi»[8].

Il sociologo Bertram Niessen, presidente e direttore scientifico di cheFare, ne ripercorre la storia e i cambiamenti come riportato in un articolo a firma di Emma Besseghini, apparso sul sito Linkiesta: «Il movimento dei centri sociali per come lo conosciamo oggi nasce a metà degli anni Settanta e ha subito una trasformazione nei rapporti con la città. […] Negli anni Ottanta erano spazi più circoscritti di resistenza. Negli anni Novanta, dopo il fallito sgombero del Leoncavallo e all’abbandono della sede nel ‘94 ci fu invece una grande ondata di occupazioni in tutta Italia, animate da una nuova generazione di attivisti e dal movimento studentesco “La Pantera”, nato dall’occupazione dell’Università degli Studi di Palermo. Questa spinta entrò poi in crisi nel Duemila, anche a seguito del G8 di Genova. Dalla metà degli anni Duemila il numero degli spazi si è ridotto, con alcune eccezioni importanti. Nel 2010 e 2011 ci fu la stagione dei Teatri occupati e la nascita del movimento per i beni comuni, che vide occupazioni come quella del Teatro Valle di Roma, l’ex asilo Filangieri a Napoli, il S.a.L.E a Venezia o il Macao a Milano. Molti di questi spazi sono ancora vivi, spesso meno legati alla politica extraparlamentare e più all’elaborazione culturale e artistica»[9].

Le ragioni di tale calo risiedono paradossalmente nella “vittoria culturale” dei centri sociali per quanto riguarda gli aspetti più libertari, poiché è tutta la società che lentamente si sta uniformando a essi, mentre restano come residui nostalgici i sogni rivoluzionari anticapitalisti, che oggi – purtroppo – si stanno trasformando in odio antioccidentale.

Martedì, 9 settembre 2025


[1] Andrea Membretti, Leoncavallo. Spazio pubblico Autogestito. Un percorso di cittadinanza attiva, Mamme del Leoncavallo, Milano 2003, p. 86.

[2] Sul sito dedicato alla vicenda di Fausto e Iaio, gestito dal Leoncavallo, si legge in proposito dell’azione di contrasto: «tutte le componenti della nuova sinistra sono scese in campo con varie iniziative contro lo spaccio dell’eroina: dalle denunce generali a quelle più specifiche e particolareggiate sui luoghi di spaccio. In tutta la città, e nell’hinterland, parecchi spacciatori vengono duramente picchiati e non sono pochi i bar che bruciano, in quanto ritrovo di trafficanti. Nell’area di Autonomia Operaia e in alcuni centri sociali nasce l’idea di un grande dossier, un libro bianco, che presenti una vera e propria mappa di luoghi e nominativi legati allo spaccio a Milano». http://faustoeiaio.info/inchieste/item/fausto-iaio-inchiesta-indipendente consultato il 31/8/2025.

[3] Nel 2005 la famiglia Cabassi intenta una causa contro il Ministero dell’Interno poiché, nonostante una sentenza di sgombero, l’edificio non era mai stato liberato. Ciò è all’origine dello sgombero avvenuto il 21 agosto 2025.

[4] Centro Sociale Leoncavallo, Introduzione, in Andrea Membretti, op. cit., p. 13.

[5] Leoncavallo SPA, Giù le mani dalla città – Assemblea del 2 e corteo del 6 Settembre. Verso l’assemblea pubblica del 2 Settembre e il corteo del 6 Settembre, in https://leoncavallo.org/blog/comunicati/giu-le-mani-dalla-citta-assemblea-del-2-e-corteo-del-6-settembre, consultato il 6 settembre 2025.

[6] Giorgio D’Imporzano, Nei Centri sociali il Che non c’è più, in https://lespresso.it/c/politica/2007/10/30/nei-centri-sociali-il-che-non-ce-piu/30201, consultato il 7 settembre 2025.

[7] Andrea Membretti, Leoncavallo. Spazio pubblico Autogestito. Un percorso di cittadinanza attiva, Mamme del Leoncavallo, Milano 2003, p. 120.

[8] Giorgio D’Imporzano, Nei Centri sociali il Che non c’è più, in L’Espresso – news, inchieste e approfondimenti, https://lespresso.it/c/politica/2007/10/30/nei-centri-sociali-il-che-non-ce-piu/30201, consultato il 7 settembre 2025.

[9] Emma Besseghini, I centri sociali di oggi sono un po’ diversi da quelli di una volta, in Linkiesta. Do Something, https://www.linkiesta.it/2025/08/centri-sociali-leoncavallo-sfratto-sgomberi-cultura/, consultato il 7 settembre 2025.

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