Discorso tenuto in Concistoro del 17-6-1793, in Bullarii Romani Continuatio Summorum Pontificum Benedicti XIV. Clementis XIII. Clementis XIV, Pii VI, Pii VII, Leonis XII, Pii VIII, Constitutiones, Litteras in forma brevis, Epistolas ad principes viros. et alios, atque Allocutiones complectens, tomo VI, parte III, Tipografia Aldina, Prato 1849, pp. 2627-2637. Titolo e traduzione dall’originale francese redazionali; omesse le note.
Venerabili fratelli,
1. Perché la nostra voce non è in questo momento completamente soffocata dalle nostre lacrime e dai nostri singhiozzi? Con i nostri gemiti piuttosto che con le nostre parole dobbiamo esprimere il dolore senza limiti, al quale siamo costretti a dar sfogo davanti a voi, descrivendovi lo spettacolo di crudeltà e di barbarie che si vide a Parigi il 21 gennaio scorso?
2. Il re cristianissimo, LuigiXVI, è stato condannato alla pena capitale da un’empia congiura, e questo giudizio è stato eseguito. Vi ricorderemo in poche parole i dispositivi e le motivazioni di questa sentenza. La Convenzione Nazionale non aveva né il diritto né l’autorità di pronunciarla. Infatti, dopo aver abrogato la monarchia, la miglior forma di governo, aveva trasferito tutto il pubblico potere al popolo, che non si comporta né secondo ragione, né dopo aver preso consiglio, e non si forma idee giuste a nessun proposito, giudica poche cose sulla base della verità e ne valuta moltissime secondo l’opinione; ed è sempre incostante, facile da ingannare e da trascinare a tutti gli eccessi, ingrato, arrogante e crudele; gioisce nella carneficina e nello spargimento del sangue umano, e si bea contemplando le angosce che precedono l’ultimo respiro come in altri tempi si andava a veder spirare i gladiatori negli anfiteatri degli antichi. La parte più feroce di questo popolo, non soddisfatta di aver degradato la maestà del suo re e decisa a strappargli la vita, volle fosse giudicato dai suoi stessi accusatori, che si erano apertamente proclamati i suoi nemici più implacabili. Già dall’apertura del processo erano stati immediatamente chiamati fra i giudici proprio i deputati più noti per le loro cattive disposizioni, per meglio garantirsi la possibilità di far prevalere l’opinione favorevole alla condanna con la maggioranza dei votanti. Tuttavia non se ne potè aumentare il numero in misura sufficiente a impedire che il re fosse sacrificato sulla base di una minoranza legale di voti. Come non aspettarselo e quale giudizio nei secoli esecrabile non immaginare, di fronte al convenire di tanti giudici perversi e a tante manovre messe in opera per captare i suffragi? Poiché tuttavia molti di loro si erano ritratti per l’orrore al momento di consumare un crimine tanto grande, si pensò di chiedere una nuova votazione; e così i congiurati votarono di nuovo e decisero che la condanna era decretata legittimamente. Taciamo, a questo punto, a proposito di una massa di altre ingiustizie, di nullità e di procedure invalide che si possono trovare leggendo le brevi perorazioni degli avvocati e i documenti pubblici. Né mettiamo in risalto quanto il re dovette sopportare prima di essere condotto al supplizio: la sua lunga detenzione in diverse prigioni, dalle quali usciva solamente per essere portato alla sbarra della Convenzione, l’assassinio del suo confessore, la sua separazione dalla famiglia reale che amava tanto teneramente, insomma il cumulo di tribolazioni concentrate su di lui per moltiplicare le sue umiliazioni e le sue sofferenze. È impossibile non essere pervasi da orrore, se non si è completamente abbandonato ogni senso d’umanità. L’indignazione aumenta ancora quando si pensa che, secondo l’unanime riconoscimento, questo principe aveva un carattere naturalmente dolce e benevolo; che la sua clemenza, la sua pazienza, il suo amore per i suoi popoli furono sempre inalterabili; che, incapace di qualsiasi durezza, di qualsiasi rigidezza, si mostrò costantemente di tratto semplice e indulgente verso tutti; e che questo carattere eccellente gli ispirò la fiducia di accettare la richiesta pubblica e di convocare gli Stati Generali del regno, malgrado tutti i pericoli che ne potevano derivare per la sua autorità e per la sua persona. Ma non possiamo passare sotto silenzio l’opinione che si è formata universalmente in relazione alle sue virtù grazie al testamento scritto di suo pugno, uscito dal profondo della sua anima, stampato e diffuso in tutta Europa. Che idea elevata ci si forma della sua virtù! Che zelo per la religione cattolica! Che segni d’una pietà autentica verso Dio! Che dolore, che pentimento per aver apposto il suo nome, suo malgrado, a decreti tanto contrari alla disciplina e alla fede ortodossa della Chiesa! Sul punto di soccombere sotto il peso di tante avversità, che si accumulavano giorno dopo giorno sul suo capo, poteva dire, come Giacomo I re d’Inghilterra, che lo si calunniava nelle assemblee del popolo non per aver commesso qualche crimine, ma perché era re, e questo fatto veniva considerato come il maggiore di tutti i crimini.
3. Ma, a questo punto, dimentichiamo per qualche istante Luigi per trarre dalla storia un esempio perfettamente analogo a quello di cui stiamo trattando, e fondato sulle luminose testimonianze degli scrittori più veritieri. Maria Stuarda, regina di Scozia, figlia di Giacomo V, re di Scozia, e vedova di Francesco II, re di Francia, assunse il titolo e si attribuì tutti gli onori dei re della Gran Bretagna, che gli inglesi avevano già conferito a Elisabetta. Un gran numero di storici narra i tormenti che dovette sopportare a causa delle macchinazioni e delle violenze della sua rivale e dei faziosi calvinisti. Spesso, nel corso della sua lunga prigionia, ella aveva rifiutato di rispondere all’interrogatorio dei giudici dicendo che una regina doveva rendere conto della sua condotta soltanto a Dio. Finalmente, stanca di subire tante e così diverse vessazioni, decise di rispondere e si discolpò di tutti i crimini che le venivano imputati e dimostrò la propria innocenza. Ciononostante i suoi giudici portarono a compimento l’opera iniqua che avevano intrapreso; emisero contro di lei una sentenza di morte, come se fosse stata colpevole e confessa; e si vide allora quella testa regale cadere su un patibolo.
4. Benedetto XIV, nel terzo libro del suo trattato sulla beatificazione dei servi di Dio, al capitolo 13, numero 10, a proposito di questo avvenimento argomenta così: «Se la causa del martirio di questa regina fosse introdotta, cosa che non è ancora stata fatta, si potrebbe addurre anzitutto contro il fatto del martirio un argomento semplicissimo, traendolo dalla stessa sentenza e dalle empie calunnie, che gli eretici non hanno smesso di vomitare contro questa regina, soprattutto George Buchanan nel suo infame libello intitolato Maria smascherata. Ma se si studia la vera causa della sua morte, che deve essere imputata all’odio verso la religione cattolica, la quale sarebbe stata mantenuta in Inghilterra se Maria vi avesse regnato; se si tiene conto della costanza incrollabile con cui la si vide rifiutare tutti i vantaggi che le venivano offerti, purché abiurasse la religione cattolica; se si osserva l’eroismo mirabile con cui Maria seppe morire; se si esaminano in modo adeguato le dichiarazioni da lei fatte prima della morte, e che ripeté al momento del supplizio, per testimoniare che aveva sempre vissuto nella Chiesa cattolica e che versava volentieri il suo sangue per questa religione; se, insomma, non si trascurano, come non si può fare secondo giustizia, le ragioni evidentissime che non solo dimostrano la falsità dei crimini che venivano imputati alla regina Maria, ma che provano anche, in modo inconfutabile, che questa ingiusta sentenza di morte si era appoggiata solamente su calunnie e che fu realmente emessa in odio alla religione cattolica e per affermare immutabilmente l’eresia in Inghilterra, forse allora si troverà che a questa causa non manca nessuna delle condizioni necessarie per constatare un autentico martirio».
5. Sant’Agostino ci insegna che non la pena, ma la causa della pena fa un autentico martire. Perciò Benedetto XIV, dopo aver mostrato nei termini riferiti la sua disponibilità a riconoscere il martirio di Maria Stuarda, esamina se basti, per ammettere l’esistenza di un martirio, che un tiranno sia deciso a mettere a morte un cristiano in odio alla religione di Gesù Cristo, anche se trae occasione per infliggere la pena di morte da un pretesto diverso dalla fede o che può avere con essa soltanto rapporti accidentali; e Benedetto XIV decide per l’affermativa perché un’azione non trae il suo vero carattere dall’occasione oppure dalla causa impulsiva che la suscita, ma dalla causa finale che la produce; e quindi perché basta, per caratterizzare un autentico martirio, che un persecutore pronunci una sentenza di morte in odio alla fede, anche se l’occasione della morte è stata determinata da un motivo diverso che, in ragione delle circostanze, non interessa assolutamente la religione.
6. Ritorniamo ora a re Luigi XVI. Se l’autorità di Benedetto XIV in questa materia è grande, se si deve tenere in grandissima considerazione la sua opinione quando si mostra propenso ad ammettere il martirio di Maria Stuarda, perché non dovremmo pensare come lui relativamente al martirio di re Luigi? In questo caso, infatti, vi sono un pari attaccamento alla religione, una pari intenzione e una fine parimenti tragica: di conseguenza, vi deve essere anche pari merito. Dunque, chi potrà mai dubitare che questo monarca sia stato immolato principalmente in odio alla fede e con uno spirito di furore contro i dogmi cattolici? Già da molto tempo i calvinisti avevano cominciato a ordire in Francia la rovina della fede cattolica. Ma per giungere a questo risultato bisognava prima preparare gli spiriti e abbeverare i popoli con quegli empi principi, che poi i novatori non hanno mai smesso di diffondere in libri che emanavano soltanto la perfidia e la sedizione. In questa prospettiva hanno fatto lega con filosofi perversi. L’assemblea generale del clero di Francia, del 1745, aveva scoperto e denunciato gli abominevoli complotti di tutti questi operatori di empietà. E anche Noi, dall’inizio del nostro pontificato, prevedendo le esecrabili manovre di un partito tanto perfido, abbiamo annunciato il pericolo imminente, che minacciava l’Europa, nella nostra lettera enciclica indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai quali parlavamo in questi termini: «Strappate il male d’in mezzo a voi, cioè allontanate dalla vista dei vostri greggi, con una grande energia e una continua vigilanza, tutti questi libri appestati». Se quanto facevamo presente e il nostro giudizio fossero stati presi in considerazione, non dovremmo ora lamentare i progressi di questa vasta congiura tramata contro i re e contro le autorità politiche. Quegli uomini depravati si resero presto conto che i loro progetti procedevano rapidamente e valutarono che fosse finalmente giunto il momento di realizzare i loro intenti; e cominciarono a sostenere apertamente, in un libro stampato nel 1787, la tesi di Hugues Rosaire, o dell’autore che ha assunto questo nome, secondo la quale era un’azione lodevole assassinare un sovrano che rifiutasse di abbracciare la Riforma oppure di assumersi la difesa degli interessi dei protestanti favorendo la loro religione. Poiché questa dottrina è stata pubblicata poco tempo prima che Luigi cadesse nella deplorevole condizione in cui è stato ridotto, tutti hanno allora potuto vedere chiaramente qual era la fonte prima delle sue sventure. Si deve quindi ritenere come constatato che sono derivate dai cattivi libri che comparivano in Francia, e che devono essere ritenute come frutti naturali di questo albero avvelenato.
7. Nella biografia dell’empio Voltaire si è anche scritto che il genere umano gli deve eterna gratitudine in quanto autore primo della Rivoluzione francese. Si dice che lui, istigando il popolo ad avere coscienza delle proprie forze e a servirsene, ha fatto cadere la prima barriera del dispotismo, il potere religioso e sacerdotale. Si aggiunge che, se non si fosse spezzato questo giogo, non si sarebbe mai spezzato quello dei tiranni. L’uno e l’altro erano uniti tanto strettamente che, una volta scosso il primo, il secondo lo sarebbe stato subito dopo. Celebrando la caduta dell’altare e del trono come il trionfo di Voltaire, si esaltano la fama e la gloria di tutti gli scrittori empi come, un tempo, quelle di generali di un esercito vittorioso. Dopo aver così trascinato, con ogni tipo di artifici, una grandissima parte del popolo nel loro partito, per meglio attrarlo ancora con la loro ricchezza e con le loro promesse, o piuttosto per farne il loro giocattolo in tutte le province della Francia, i faziosi si sono serviti del termine specioso libertà, ne hanno inalberato le sue bandiere, che hanno spiegato da tutte le parti. In realtà si tratta di quella libertà filosofica, che tende a corrompere gli spiriti, a depravare i costumi, a rovesciare tutte le leggi e tutte le istituzioni trasmesse. Anche per questa ragione l’assemblea del clero di Francia mostrò tanto orrore per una simile libertà, quando cominciava a insinuarsi nello spirito del popolo attraverso le tesi maggiormente ingannevoli. Fu ancora per lo stesso motivo che anche Noi credemmo di doverla denunciare e di caratterizzarla in questi termini nella nostra enciclica citata: «Questi filosofi sfrenati tentano di spezzare tutti i legami che uniscono gli uomini fra loro, che li legano ai sovrani e che li mantengono all’interno del dovere. Dicono e ripetono fìno alla sazietà che l’uomo nasce libero e che non è sottoposto all’autorità di nessuno. Quindi rappresentano la società come una massa di idioti, la cui stupidità si prosterna davanti ai preti che li ingannano e davanti ai re che li opprimono, sì che l’accordo fra il sacerdozio e l’autorità politica è solamente una barbara congiura contro la naturale libertà dell’uomo».
8. Questi tanto vantati campioni del genere umano hanno aggiunto alla parola falsa e ingannatrice «libertà» l’altro termine «uguaglianza», che non lo è meno, come se, fra uomini che si sono riuniti in società e che hanno disposizioni intellettuali tanto diverse, gusti tanto opposti e un agire tanto sregolato e tanto dipendente dalla loro cupidigia individuale, non vi debba essere nessuno che riunisce la forza e l’autorità necessarie a costringere, a reprimere e a riportare al dovere quanti se ne allontanano, nel timore che la società sovvertita da tante passioni diverse e disordinate non si precipiti nell’anarchia e non cada completamente in disso- luzione. Così l’armonia si compone dell’accordo perfetto di molti suoni e, se non si sostiene con la fedele corrispondenza delle voci e degli strumenti, degenera in rumore discordante e allora non è altro che una barbara dissonanza. Dopo essersi posti – secondo le parole di Sant’Ilario di Poitiers – come «i riformatori dei reggitori della cosa pubblica e gli arbitri della religione, mentre lo scopo principale della religione consiste, al contrario, nel propagare ovunque uno spirito di sottomissione e di ubbidienza», questi novatori hanno cominciato a dare una Costituzione anche alla Chiesa con nuovi decreti fino a oggi inauditi. Da questo laboratorio è uscita la Costituzione sacrilega che abbiamo rifiutato nella nostra risposta del 10 marzo 1791 all’esposizione di principi sottoscritta da trenta vescovi. A questo proposito si possono applicare le parole di san Cipriano: «Come può accadere che i cristiani siano giudicati da eretici, i sani dai malati, quanti sono indenni da coloro che hanno ricevuto ferite, quanti sono in piedi da coloro che sono caduti, i giudici dai colpevoli, i preti dai sacrileghi? Non resta forse altro da fare che sottomettere la Chiesa al Campidoglio?». Tutti i francesi che, nei diversi ordini dello Stato, si mostravano ancora fedeli e rifiutavano fermamente di legarsi con un giuramento a questa nuova Costituzione, erano immediatamente subissati di ritorsioni e votati alla morte. Ci si è affrettati a massacrarli indistintamente. Un gran numero di ecclesiastici ha dovuto patire i trattamenti più barbari. Vescovi sono stati sgozzati e se si vuol sapere con quale pietà, con quale rispetto li si deve venerare, lo si può imparare dall’esempio dello stesso Gesù Cristo che – come nota san Cipriano – «onorò costantemente, fino al giorno della sua morte, i pontefici e i preti, anche se non avevano conservato il timor di Dio e non avevano riconosciuto il Messia». Un gran numero di francesi di tutti gli ordini è stato sacrificato. Quanti venivano perseguitati con il minor rigore si vedevano strappati dalle loro case e relegati in paesi stranieri, senza nessuna distinzione d’età, di sesso, di condizione. Si era decretato che ognuno poteva professare la religione che voleva, come se tutte le religioni portassero allo stesso modo alla salvezza eterna, e tuttavia veniva proscritta solamente la religione cattolica. Soltanto essa vedeva spargere il sangue dei suoi discepoli sulle pubbliche piazze, sulle strade maestre e nelle loro stesse abitazioni. Si sarebbe detto che essa era diventata per loro un delitto capitale. Non potevano trovare nessuna sicurezza negli Stati vicini, dove erano venuti a cercare un asilo, e vi venivano vessati crudelmente quando si riusciva a metter le mani su di loro con invasioni oppure a riportarli in Francia a forza di inganni e di perfidie. Ma questo è il carattere costante delle eresie. Questo è sempre stato, dai primi secoli della Chiesa, lo spirito comune agli eretici, sviluppato in modo particolare dalle manovre tiranniche dei calvinisti, che hanno cercato con perseveranza di moltiplicare i loro proseliti con tutti i generi di minacce e di violenze.
9. Dopo questa serie ininterrotta di empietà cominciate in Francia, chi ha ancora bisogno della dimostrazione che le prime trame di questi complotti, che oggi scuotono e agitano tutta l’Europa, devono essere imputate all’odio verso la religione? Nessuno può ugualmente negare che la stessa causa abbia prodotto la morte funesta di Luigi XVI. In verità ci sl è sforzati di caricare questo principe di molti delitti di un ordine puramente politico. Ma il principale rimprovero levato contro di lui verteva sull’inalterabile fermezza con la quale rifiutò di approvare e di sanzionare il decreto di deportazione dei preti e sulla lettera che scrisse al vescovo di Clermont per annunciargli che era assolutamente deciso a ristabilire il culto cattolico in Francia appena avesse potuto. Tutto questo non basta perché si possa credere e sostenere non avventatamente che Luigi è stato un martire? Anche la sentenza di morte di Maria Stuarda era fondata su pretesi crimini di macchinazione e di congiura contro lo Stato e il nome della religione vi era appena inframezzato. Ciononostante Benedetto XIV, senza fermarsi di fronte alle imposture menzionate nel giudizio, pensò che l’odio per la religione era stato il motivo vero e indubbiamente il più decisivo della condanna; e quindi concluse che questa morte apriva la possibilità di una causa di martirio.
10. Ma da quanto abbiamo sentito, a questo punto si frapporrà come un ostacolo perentorio al martirio di Luigi l’approvazione da lui data alla Costituzione, che abbiamo già rifiutata nella nostra citata risposta ai vescovi di Francia. Molti negano il fatto e affermano che, quando questa Costituzione venne presentata alla firma del re, egli esitò, raccolto nei suoi pensieri, e rifiutò la sua firma nel timore che l’apposizione del suo nome producesse tutti gli effetti di un’approvazione formale. Uno dei suoi ministri, di cui si fa il nome e nel quale il re riponeva allora una grande fiducia, gli fece presente che la sua firma provava soltanto la perfetta conformità della copia rispetto all’originale, sì che Noi – destinatari immediati di questa Costituzione – non avremmo potuto con nessun pretesto nutrire il minimo sospetto relativamente alla sua autenticità. Sembra che sia stata questa semplice osservazione a determinarlo immediatamente a mettere la sua firma. È anche quanto lascia intendere lui stesso nel suo testamento, quando dice che la sua firma gli fu strappata contro la sua volontà. E infatti non sarebbe più stato coerente, si sarebbe messo in contraddizione con sé stesso se, dopo aver allora volontariamente approvato la Costituzione del Clero di Francia, l’avesse poi rigettata con la più inalterabile fermezza, come fece quando rifiutò di approvare il decreto di deportazione dei preti non giurati e quando scrisse al vescovo di Clermont di essere deciso a ristabilire in Francia il culto cattolico. Ma, comunque si sia svolto questo fatto, poiché non ne assumiamo la responsabilità, e quand’anche Noi confessassimo che Luigi, ingannato per mancanza di riflessione oppure per errore, approvò realmente la Costituzione nel momento in cui la sottoscrisse, saremmo per questo obbligati a mutare il modo di sentire relativamente al suo martirio? Indubbiamente no. Se avessimo una simile intenzione ne saremmo distolti dalla sua ritrattazione seguente, tanto certa quanto solenne, e dalla sua stessa morte, che fu votata, come abbiamo precedentemente dimostrato, in odio alla religione cattolica; ne deriva che sembra difficile potergli contestare qualcosa della gloria del martirio. Dapprima san Cipriano aveva adottato, relativamente al battesimo degli eretici, principi decisamente contrari alla verità; tuttavia – secondo le parole stesse di Sant’Agostino, ripetute in più passi dei suoi scritti – Dio stesso ha separato con il ferro di un martirio glorioso quanto aveva bisogno di essere troncato da questo ramo coperto di frutti.
11. Accadde la stessa cosa quando si doveva decidere, nella Congregazione dei Riti, se si poteva opporre al martirio di Joao de Britto, della Compagnia di Gesù, l’uso che aveva continuato a fare, nella missione di Maduré, di riti cinesi, dopo che erano stati proscritti, e i votanti non esitarono a decidere per la negativa. Essi dichiararono che questa considerazione non frapponeva nessun ostacolo dal momento che, affrontando il martirio, egli aveva ritrattato in modo sufficiente, con l’effusione del suo sangue, l’adesione ai riti cinesi. Essi si divisero sulla questione relativa all’opportunità di pubblicare un decreto favorevole, del quale ci si sarebbe potuti valere in seguito per sostenere che revocava tacitamente la condanna precedente di queste cerimonie. Ma Benedetto XIV tolse ogni difficoltà dichiarando che non si sarebbe mai potuto dedurre dal decreto da pubblicare l’intenzione della Santa Sede di allontanarsi dalle costituzioni con cui i suoi predecessori avevano proscritto la liturgia cinese. Nello stesso tempo ammise la ritrattazione sottoscritta dal venerabile Joao de Britto non con la penna, ma con il proprio sangue. Decise così che l’ostacolo che si opponeva alla causa non impediva assolutamente di continuarne l’istruzione, di procedere immediatamente all’esame della questione del martirio e della causa del martirio, e alla discussione dei miracoli che si diceva fossero stati operati per sua intercessione. Il decreto relativo fu pubblicato il 2 luglio 1741. Fondandoci su questa decisione e notando che la ritrattazione di Luigi XVI, scritta di sua propria mano e constatata anche attraverso l’effusione di un sangue tanto puro, era certa e incontestabile, crediamo di non doverci allontanare dal principio di Benedetto XIV non certamente pronunciando in questo momento un decreto simile a quello che abbiamo appena citato, ma persistendo nell’opinione che ci siamo fatti relativamente al martirio di questo principe, nonostante qualsiasi approvazione possa aver dato alla Costituzione Civile del Clero, di qualunque tipo sia stata.
12. Francia! Francia! Tu che i nostri predecessori chiamavano «lo specchio di tutta la Cristianità e l’inalterabile sostegno della fede: tu, che per il tuo zelo per il Credo cristiano e per la tua pietà filiale verso la Sede Apostolica, non segui le altre nazioni, ma le precedi tutte», come ci sei oggi avversa! Da quale spirito di ostilità sembri animata contro la vera religione! Quanto l’aggressività che le testimoni supera già gli eccessi di tutti coloro che fino a oggi si sono mostrati i suoi persecutori più implacabili! E tuttavia non puoi ignorare, anche se lo volessi, che la religione è la custode più sicura e il fondamento più solido delle autorità politiche perché reprime ugualmente sia gli abusi d’autorità nei principi che governano, sia le deviazioni della licenza nei soggetti che ubbidiscono. Ebbene, proprio per questo tutti gli avversari faziosi delle prerogative reali cercano di annientarle, sforzandosi anzitutto di rovesciare la fede cattolica.
13. Ancora una volta, Francia! Tu stessa prima chiedevi un re cattolico. Tu dicevi che le leggi fondamentali del regno non permettevano assolutamente di riconoscere un re che non fosse cattolico. Ed ecco che ora l’avevi questo re cattolico, e proprio perché era cattolico lo hai assassinato!
14. La tua rabbia contro questo monarca si è mostrata tale da non poter essere né soddisfatta né placata neppure dal suo supplizio. Hai voluto mostrarla ancora dopo la sua morte sulle sue tristi spoglie: infatti, hai ordinato che il suo cadavere fosse trasportato e inumato senza nessuna cerimonia di onorevole sepoltura. Almeno, dopo la sua morte, si ripettò ancora la maestà regale in Maria Stuarda. Il suo corpo fu imbalsamato, riportato alla cittadella e posto in un luogo preparato per accoglierlo. Si diede ordine ai suoi collaboratori di rango e ai suoi domestici di rimanere presso il feretro, con tutte le insegne delle loro dignità, finché non fosse destinata a questa principessa una sepoltura conveniente. Cos’hai guadagnato abbandonandoti in questo modo a un’animosità che non hai potuto soddisfare, se non attirare su di te maggiore vergogna, maggiore infamia e provocare il risentimento e l’indignazione generali dei sovrani, molto più irritati contro di te di quanto non lo furono mai contro Elisabetta d’Inghilterra?
15. Giorno di trionfo per Luigi XVI, cui Dio ha dato sia la pazienza nelle tribolazioni, sia la vittoria nel mezzo del suo supplizio! Abbiamo la ferma fiducia che abbia felicemente scambiato una corona regale sempre fragile e gigli che sarebbero presto appassiti con l’altro diadema imperituro, che gli angeli hanno tessuto di gigli immortali.
16. San Bernardo, nelle lettere al suo discepolo Papa Eugenio, ci insegna cosa pretende da Noi in queste circostanze il nostro ministero apostolico, quando lo esorta a moltiplicare le proprie cure «affinché gli increduli si convertano alla fede, quanti sono convertiti non deviino più, e quanti hanno deviato ritornino presto sulla retta via». Abbiamo anche come modello, davanti ai nostri occhi, la condotta di Clemente VI, nostro predecessore, che non cessò di perseguire la punizione dell’assassinio di Andrea, re di Sicilia, infliggendo le pene maggiori ai suoi assassini e ai loro complici, come si può vedere nelle sue lettere apostoliche. Ma cosa possiamo fare Noi, cosa possiamo aspettarci, quando si tratta di un popolo che non solo non ha nessun riguardo per i nostri ammonimenti, ma che si è anche permesso nei nostri confronti le offese, le usurpazioni, gli oltraggi e le calunnie più rivoltanti, e che infine è giunto a tale eccesso di audacia e di delirio da comporre con il nostro nome false lettere, perfettamente coerenti con i suoi nuovi errori! Lasciamo dunque che si indurisca nella sua deplorevole depravazione, dal momento che ne è tanto attratto. E speriamo che il sangue innocente di Luigi gridi in qualche modo e interceda affinché la Francia riconosca e detesti la propria ostinazione nell’accumulare su di sé tanti crimini; e ricordi le punizioni terribili che un Dio giusto, vendicatore dei delitti, ha spesso inflitto a popoli che avevano compiuto gesti molto meno gravi.
17. Ecco le riflessioni che abbiamo giudicato più opportune per offrirvi qualche consolazione di fronte a una tragedia così terribile. Perciò, per completare quanto ci resta da dire, vi invitiamo alla cerimonia solenne che celebreremo con voi, come di consueto, per il riposo dell’anima di re Luigi XVI. Benché queste preghiere funebri possano sembrare superflue quando si tratta di un cristiano che si crede abbia meritato la palma del martirio, dal momento che sant’Agostino dice che la Chiesa non prega per i martiri, ma piuttosto si raccomanda alle loro preghiere, tuttavia questa sentenza del santo Dottore deve essere intesa e va interpretata non in riferimento a chi è semplicemente reputato martire da una persuasione umana, ma a chi è formalmente riconosciuto tale da un giudizio della Santa Sede Apostolica. Quindi Noi, venerabili fratelli, vi indicheremo con nostro ordine il giorno in cui procederemo insieme, secondo l’uso, nella nostra cappella pontificia, alle pubbliche esequie di sua maestà cristianissima Luigi XVI, re di Francia.
Pio VI