di Marco Invernizzi
Alberto de Mojana (1835-1909)
1. La vita e la carriera
Alberto de Mojana nasce a Milano il 2 dicembre 1835 dal conte Pietro Antonio (1800-1870) e dalla contessa Angela Clara Besozzi (1808-1882), consegue la maturità classica, con il riconoscimento del titolo di principe degli studi, presso le scuole dei padri barnabiti di Milano e si laurea in legge all’università di Pavia nel 1862. Successivamente si dedica alla vita forense e all’attività politica: negli anni fra il 1882 e il 1893 si candida più volte ai consigli comunale e provinciale di Milano ma è sempre sconfitto. Militante nell’associazionismo cattolico dai primi anni 1880, è vice presidente del Comitato Diocesano dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici (1874-1903) dal 1888 al 1899 e ne diventa presidente dal 1899 al 1901. Presiede il congresso dell’Opera a Fiesole nel 1896 ed è vice-presidente in quello di Ferrara nel 1899; è vice-presidente del Comitato Regionale Lombardo dal 1893 al 1897 e quindi presidente dal 1897 al 1900; entra a far parte del Comitato Permanente dell’Opera dei Congressi nel 1887 e vi rimane fino al 1900, quando sarà costretto a dimettersi per gravi motivi di salute. Sarà soprattutto un conferenziere infaticabile e un fecondo poeta. Sposato con Faustina dei marchesi Litta Modignani (1846-1880), avrà nove figli, due dei quali diventeranno religiosi. Muore a Milano il 17 marzo del 1909.
2. L’apostolato e l’impegno politico
L’apostolato e l’impegno politico di de Mojana s’inseriscono in un contesto politico ancora segnato dalle vicende che avevano condotto all’unificazione d’Italia attraverso il Risorgimento e, in modo particolare, dal 1848, l’anno delle Cinque Giornate — dal 18 al 22 marzo — di Milano. Queste ultime avevano visto la partecipazione di molti cattolici ai moti popolari, nell’ottica di ottenere dall’impero asburgico le libertà per la Chiesa soffocate dal precedente giurisdizionalismo, cioè dalla dottrina politica elaborata nei secoli XVII e XVIII che fa dello Stato l’arbitro nelle materie comuni fra Stato e Chiesa e gli consente un’ampia interferenza nella vita della Chiesa stessa. Ma il 1848 è anche l’anno della svolta del beato Papa Pio IX (1846-1878), che rifiuta di dichiarare guerra all’impero asburgico: venuto meno l’appoggio della Chiesa al movimento che chiedeva l’unità e l’indipendenza dell’Italia, comincia il lungo conflitto fra le varie forze rivoluzionarie e la stessa Chiesa cattolica. Il 1848 segna anche il fallimento della missione promossa dal governo del Regno di Sardegna per sondare la disponibilità del Pontefice a partecipare alla guerra contro l’impero asburgico, missione affidata al sacerdote trentino beato Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), con la conseguente alleanza della Santa Sede, ispirata dal segretario di Stato card. Giacomo Antonelli (1806-1876), con l’Impero.
Si apre il «caso di coscienza dei cattolici» di fronte alla Questione Italiana. Ma è anche l’inizio di un penoso conflitto, particolarmente evidente nella diocesi ambrosiana, fra cattolici intransigenti e cattolici transigenti o conciliatoristi, che s’accusano reciprocamente di essere austriacanti e liberali, anche se non tutti gli intransigenti erano austriacanti e non tutti i conciliatoristi erano liberali.
Cinquant’anni dopo, il 30 gennaio 1896, in una conferenza tenuta a Milano davanti ai militanti cattolici della città, de Mojana rifiuterà l’accusa rivolta agli intransigenti di essere austriacanti, aggiungendo però che essi non potevano accettare il linciaggio di un governo legittimo, qual era quello imperiale. Inoltre ricorderà come ai cattolici ambrosiani, nel 1848, si presentassero quattro alternative politiche: la prima, di mantenersi fedeli sic et simpliciter con l’impero asburgico; la seconda, di allearsi a quest’ultimo nella prospettiva di fare dello Stato di Milano uno Stato vassallo ma caratterizzato da larghe autonomie, come si cercherà di fare — troppo tardi, secondo de Mojana — nel 1857 con la creazione del Regno Lombardo-Veneto affidato all’arciduca Massimiliano d’Asburgo (1832-1867), fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916); la terza, di costituire un regno «italico» sotto la guida di Eugène de Beauharnais (1781-1824), figliastro di Napoleone Bonaparte (1769-1821); infine, l’indipendenza — che dopo i fatti del 1848, secondo de Mojana, sarebbe stata l’unica praticabile —, una scelta a sua volta divisa fra la prospettiva monarchica e «legale», portata avanti da re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) e poi da Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), che aveva nel Regno di Sardegna il principale punto d’appoggio per i rivoluzionari, e quella repubblicana, animata da Giuseppe Mazzini (1805-1872) e caratterizzata dal metodo cospirativo e insurrezionale.
Secondo de Mojana, i veri cattolici dell’epoca, soprattutto quelli più sensibili ai gravi mutamenti politici e culturali in corso, erano quelli associati a Milano nella Pia Unione di Carità e di Beneficenza, che il poeta satirico dialettale Carlo Porta (1775-1821) aveva definito sarcasticamente — per dire il meno —come la società «delle dame del biscottino», dai biscotti che i soci usavano donare agli ammalati che visitavano. Afferma de Mojana: «Si era rifugiata […] in quella società umile, derisa, pia e caritatevole, la vera idea religiosa. E poiché era l’idea vera religiosa, era anche l’idea del diritto. Pertanto era tutt’altro che l’idea rivoluzionaria: ne era il rovescio, l’opposto. Era l’idea del diritto divino, non come l’intendevano il Cesarismo di Luigi XIV [1638-1715] e di Giuseppe II [1741-1790], e di Napoleone I, ma come l’intende il vero legittimo cristiano, che riconosce l’autorità in Dio, e di Dio, conferita da Dio ai reggitori delle nazioni, per soddisfare la vera democrazia cristiana, cioè quel diritto che ha il popolo di essere ben governato, sia da Re, sia da consoli. — Omnis potestas a Deo. Di qui è che, rispettando l’autorità costituita, ella non si ribellava all’Austria; e di qui è che la mondanità, che l’aveva in uggia come bigotta, si accordava colla rivoluzione coll’accusarla di austriacante.
«Noi clericali milanesi usciamo dalle file della Società del Biscottino, o signori. Ed oggi siamo qui. E non siamo né gallicizzanti, né spagnolisti, né austriacanti, noi: ma siamo italiani, noi che non vogliamo né gallicanismo, né giansenismo, né giuseppinismo, ma siamo cattolici che vogliamo Fede cattolica, moralità cattolica e buona amministrazione nazionale e comunale e buona economia cristiana cattolica, nell’istruzione e nell’educazione, come pure nella produzione, distribuzione, circolazione e consumazione delle ricchezze». Accanto alla società «del biscottino», nota de Mojana, negli anni del passaggio dal governo asburgico a quello sabaudo, vi era il buon popolo cattolico con il suo clero, cioè una comunità cristiana fedele al Pontefice e ostile sia alle idee dell’olandese Giansenio (Cornelis Jansen, 1585-1638) — sostenitore di una dottrina della grazia che, invece di animare alla speranza, portava alla disperazione o, per contrasto, al disimpegno —, sia alle concezioni giurisdizionalistiche. Diffuse in Lombardia nel Settecento soprattutto attraverso il seminario e l’università di Pavia, queste idee daranno vita negli anni successivi ad associazioni come La Società Ecclesiastica (1860-1863) e a giornali come Il Conciliatore (1863-1875) e Il Carroccio (1863-1864), espressioni del mondo cattolico-liberale ostile all’Opera dei Congressi.
Il governo asburgico guiderà il Lombardo-Veneto ancora per un decennio, fino al 1859, attenuando — grazie al Concordato firmato il 18 agosto 1855 fra la Santa Sede e l’Impero — il giurisdizionalismo dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780) e, soprattutto, del figlio Giuseppe II (1741-1790).
In questo decennio prenderà corpo la divisione interna al mondo cattolico ambrosiano, particolarmente visibile nella ristrutturazione dei seminari diocesani voluta dall’arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli (1795-1859) a partire dall’anno scolastico 1853-1854. I sacerdoti così detti rosminiani, che occupavano posizioni di rilievo nei seminari, con decreto arcivescovile del 25 luglio 1853 vengono restituiti alla cura d’anime e sostituiti con membri della Congregazione degli Oblati Missionari di Rho (Milano), fedeli al Papa e all’arcivescovo e sicuramente anti-liberali. Prendeva così corpo quella divisione che accompagnerà il mondo cattolico almeno fino al 1898 e che avrà in don Davide Albertario (1846-1902) la figura più rappresentativa fra gli intransigenti milanesi, mentre i conciliatoristi verranno troppo sbrigativamente definiti come rosminiani o cattolici-liberali. Infatti, il beato sacerdote roveretano, scomparso nel 1855, lasciava un seguito intellettuale e spirituale e anche un esempio di fedeltà al Papa molto diverso da quello dei cattolici-liberali e pure diverso dalla corrente democratico-cristiana nata, dopo il 1898, anche dall’ambiente intransigente che aveva in don Albertario il proprio riferimento.
Quando il conte de Mojana entra a far parte dell’Opera dei Congressi, nei primi anni 1880, in Lombardia quest’ultima stava conoscendo un significativo incremento di Comitati Parrocchiali, in contro-tendenza rispetto al periodo di decadenza che attraversava a livello nazionale. Nel 1897, quando de Mojana è vice presidente del Comitato Diocesano, l’Opera dei Congressi conta 15.319 iscritti nella sola diocesi di Milano e otto Comitati Diocesani operativi sulle nove diocesi lombarde.
Proprio in quest’anno si celebra a Milano il XV Congresso dell’Opera, che segna l’apogeo dell’intransigentismo e, in particolare, del presidente Giambattista Paganuzzi (1841-1923), ma, come spesso accade nelle vicende umane, l’apogeo precede una grave crisi, quella del 1898, determinata dalle rivolte verificatesi nello stesso anno, soprattutto a Milano, per il rincaro del prezzo del pane, che isolano ulteriormente le forze governative e portano a un significativo mutamento della strategia del movimento cattolico. Quest’ultimo infatti, in seguito all’avanzata del movimento socialista, comincia a stipulare alleanze con i liberali moderati, che culmineranno nel Patto Gentiloni, nel 1913, e con l’elezione di 228 deputati moderati grazie al voto dell’elettorato cattolico.
La crisi del 1898 contribuisce a cambiare la situazione italiana in modo considerevole, in modo particolare a Milano, dove la protesta ha una maggiore caratterizzazione politica e dove il movimento cattolico intransigente viene colpito con l’arresto e la condanna a tre anni di prigione di don Albertario. Dopo lo scioglimento di diversi organismi cattolici, in seguito alla circolare emanata dal governo il 26 maggio 1898 e fatta applicare dalla Questura milanese, l’attività del mondo cattolico organizzato rimane paralizzata per parecchi mesi, nell’incertezza fra il timore di venire confuso con le forze rivoluzionarie e la necessità di protestare contro tali provvedimenti liberticidi. Sarà proprio de Mojana a guidare il Comitato Diocesano dell’Opera dei Congressi, ristabilito il 28 maggio 1899, affrontando il profondo smarrimento dei cattolici, così descritto in una sua breve relazione al Comitato Permanente dell’Opera: «La situazione nuova e dolorosa lasciata in Milano e nella Diocesi dallo stato d’assedio aveva reso troppo difficile l’immediata ripresa dei lavori con quella intensa attività con la quale si erano compiuti avanti tale epoca; e troppi timori, troppe titubanze erano entrate nel nostro campo, per non esigere un lungo periodo di modesta, ma continua propaganda intesa a rianimare gli spiriti, ad illuminare le menti, sgombrandole da tutti quei dubbi che potevano essere sorti a rendere meno chiara la comprensione dei nostri doveri moltiplicatisi dopo i fatti avvenuti». E la paziente opera di ricostruzione dedicata ai cattolici ambrosiani, colpiti dal dubbio e dalla persecuzione governativa, sarà l’ultimo servizio reso da de Mojana ai propri confratelli e concittadini.
Marco Invernizzi
26 ottobre 2018
Per approfondire: di Alberto de Mojana, vedi Le conferenze. Raccolta completa ordinata e data per la prima volta alle stampe dal sac. Giacomo Pastori, 6 voll., Casa Editrice Benedetto Bacchini, Milano 1903-1904; le poesie e, in genere, il fondo presso la Biblioteca Ambrosiana. Su de Mojana, vedi il mio Alberto de Mojana e il movimento cattolico ambrosiano dal 1848 al 1898, in Rosanna Pavoni e Cesare Mozzarelli (1947-2004) (a cura di), Milano 1848-1898. Ascesa e trasformazione della capitale morale. Tra un regno e l’altro. Il governo di Milano. La società milanese, Marsilio-Museo Bagatti Valsecchi, Venezia-Milano 2000, pp. 137-149; Giorgio Rumi (1938-2006), voce De Mojana, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, vol. II, NED. Nuove Edizioni Duomo, Milano 1988, p. 1028; e Silvia Pizzetti, voce De Mojana, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, 3 voll. in 5 tomi, Marietti, Casale Monferrato (Alessandria) 1984, vol. III, tomo 1, Le figure rappresentative, p. 305; vedi anche Maria Clara Albertalli, Due lombardi nell’Opera dei Congressi: Alberto de Mojana e Giuseppe di Belgiojoso, tesi di laurea, a. a. 1981-1982, Università degli Studi di Milano, relatore G. Rumi.