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Aristotele vs droga

8 Marzo 2019 - Autore: Daniele Fazio

di Daniele Fazio 

Può sembrare bizzarro chiamare in causa il più grande filosofo della Grecia, Aristotele (384 – 322 a. C.), in un discorso sulla droga, ma cercheremo di comprendere che non lo è. Al di là delle pressioni ideologiche, che la droga – anche quella che per inganno viene detta «leggera» – faccia male all’uomo lo dice la scienza medica. Che la soluzione del problema della droga non sia la legalizzazione non solo in termini di diritto, ma anche di fatto lo dicono oltre al diritto anche le statistiche su reati e criminalità, provenienti dalle nazioni in cui le cosiddette droghe leggere sono state liberalizzate. Tuttavia, il discorso sulla droga non è solamente di natura medica e giuridica, ma anche – e direi principalmente – di natura culturale.

È, infatti, con la rivoluzione antropologica del ’68 che tali sostanze vedono una diffusione piuttosto massiccia. La droga, in seno alla rivoluzione culturale, diventa uno strumento indispensabile per realizzare una visione dell’uomo alternativa a quella della tradizione classica e cristiana. Per realizzare il progetto rivoluzionario non basta semplicemente l’indottrinamento ideologico, la critica alla morale naturale e cristiana, la liberalizzazione sessuale, ma occorre che l’uomo sia “ribaltato” nel suo ordine interiore. Non deve essere più la ragione a guidare la volontà e i sentimenti, bensì questa deve cedere il posto agli istinti umani. Richard Neville (1941 – 2016),  che figura tra i fondatori del megazine di cultura hippie Oz, scriveva che grazie alla droga gli uomini sarebbero diventati «capaci di sgusciare dalla camicia di forza della logica aristotelica» (Richard Neville, Play power, trad. it., Milano Libri, Milano 1971, p. 237).

La droga, quindi, è proprio ciò che permette, grazie all’espediente chimico, di alterare il rapporto ordinato tra ragione, volontà e sentimenti e finalmente superare la millenaria impostazione – che fu scoperta e descritta per primo da Aristotele – secondo cui la ragione ha una struttura ben precisa, che – esplicitata nella logica – corrisponde ai principi di identità e non contraddizione. In altri termini, grazie alla ragione noi sappiamo distinguere e associare, possiamo affermare che A è uguale ad A e che allo stesso tempo che A è diverso da B.

Essendo così articolata, la ragione è l’ “organo” che conduce l’uomo a discernere verità ed errore, bene e male. Ma ciò è proprio quello che la rivoluzione antropologica deve distruggere ed ecco che così si rivela l’odio viscerale nei confronti di Aristotele da parte dei teorici della droga libera. Malgrado lo Stagirita, tale odio è in definitiva verso la natura dell’uomo così come essa è nella realtà, con un proprium che la differenzia da tutti gli altri esseri viventi. Ed è proprio quella caratteristica distintiva – la capacità di intendere e volere – che la droga va ad intaccare. Per assurdo, allora, si potrebbe affermare che anche se la droga non facesse male da un punto di vista biologico e anche se una sua liberalizzazione comportasse una riduzione dei crimini, essa resterebbe sempre un male in sé, perché, attraverso l’attacco letale all’intelligenza,  cancella tendenzialmente in maniera irreversibile l’umanità dell’uomo, il suo sapersi orientare nel mondo alla ricerca di una vita pienamente riuscita.

Se tale è il problema, si comprende come la lotta alla droga oltre a prevedere l’informazione medica e giuridica si esplicita nel campo della cultura, delle visioni del mondo, in cui si fronteggiano ordine naturale e cristiano da un lato e  rivoluzione antropologica – di cui la droga è elemento essenziale – dall’altro.

Davanti alla dittatura relativistica, che nega la stessa possibilità delle domande esistenziali, è necessario che – soprattutto i cosiddetti millennials – siano aiutati a scoprire il senso della vita, la bellezza del proprio essere dotati di ragione, facoltà che non elimina le emozioni ma le ordina in modo tale che la vita – nonostante le difficoltà – possa essere vissuta non nella tristezza e nella depressione, ma nella consapevolezza, che genera gioia, di essere stati voluti ed amati singolarmente e che la risposta a questo amore richiede una vita avventurosa che non annichila l’uomo, ma lo nobilita e lo esalta fino a giungere a toccare la pienezza del suo essere ed incontrare Dio, fonte del vero amore.

Venerdì, 8 marzo 2019

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