
Il magistero orale di Giovanni Cantoni per sopravvivere al nulla esistenziale e valoriale della post modernità
di Aurelio Carloni
In giorni bui, con un mondo in frantumi che si affanna a inseguire il nulla – in cui inevitabilmente l’umanità sembra sparire senza lasciare tracce di senso –, può essere utile “riafferrare” e trasmettere quel patrimonio di insegnamenti orali che Giovanni Cantoni per decenni ha diffuso instancabilmente in ritiri, conferenze, colloqui individuali. Usava ricordare il detto popolare – che amava, come molti altri detti, perché frutto di una saggezza millenaria – “Aiutati che Dio ti aiuta”. Il suo commento a questa esortazione, lungo, articolato e pieno di fascino, è una delle prime cose che colpì la mia mente confusa di adolescente innamorato della politica e alla ricerca di Dio. Cantoni spiegava come ciascun uomo o donna che abbia fede spesso tenda a delegare il buon Dio per la soluzione dei propri problemi. Come? Con la preghiera “pensaci tu…”. Quindi, se si è malati: “ti prego, guariscimi”; se si è senza lavoro, “ti prego, fammi trovare una occupazione che mi piaccia” e così via. A questo punto partiva puntuale la barzelletta di sant’Antonio da Padova, che al devoto che gli chiedeva di vincere alla lotteria rispondeva, comprensibilmente seccato: «Io te la faccio vincere, ma tu compra almeno il biglietto». Dietro a questa boutade, come amava definire questi passaggi, si nascondeva appunto uno degli insegnamenti che i militanti di Alleanza Cattolica più anziani hanno raccolto e cercato di far proprio, come potevano. In tempi in cui la speranza è merce rara e la fede lo è ancora di più, forse bisogna ritornare proprio a questo, ossia all’apostolato diretto, convinto, appassionato senza lasciarsi turbare dalla crisi nella Chiesa, né dalla eventuale scarsità dei risultati. Un apostolato infuocato, come insegnava san Luigi Maria Grignion de Monfort, che sappia coinvolgere insieme anima, mente e gambe (che servono per raggiungere il “missionato”), trovando l’equilibrio tra la preghiera e l’azione, perché la fede si incarni nella vita e non si perda tra gli errori contrapposti della sola preghiera o della sola azione.
Un apostolato che punti alla sola preghiera è vano, perché non irrigato dal sudore della routine, dallo “sporcarsi le mani” in colloqui e incontri con persone noiose o lontane dai propri valori, oltre che da Cristo, dal fare conferenze che non daranno lustro perché in sedi “ordinarie”, dal pubblicare il tuo articolo in un blog a bassa visibilità. A Dio, in questo apostolato basato sulla sola preghiera, non rimane che guardare l’apostolo, attendendo, prima di operare, che faccia quello che deve e può. Perché se si è malati si deve innanzitutto andare dal medico e poi pregare perché abbia “indovinato” la diagnosi e la terapia giuste. Se si perde il lavoro lo si deve cercare – pregando nel contempo che il buon Dio aiuti nella ricerca – con fatica, creatività, speranza. Viceversa, l’apostolato che si basa solo sull’azione, e quindi senza l’apporto della preghiera può portare, come ricorda il trappista dom Chautard nel suo L’anima di ogni apostolato, anche molti successi che nel medio-lungo periodo sembrano funzionare appariranno, però, per quel che sono: sterili, perché frutto di un lavoro fatto per sé stessi e non per Dio. Chautard definisce questo errore “americanismo” per sottolinearne la prevalenza del fare sul pregare. Si fanno molte cose, tutte apparentemente buone in sé, ma tutte con radici mondane e in cui il cuore non gioca il ruolo che gli è proprio, ossia quello di parlare al cuore di chi ascolta. Il curato d’Ars non aveva il dono della parola. Eppure, quel che diceva, senza nemmeno l’ombra dello stile retorico affascinante di tanti predicatori brillanti dell’epoca, portò decine di migliaia di persone ad intraprendere la via, difficile e faticosa, della conversione. San Giovanni Maria Vianney è venerato e ricordato come un gigante dell’apostolato, mentre di quei predicatori così famosi rimangono solo sfocati ricordi per specialisti. Il problema principale nel primo caso – pregare molto e fare poco –, come analizza con la consueta efficacia don Fabio Rosini, nell’Arte della buona battaglia, è l’accidia dell’apostolo, che trova nella preghiera non un incentivo a rendere gloria a Dio, ma un alibi perfetto (apparentemente) per non stancarsi, dimenticando così che, come insegna san Giovanni, l’amore a Dio, che non si vede, si dimostra nell’amore concreto al prossimo che si vede.
Quanto detto imperfettamente da chi scrive trova una sintesi perfetta nella penna splendida di Marco Tangheroni, dirigente di Alleanza Cattolica e medievalista prestigioso, scomparso nel 2004 dopo una lunghissima malattia affrontata in maniera straordinaria, vivendo nonostante tutto la normalità di vita e di apostolato possibile. Così scriveva su questo punto nodale per i militanti vecchi e giovani dell’Associazione: «Senza un aiuto soprannaturale – quell’aiuto che abbiamo costantemente chiesto nelle nostre preghiere associative – nulla sarebbe stato possibile realizzare. Ne siamo pienamente convinti. Ma abbiamo anche piena consapevolezza che la via ordinaria con cui la provvidenza agisce nella storia richiede la cooperazione degli uomini: è il senso della meditazione più volte fatta nei nostri ritiri sul miracolo dei pani e dei pesci, per il quale, esemplarmente, Gesù volle che ci fossero, appunto, dei pani e dei pesci procurati dal lavoro umano».
A distanza di decenni dall’insegnamento offerto dal fondatore, Alleanza Cattolica cerca ancora oggi, giorno dopo giorno, con fatica e non pochi insuccessi umani, di trovare e offrire quei pani e quei pesci perché il buon Dio operi.
Martedì, 6 maggio 2025