Giovanni Paolo II, Cristianità n. 278 (1998)
Discorso ad aderenti al Movimento per la Vita d’Italia, del 22-5-1998, nn. 1-4, in L’Osservatore Romano, 22/23-5-1998. Titolo redazionale.
Come ricordavo nell’Enciclica Evangelium Vitae: “L’umanità di oggi ci offre uno spettacolo davvero allarmante, se pensiamo non solo ai diversi ambiti nei quali si sviluppano gli attentati alla vita, ma anche alla loro singolare proporzione numerica, nonché al molteplice e potente sostegno che viene dato loro dall’ampio consenso sociale, dal frequente riconoscimento legale, dal coinvolgimento del personale sanitario” (n. 16).
Con profondo dolore dobbiamo constatare che tali gravi fenomeni si registrano anche in Italia, dove negli ultimi venti anni ben tre milioni e mezzo di bambini sono stati soppressi con il favore della legge, oltre a quelli eliminati in modo clandestino.
Motivi di conforto vengono oggi […] da parte di quanti constatano sul piano politico il fallimento delle leggi abortiste, le quali non solo non hanno sconfitto l’aborto clandestino, ma, al contrario, hanno contribuito al crescere della denatalità e non di rado al degrado della moralità pubblica. Questi dati evidenziano l’urgente necessità di impegnarsi nella promozione e nella difesa dell’istituzione familiare, prima risorsa dell’umana società, soprattutto in riferimento al dono dei figli ed all’affermazione della dignità della donna. In effetti, non sono pochi coloro che, considerando la dignità della donna come persona, come sposa, come madre, vedono nella legislazione abortista una sconfitta ed un’umiliazione per la donna e la sua stessa dignità.
All’aiuto concreto e ad una capillare azione educativa […] deve corrispondere l’impegno politico per il riconoscimento pieno della dignità e dei diritti del nascituro e per la revisione di leggi che ne rendono legittima la soppressione. Nessuna autorità umana, neppure lo Stato, può giustificare moralmente l’uccisione dell’innocente. Tale tragica trasformazione di un delitto in diritto (cfr. Evangelium Vitae, 11) è indice di preoccupante decadenza di una civiltà.
Le leggi abortiste, infatti, oltre a ferire la legge impressa dal Creatore nel cuore di ogni uomo, manifestano una forma non corretta di democrazia, propongono un concetto riduttivo di socialità, rivelano una carenza d’impegno da parte dello Stato nei confronti della promozione dei valori.
Un’azione efficace in questo campo deve, pertanto, mirare a ricostruire un orizzonte di valori, che si traduca in una chiara affermazione del “diritto alla vita” nelle carte internazionali e nelle leggi nazionali.
D’altro canto, il progresso economico e sociale non può avere fondamento sicuro e concrete speranze se alla sua base vi è il disconoscimento del diritto alla vita. Non ha futuro una società incapace di valutare debitamente la ricchezza rappresentata da un figlio che nasce e di apprezzare la vocazione della donna alla maternità.
Come ebbi a ricordare nell’Enciclica Evangelium vitae, nel mondo contemporaneo è presente “una sorprendente contraddizione: proprio in un’epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali sono il nascere e il morire” (n. 18).
Di fronte a tali posizioni ambigue, desidero ribadire che il rispetto della vita dal suo concepimento fino alla morte naturale costituisce il momento essenziale della moderna questione sociale.