Per comprendere il rapporto tra la fede e la cultura, da cui sono nati e continuano a nascere i problemi relativi alle diverse forme di cristianità nate nella storia, fra cui anche i problemi sollevati dall’inculturazione della fede nei popoli nativi del Canada oggetto del pellegrinaggio penitenziale di Papa Francesco nei giorni scorsi, è necessario risalire all’origine dell’evangelizzazione. E’ allora, quando il missionario porge la parola di Dio Salvatore a uomini che hanno una loro cultura nativa, che si pone il problema del rapporto fra le caratteristiche di questa cultura, alcune delle quali spesso sono incompatibili con il Vangelo, e la fede cristiana che viene proposta. E’ un rapporto delicato, che necessita di molto equilibrio, che nella storia dell’evangelizzazione ha provocato “luci e ombre”, come disse san Giovanni Paolo II. Il Magistero anche recente ha fornito importanti indicazioni. In questo articolo cerchiamo di fornire un approccio al tema, necessario per evitare ogni forma di improvvisazione. Poi naturalmente sarà necessario studiare il caso specifico, per potere dare una valutazione adeguata.
di Laura Boccenti
Il Magistero ha ribadito in molte occasioni i motivi per cui non può esserci cristianesimo senza evangelizzazione della cultura e senza inculturazione della fede, e contemporaneamente ha anche messo in guardia verso la pretesa di evangelizzare senza tenere conto dei diritti radicati nella natura dell’uomo, come ad esempio il primato educativo dei genitori.
All’insegnamento del Magistero si possono affiancare alcune considerazioni di ragione utili a chiarire e descrivere i termini del problema.
Fede e cultura sono due realtà distinte.
Ogni cultura umana ha una propria autonomia, in ciascuna di esse infatti è contenuto un sapere che non dipende dalla visione di fede, ma nasce dalle risposte che gli uomini di volta in volta trovano sul significato dell’esistenza e, di conseguenza, sul rapporto con Dio, con gli uomini e con il mondo.
Questo sapere è autonomo dalla fede perché i significati a cui perviene precedono la visione di fede sia da un punto di vista logico che cronologico: l’uomo inizia a scoprire sin dalla nascita il significato della realtà facendone esperienza con le proprie facoltà naturali.
In tale comprensione naturale però è sempre presente la consapevolezza della dipendenza da qualcosa o da Qualcuno di più grande: in ogni tempo e in ogni luogo infatti, l’uomo si trova di fronte al “mistero” dell’essere. “Mistero” perché l’essere che incontra, e che lo costituisce, non è scaturito da lui, non può essere penetrato con le sole forze naturali e tuttavia esiste.
Questa esperienza (che non deve necessariamente assumere la veste di un pensiero formalmente filosofico), in cui l’uomo scopre la propria dipendenza dall’essere (che lo precede e lo costituisce) genera come risposta una tensione verso il fondamento assoluto e invisibile della realtà (una tensione che si manifesta attraverso le domande “importanti”: chi sono, da dove vengo, dove vado?) presenti in tutte le culture.
Perciò, già nella conoscenza naturale del mondo (quella conoscenza che dà consistenza all’autonomia delle realtà terrene) è racchiuso il senso religioso, cioè l’apertura del significato finito a un senso più alto, misterioso e infinito.
La fede, da parte sua, non può e non deve sostituire il sapere di cui l’uomo è capace naturalmente, non può e non deve sostituire le culture storiche. Al contrario, essa ne ha bisogno in quanto si presenta come risposta alla domanda, nata all’interno e grazie alla specifica cultura, sul senso profondo di quell’essere che non può essere misurato dalle facoltà naturali.
Il Vangelo perciò, lungi dall’essere una risposta estranea agli interessi del singolo uomo concreto, si offre come compimento del “primo livello” della comprensione avvenuta con l’esperienza: Cristo si rivela come la verità ricercata a partire da quel determinato contesto di vita.
La fede dunque non può e non deve assorbire la cultura strumentalizzandola e riducendone il significato, e, nella misura in cui lo fa contemporaneamente rischia l’autodistruzione.
Allo stesso tempo il sapere naturale non può e non deve rivendicare un’autonomia che diventi esclusione del senso religioso contenuto nell’esperienza umana: né confusione, né separazione, ma distinzione.
Sin dai primi secoli il cristianesimo ha operato evangelizzando culture diverse che si collocano all’origine di molte “cristianità”.
Di per sé l’evangelizzazione non mortifica le forme culturali storiche, ma anzi le valorizza permettendo l’approfondimento e il compimento della comprensione naturale della realtà: «L’annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli destinatari l’adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identità culturale. Ciò non crea divisione alcuna, perché il popolo dei battezzati si distingue per una universalità che sa accogliere ogni cultura, favorendo il progresso di ciò che in essa vi è di implicito verso la sua piena esplicazione nella verità.
Conseguenza di ciò è che una cultura non può mai diventare criterio di giudizio ed ancor meno criterio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di Dio. Il Vangelo non è contrario a questa od a quella cultura come se, incontrandosi con essa, volesse privarla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad assumere forme estrinseche che non le sono conformi. Al contrario, l’annuncio che il credente porta nel mondo e nelle culture è forma reale di liberazione da ogni disordine introdotto dal peccato e, nello stesso tempo, è chiamata alla verità piena. In questo incontro, le culture non solo non vengono private di nulla, ma sono anzi stimolate ad aprirsi al nuovo della verità evangelica per trarne incentivo verso ulteriori sviluppi» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 71).
Contemporaneamente all’evangelizzazione è avvenuta l’inculturazione della fede, cioè l’assunzione di concetti e categorie maturati in ambiti culturali specifici, di cui la Chiesa ha riconosciuto il valore universale.
L’eredità del pensiero greco e latino, che la Provvidenza di Dio ha fatto incontrare alla Chiesa all’inizio del suo cammino, non ha determinato la chiusura ad altre culture, piuttosto ha offerto a queste ultime gli strumenti per potenziare la propria crescita.
Quanto più una cultura è conforme alla natura umana, tanto più aspirerà alla verità che fino a un certo punto le era rimasta preclusa e sarà capace di assimilarla. Come spiega Joseph Ratzinger, è qui che emerge la particolare autocomprensione della fede cristiana. Essa sa bene che nei vari imprinting culturali ci sono molte cose che hanno bisogno di purificazione e di apertura e tuttavia è certa anche di essere, nel suo nocciolo, il rivelarsi della verità stessa, e quindi di essere redenzione, poiché la vera sciagura dell’uomo è proprio l’essere all’oscuro della verità (cfr. Joseph Ratzinger, Fede Verità Tolleranza, pp. 68-69).
Come sappiamo però, in questo momento storico in cui la società occidentale vive la tentazione di costruire la città degli uomini senza Dio e contro di Lui, non solo si rifiuta il valore anche umano della Rivelazione, ma la diffusione del Vangelo e l’inculturazione della fede vengono accusate di essere all’origine di molteplici e gravissime ingiustizie: «Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, n. 7).
A maggior ragione si comprendono i motivi sottesi alla cancel culture che la spingono a criticare come colonialismo culturale tutta l’opera missionaria svolta dalla Chiesa fuori dall’Europa.
Come porsi di fronte a questa situazione?
Penso che da una parte vada coltivata e ribadita la certezza che incarnare nella storia la visione evangelica della realtà difende e promuove oggi, così come ha difeso e promosso nel passato, tutto l’uomo e ogni uomo, innanzitutto ridonando la speranza nel senso trascendente della vita di cui ogni cuore ha nostalgia.
Questo però a patto che l’evangelizzazione non sia, o sia stata, il pretesto o lo strumento per distruggere le specificità delle culture a cui si è rivolta, attraverso un’assimilazione scriteriata.
Giovedì, 4 agosto 2022