Marco Invernizzi, Cristianità n. 430 (2024)
Intervento tenuto a Ferrara il 26 ottobre 2024 in occasione del trentesimo anniversario dell’apertura della sede di Alleanza Cattolica in quella città.
Trent’anni sono trascorsi dall’apertura di questa sede e giustamente mi chiedete di rievocare una presenza che a tanti è certamente sfuggita, ma per alcuni ha rappresentato un pezzo importante della propria vita.
Che cos’è Alleanza Cattolica (AC)
La premessa è importante. Alleanza Cattolica non è una realtà che ha come scopo la conquista del potere, quindi, non mira alla visibilità che serve per ottenere i consensi necessari ad assumere un ruolo pubblico nella vita di una città o del Paese. E ciò senza alcun disprezzo per la politica partitica o comunque indirizzata, correttamente, a conquistare e conservare il governo cittadino o nazionale, nella misura del possibile, senza rinunciare ai propri princìpi, ma con la consapevolezza di non poterli vedere applicati in breve tempo. Scopo di Alleanza Cattolica è la conversione della società, che è cosa diversa (1). Essa passa necessariamente attraverso la conversione personale di singoli, cioè lo sforzo palese di diventare santi, affinché la santità possa contribuire a far nascere un mondo migliore. Non sarebbe corretto giudicare l’opera di un uomo politico in base ai suoi comportamenti privati, anche se è auspicabile che siano il più possibile conformi alla morale a a quanto propone al Paese. L’uomo politico va giudicato per quel che propone e per quel che riesce a ottenere di ciò che ha proposto.
Il militante di AC deve fare un’altra cosa. Deve operare innanzitutto su sé stesso, desiderando la santità e chiedendola, perché essa è un dono, non il frutto esclusivo dei nostri sforzi o dei nostri comportamenti. E cercando di convertirsi deve provare a convertire il mondo circostante, cominciando dalle persone più vicine, costruendo degli ambienti nei quali sia possibile educare alla fede e discernere il bene dal male, il vero dal falso, a livello non soltanto personale ma anche della società intera. Questo è l’apostolato culturale, la fede che diventa cultura e si incarna in un corpo sociale, piccolo o grande che sia.
Su questo noi di AC verremo giudicati e su questo dobbiamo fare un esame di coscienza, sia quotidianamente sia in queste importanti ricorrenze. Senza preoccuparci troppo dei risultati, ma esaminando molto le nostre intenzioni, quelle delle occasioni più importanti, nella preghiera, sia personale che associativa, per verificare che cosa chiediamo, in che cosa speriamo, quanta fiducia abbiamo nel Signore che ci guida.
Cercherò di tracciare adesso il quadro di questi trent’anni, ma senza dimenticare che dobbiamo sempre avere presente anzitutto noi stessi, il nostro piccolo «resto» che, come diceva il nostro fondatore, ha attraversato il deserto per trent’anni — e anche di più — e si appresta a viverne altri, sperando di farlo accanto ad altri uomini e donne, più giovani e adeguati. Questa attenzione a noi stessi non va interpretata come una malsana forma di autoreferenzialità, ma come l’analisi delle vicende mondane nella misura in cui hanno inciso sulla vita di AC.
Ecône e il referendum contro l’aborto
Permettetemi di fare un passo indietro, nel precedente decennio, gli anni 1980. AC era nata da non molto, ma in occasione degli avvenimenti di quel decennio assunse la fisionomia che la caratterizza tutt’oggi. Fu in quegli anni che AC capì di essere un’associazione parte della Chiesa, anche se il riconoscimento ufficiale della sua ecclesialità sarebbe venuto molti anni dopo, nel 2012 (2). Nel 1981 don Piero Cantoni, il fratello di Giovanni (1938-2020), fondatore di AC, lasciò il seminario di Ecône, fondato da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), dove era stato ordinato, per approdare in una piccola diocesi italiana, quella detta allora di Apuania, in provincia di Massa Carrara, insieme a parte dei seminaristi italiani provenienti dall’associazione. Il motivo del distacco fu profondamente legato al dissenso riguardo alle idee lefebvriane sulla comunione con la Chiesa, sulla visibilità della Chiesa nella figura del Papa pastore universale e sull’obbedienza che ne derivava. Questi giovani erano andati a Ecône in un momento di grande confusione nella Chiesa per fare l’«esperienza della tradizione», non per creare una comunità scismatica, come si stava delineando e come purtroppo sarebbe divenuta alcuni anni dopo (3).
Negli stessi giorni, fra il 1980 e il 1981, in cui avvenivano questi fatti, un altro evento importante accadeva, questa volta nella vita pubblica italiana. AC doveva decidere se sostenere la raccolta di firme del Movimento per la Vita per il referendum popolare inteso all’abrogazione parziale della legge n. 194 del 1978, posto che la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibile l’altro referendum, quello integrale, detto «massimale».
La decisione di partecipare alla raccolta di firme e poi alla campagna referendaria per l’abrogazione parziale costò la perdita di alcuni dirigenti e militanti, soprattutto a Roma, che non accettarono di impegnarsi per sostenere una consultazione su qualcosa che giudicavano immorale. L’associazione ritenne che non si trattasse di un «male minore», ma dell’unico bene possibile in quella circostanza storica, anche se era un bene minimale (4). Di più, quel gesto ebbe conseguenze non soltanto sui rapporti con il mondo pro-life, ma con tutta la Chiesa italiana in generale, dai vescovi ai parroci. Infatti, la Chiesa italiana prendeva una posizione, più unita di quanto lo fosse stata al tempo del referendum sul divorzio, anche se con ritardi e ambiguità, come invece avevano fatto i «cattolici per il “no”» durante la campagna del 1974. Anni dopo venne pubblicata l’enciclica Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II (1978-2005), che al n. 73 confermava a posteriori la moralità di quella scelta.
Questi due eventi caratterizzarono profondamente sia la storia di AC e la sua appartenenza alla Chiesa, non come adesione formale ma come comunione nel Mistero dell’unità, sia la sua dottrina dell’azione, nel senso che da allora terrà sempre conto del contesto storico e sociale nel quale opera, per evitare comportamenti avulsi dalla realtà.
Il 1989
L’altro evento di portata veramente mondiale di quegli anni fu la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la fine dell’Unione Sovietica (URSS) nel 1991, con la sconfitta dei «vecchi comunisti», che tentarono un golpe nell’agosto del 1991, e la successiva vittoria politica di Boris Nikolaevič El’cin (1931-2007) (5). Finiva così la Guerra Fredda fra i due blocchi, quello occidentale e quello comunista, quest’ultimo essendosi dissolto nel giro di pochi anni. Le conseguenze furono enormi, soprattutto in Italia, dove operava il più grande partito comunista dell’Occidente, che cambiò nome con la svolta detta «della Bolognina», la prima sede, quella «storica», del Partito Comunista Italiano (PCI), sotto la guida dell’ultimo segretario del partito, Achille Occhetto (6). Colpita da una vera e propria campagna politica e mediatica ostile, guidata da una parte della magistratura, l’intera classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica venne spazzata via nel giro di pochissimo tempo. Il PCI cambiò nome, nella convinzione di poter beneficiare della crisi cosiddetta di «Tangentopoli», vincere le elezioni e assumere la titolarità del governo, e gli altri partiti, in particolare la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Socialista Italiano, scomparvero, senza essere sostituiti da qualcosa di analogo.
«Scese in campo», allora, come disse, il cavaliere del lavoro Silvio Berlusconi (1936-2023), un imprenditore milanese, che non era riuscito a convincere Mario Segni — promotore di un referendum che aveva modificato il sistema elettorale in senso parzialmente maggioritario — a guidare un fronte di centro-destra. Berlusconi guidò così una coalizione di centro-destra alle elezioni politiche del 1994, le prime con il nuovo sistema, e le vinse, portando al governo il suo nuovo partito, Forza Italia, gli ex missini che nel gennaio di quell’anno avevano dato vita ad Alleanza Nazionale, la Lega-Nord — il primo partito post-ideologico, che era però già diventato il più «vecchio» in Parlamento —, e un gruppo di ex democristiani, guidati da PierFerdinando Casini e da Rocco Buttiglione, fuoriusciti «da destra» dal Partito Popolare Italiano. Fu un evento traumatico per il Paese, che da allora per almeno vent’anni si dividerà fra due coalizioni, centro-destra e centro-sinistra, ma soprattutto fra berlusconiani e antiberlusconiani (7).
Un apostolato culturale
AC guardò con favore alla novità politica nata nel 1994 e uno dei suoi dirigenti entrò ad experimentum in Parlamento, ma proprio allora si delineò meglio qual era la sua vocazione specifica, cioè quella di svolgere un apostolato di tipo culturale, attento ma anche distaccato dalla politica dei partiti o di quanto rimaneva di essi. AC si convincerà definitivamente di essere parte della e nella Chiesa, con una propria fisionomia culturale precisa, che nessuno peraltro le chiederà mai di modificare.
Giovanni Cantoni dedicherà molti capitoli nazionali a lunghe e approfondite analisi sull’identità del militante, sullo sforzo per la santificazione personale come condizione previa di ogni azione esterna, sulla cultura come cerniera fra la politica e la fede, affinché quest’ultima potesse veramente incarnarsi nella storia.
La seconda fase della storia di AC
Vi fu così una seconda fase nella storia dell’associazione, molto meno turbolenta della precedente. Essa cominciò appunto negli anni 1990 con il venir meno del nemico storico della Chiesa e dell’Occidente. Per molti anni l’anticomunismo era stato il cavallo di battaglia dell’apostolato associativo. Per molti militanti la conversione religiosa era passata da questo «coagulo» iniziale, dal quale si partiva nei percorsi formativi del militante, il primo dei quali era appunto il Seminario di Formazione Anti-Comunista (SEFAC), in cui, dopo aver fornito una serie di concetti e formulato analisi del marxismo-leninismo, si ponevano domande sempre più dirette e impegnative, fino ad arrivare, senza forzature ma neanche senza fingere, alla domanda su Dio e sulla salvezza eterna dell’uomo. Nessuno delle migliaia di giovani e meno giovani che passarono attraverso questi incontri di formazione venne forzato alla conversione, ma molti lo fecero liberamente.
Adesso, dopo il 1989, l’approccio all’apostolato cambiava.
Dopo il comunismo
A misura del frastagliarsi dell’offensiva rivoluzionaria, cominciarono a essere trattati temi nuovi e più attuali, fra i quali i nuovi movimenti religiosi (8), l’islam (9) e la libertà religiosa (10), sempre più importanti in un mondo diventato sempre più plurale dal punto di vista religioso.
Gli anni 1990 conoscono lo sviluppo della globalizzazione, cioè dell’estendersi di un mercato tendenzialmente unico sotto il controllo dell’unica superpotenza rimasta dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti d’America (USA). Tuttavia, l’idea che il crollo del comunismo sovietico segnasse la «fine della storia» venne subito smentita, almeno in Europa, dal nuovo ciclo di guerre balcaniche, che sconvolsero la ex Iugoslavia per tutto il decennio, provocando 250mila morti e la nascita di nuovi Stati: Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina e Kosovo.
La nuova evangelizzazione
Sul versante ecclesiale, nel decennio 1990 Giovanni Paolo II lanciò con determinazione la nuova evangelizzazione dei Paesi di antica cristianità, finalmente potendo incontrare, grazie alla fine dell’URSS e ai nuovi regimi democratici dell’Est europeo, tutti gli episcopati europei (11). Tuttavia, il mondo occidentale, soprattutto europeo, non smise di allontanarsi da Dio e, nei suoi messaggi lasciati, fin dal 1981, ai sei veggenti di Medjugorje, in Erzegovina, la Madonna parlò di un «mondo senza Dio», che si preoccupa solo del benessere materiale. Il mondo europeo, nonostante un Papa missionario che visitò ripetutamente tutti i continenti, autore di un magistero straordinario per qualità e quantità, continuava a scristianizzarsi (12).
In Italia il card. Camillo Ruini cercò di applicare il messaggio evangelizzatore del Santo Padre e furono anni fecondi, con milioni di giovani toccati dal carisma del Papa polacco, che accorrevano numerosi soprattutto alle Giornate Mondiali della Gioventù e ogni volta che il Papa li chiamava. I movimenti ecclesiali, sorti dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e che, dopo la crisi del 1968, avevano salvato ambienti importanti, come l’università, da una completa secolarizzazione, conobbero un nuovo impulso.
L’Anno Santo che inaugurò il Terzo Millennio cristiano segnò visibilmente questo tentativo di rievangelizzare i popoli che avevano voltato le spalle alla Chiesa, anche se in proposito mancano ancora dati concreti sui quali svolgere una riflessione adeguata. Il Papa entrava nell’ultima fase della sua vita terrena e il suo apostolato divenne in quegli ultimi anni specialmente quello della sofferenza, portata e offerta con straordinaria dignità, quasi un moto d’amore verso il suo popolo nell’ormai imminente distacco. Il Papa si spense durante i vespri della domenica della Divina Misericordia del 2005, quasi un tributo alla devozione portata al mondo dalla grande suora e mistica polacca santa Faustina Kowalska (1905-1938), canonizzata proprio nel 2000.
A Giovanni Paolo II successe il suo collaboratore più stretto, il cardinale Joseph Ratzinger (1927-2022), che aveva guidato la Congregazione per la Dottrina della Fede sin dal 1981.
Gli anni 1990 sono stati caratterizzati dall’assenza di un nemico visibile, quale era stato il comunismo, sia a livello internazionale, sia anche attraverso i partiti e i movimenti rivoluzionari nazionali ispirati dal marxismo-leninismo. La «dittatura del relativismo» — come il card. Ratzinger definì quella situazione storica nell’omelia della Messa Pro Eligendo Pontifice durante il Conclave dal quale egli uscì Papa Benedetto XVI — non significava che non ci fosse un «nemico» che operava all’interno delle società occidentali, ma semplicemente che questo nemico aveva cambiato modo di agire.
La «rivoluzione antropologica»
La quarta fase del processo di disgregazione della civiltà e della cultura cristiane, la rivoluzione antropologica avviatasi negli anni 1960 ed esplosa soprattutto dopo il 1989, portò a compimento il suo percorso. La diffusione in ogni Paese occidentale dell’ideologia del gender segnerà il trionfo di questa prospettiva di dissoluzione, ma forse anche il suo punto di arrivo.
Oggi, al suo interno, si registra, per esempio, una divisione tra il femminismo «storico», che aveva eccitato il conflitto fra i due sessi sfruttando una torsione maschilista del processo rivoluzionario nella sua fase liberale e borghese e trattando la donna come un oggetto privato — sublimato invece fra i cattolici all’interno del focolare domestico —, e i sostenitori del transgender, che preconizzano una società fluida, ormai senza alcuna identità né maschile, né femminile.
AC ha combattuto «in presenza» tutte le battaglie in difesa dei «princìpi non negoziabili», cercando peraltro di riportare sempre la descrizione della situazione all’interno di un quadro di riferimento, nazionale e soprattutto internazionale. Infatti, il mondo è cambiato in continuazione, passando dalla globalizzazione al suo fallimento, o almeno al suo ridimensionamento, per il ritorno prima, negli anni 1990, dei nazionalismi e poi, nel Terzo Millennio, dei populismi, e grazie a una certa resistenza del corpo sociale in senso conservatore, visibile in particolare nel nostro Paese.
L’assenza di un nemico visibile
Vi è certamente un dato da sottolineare per quanto riguarda l’apostolato e, in particolare, il modo di comunicare la fede. Allora come oggi, l’assenza di un nemico visibile suggerisce di subordinare l’aspetto polemico a quello propositivo. Non basta più «smontare» l’errore penetrato nel corpo sociale, perché l’errore viene sostenuto ideologicamente da pochi, ma accettato acriticamente da molti. Per fare un esempio, i più considerano l’aborto come un «diritto», anche se magari personalmente lo rifiutano e se non vorrebbero mai che fosse praticato. Per mostrare l’errore di questa posizione bisogna operare con prudenza, delicatezza e gradualità, partendo dalla situazione reale della o delle persone con cui ci stiamo confrontando. Il mondo cambia rapidamente: ora è l’epoca della rivoluzione digitale e dell’Intelligenza Artificiale e il secolarismo penetra sempre più profondamente nel corpo sociale.
Il cristianesimo in questi decenni è cresciuto in Africa e in Asia, ma in Europa ne sono diminuite la presenza numerica e soprattutto l’influenza sociale (13). La Chiesa da tempo ha preso atto di questo importante mutamento culturale, cercando strade nuove per adattare il proprio apostolato alle caratteristiche dell’interlocutore. Questo è il senso della nuova evangelizzazione auspicata dai pontefici, a partire almeno dal venerabile Pio XII (1939-1958) fino a oggi (14). Naturalmente tutto ciò è andato avanti per tentativi, di cui il Concilio Vaticano II è stato il più importante, soprattutto perché attuato dalla massima istanza della Chiesa, appunto l’insieme dei vescovi sotto la guida del vescovo di Roma.
Le due fasi dell’apostolato
AC ha cercato di caratterizzare il suo apostolato tenendo conto della necessità delle due fasi, quella di denuncia del processo rivoluzionario e quella della formazione di uomini e di ambienti. Nulla di nuovo, ma certamente un’accentuazione diversa, più marcata, dell’aspetto propositivo, della proposta della Divina Misericordia come risposta al peccato anche nella sua dimensione sociale, della necessità del perdono anche verso sé stessi, del riconoscimento degli errori di coloro che, nati e cresciuti nella cultura della «rivoluzione antropologica», hanno creduto di esserne immuni soltanto perché nel 1968 stavano dall’altra parte della barricata.
Oggi più che mai valgono le parole di Pio XII: «È tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta» (15), e quelle di san Giovanni Paolo II: «Oggi bisogna aver pazienza, e ricominciare tutto da capo, dai “preamboli della fede” fino ai “novissimi”» (16).
Questo vale per l’Occidente. Esso ha voltato le spalle alle sue radici, ha creato un mondo senza Dio, ma rimane il luogo in cui siamo nati e che siamo chiamati a evangelizzare e ricostruire (17). Vi è ancora chi non si è arreso alla sua definitiva scomparsa. Intanto rimane la Chiesa, minoritaria certo, ma realmente ancora presente, confusa e divisa nella sua umanità ma pur sempre il corpo sociale di Cristo, misteriosamente garantita e assistita dallo Spirito del Signore.
Vi sono poi i nemici esterni, che si stanno organizzando non tanto per costruire un mondo plurale, ma per sostituire l’Occidente come guida del mondo. E non è una cosa auspicabile per chi ha a cuore la libertà.
Marco Invernizzi
Note:
1) «La costruzione di questa civiltà è, a sua volta, parte integrante di quella che Papa san Giovanni Paolo II ha chiamato “nuova evangelizzazione”, nella cui prospettiva e nel cui orizzonte si pone, dedicandosi in particolare — fra le opere raccomandate a ogni cattolico — a quelle dette di misericordia spirituale, attraverso un apostolato di tipo culturale» (Alleanza Cattolica, Direttorio. Profilo dottrinale e operativo proposto alla meditazione e alla pratica «ad experimentum» in occasione del Primo Capitolo Generale tenuto nel mese di maggio del 1977. Seconda versione proposta «ad experimentum» in occasione del Capitolo Generale tenuto nel mese di febbraio del 2011, ristampa febbraio 2017, n. 3.1).
2) «Con decreto del 13 aprile 2012 S. E. mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, ha riconosciuto Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli, ai sensi dei canoni 299 § 3 e da 321 a 326 del Codice di Diritto Canonico (C.J.C.), concedendo alla stessa personalità giuridica privata ai sensi del canone 322 C.J.C.» (Il riconoscimento di Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli con personalità giuridica privata, in Cristianità, anno XL, n. 364, aprile-giugno 2012, pp. 1-3).
3) Cfr. Giovanni Cantoni, «Tu es Petrus», ibid., anno XVI, n. 158-160, giugno-luglio-agosto 1988, pp. 3-6 e 19.
4) Cfr. Idem, Comunque è aborto!, ibid., anno IX, n. 72, aprile 1981, pp. 1-2.
5) Cfr. Idem, URSS, agosto 1991: una tappa sulla strada del postcomunismo, ibid., anno XIX, n. 197-198, settembre-ottobre 1991, pp. 3-8. Sulle conseguenze relative alla libertà religiosa dopo la fine dell’Unione Sovietica, in particolare con il passaggio dalla legge del 1990, che istituiva un autentico diritto alla libertà per tutte le religioni, a quella del 1997, che invece ripristinerà la religione ortodossa come religione dello Stato, sancendo la svolta nazionalistico-ortodossa dopo il periodo eltsiniano, cfr. Giovanni Codevilla, Da Lenin a Putin. Politica e religione, con un saggio di [don] Stefano Caprio, Jaca Book, Milano 2024, pp. 367-388; e Idem, Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e Impero, 4 voll., Jaca Book, Milano 2016, vol. IV, La nuova Russia (1990-2015), con un saggio di S. Caprio, La Russia del Terzo Millennio,pp. 215-218.
6) Cfr. il mio «Dal PCI al PDS»: le tappe e i contenuti di una metamorfosi rivoluzionaria, in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 5-9.
7) Cfr. G. Cantoni, L’alternativa davanti ai Poli delle Libertà e del Buon Governo: Seconda Repubblica o Nuova Repubblica?, ibid., anno XXII, n. 227-228, marzo-aprile 1994, pp. 3-5.
8) Cfr. Massimo Introvigne, La questione della nuova religiosità, in Appendice la relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991 del card. Francis Arinze, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1993.
9) Cfr. G. Cantoni, Aspetti in ombra della legge sociale dell’islam. Per una critica alla vulgata «islamicamente corretta», prefazione di Samir Khalil Samir S.J., Centro Studi «Arcangelo Cammarata», San Cataldo (Caltanissetta) 2000.
10) Cfr. Idem e M. Introvigne, Libertà religiosa, «sette» e «diritto di persecuzione». Con Appendici, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1996.
11) Cfr. «Fra il 28 novembre e il 14 dicembre 1991 si è svolta in Vaticano l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, inaugurata e conclusa con solenni concelebrazioni, presiedute dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nella basilica patriarcale di San Pietro. Lo stesso 28 novembre S. Em. il card. Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha tenuto la relazione generale precedente la discussione, quindi il 7 dicembre, dopo i lavori delle prime dieci congregazioni generali, ha svolto una nuova relazione comprensiva dei contributi emersi dagli interventi in aula. Finalmente il 13 dicembre è stato reso pubblico il testo della Dichiarazione Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato,che si articola in un Proemio, in quattro parti — I. Il significato dell’ora presente nella prospettiva della fede cristiana e della storia d’Europa, II. Il centro vivo e le molte vie della nuova evangelizzazione, III. La necessità del dialogo e della cooperazione con gli altri cristiani, con gli ebrei e con tutti coloro che credono in Dio e IV. L’impegno della Chiesa per l’edificazione di un’Europa aperta alla solidarietà universale — e in una Conclusione» (Idem, Per la «nuova evangelizzazione» dell’Europa, in Cristianità, anno XIX, n. 200, dicembre 1991, pp. 3-9 [p. 3]).
12) Cfr. il mio San Giovanni Paolo II. Una introduzione al suo Magistero, Sugarco, Milano 2014.
13) Cfr. Agenzia Fides, Le statistiche della Chiesa cattolica 2024, 17-10-2024, nel sito web <https://www.fides.org/it/stats>.
14) Cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Enchiridion della nuova evangelizzazione. Testi del Magistero pontificio e conciliare. 1939-2012, LEV. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
15) Pio XII, Esortazione ai fedeli di Roma, del 10-2-1952.
16) «Oggi bisogna aver pazienza, e ricominciare tutto da capo, dai “preamboli della fede” fino ai “novissimi”, con esposizione chiara, documentata, soddisfacente. È necessario formare le intelligenze, con ferme ed illuminate convinzioni, perché solo così si possono formare le coscienze. Soprattutto oggi bisogna far sentire ed inculcare il “senso del Mistero”, la necessità della umiltà della ragione di fronte all’Infinito e all’Assoluto, la logica della confidenza e della fiducia in Cristo e nella Chiesa» (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno nazionale «Missione al popolo per gli anni 80», del 6-2-1981).
17) «Che cos’è questo Occidente? È una civiltà, una cultura che ha avuto e che ha una storia comune e che, a partire da un certo momento, ha seguito, nelle idee e poi, anche, nelle realizzazioni storiche, un certo itinerario di rinnegamento del proprio passato. Ma ciò non significa che questo sia il mondo cui apparteniamo e che queste siano le sue radici storiche, che si possono rifiutare ma restano, non di meno» (Marco Tangheroni [1946-2004], Le radici storiche dell’Occidente, in Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico fra mestiere e impegno civico-culturale, con un saggio introduttivo La storia come «riassunto» di G. Cantoni e una Nota praevia di Andrea Bartelloni, a cura di Oscar Sanguinetti con la collaborazione di Stefano Chiappalone, Sugarco, Milano 2009, pp. 156-157).