Lo schema usato in Francia e in Germania da parte della Chiesa di finanziare “commissioni indipendenti” per valutare i casi di pedofilia interni alla Chiesa stessa riscontrati negli ultimi 70/80 anni suona come una beffa e non funziona. I media del mondo aspettano la conferenza stampa di presentazione del risultato della commissione per attaccare la Chiesa, che così risulta essere il datore di lavoro del proprio carnefice. Un po’ troppo. Perché la Chiesa stessa non dovrebbe essere in grado di valutare i propri eventuali crimini e di condannarli? Qui c’è in gioco una questione di principio, quella di sottomettere il diritto della Chiesa a realtà statuali esterne, di fatto rinunciando a esercitare la propria sovranità.
E’ indubbio che di crimini si tratti, quando si parla di pedofilia. Ed è indubbio che uomini di Chiesa si siano macchiati di questo delitto abominevole, abusando della propria autorità nei confronti di giovani non in grado di valutare il pericolo a cui andavano incontro. Ma è altrettanto indubbio che la Chiesa ha reagito a questo male che è penetrato dentro il corpo di Cristo, in particolare a cominciare dal pontificato di Benedetto XVI.
E invece proprio il Papa emerito è oggi sulle prime pagine dei principali giornali come responsabile di non avere denunciato quattro casi di pedofilia nella diocesi di Monaco di Baviera che ha guidato dal 1977 al 1982. Senza riportare le prove, senza minimamente spiegare le ragioni fornite dallo stesso Papa emerito, affidate a 87 pagine.
E’ in corso una ripresa degli attacchi alla Chiesa come quelli avvenuti durante il pontificato di Benedetto XVI. Forse tutto questo è conseguenza degli ultimi interventi di Papa Francesco in tema di “valori permanenti” che la Chiesa sempre professerà senza se e senza ma. Forse si vuole minacciare indirettamente il Pontefice regnante attaccando l’emerito e addirittura arrivare a mettere in discussione il “sigillo o segreto confessionale”?
Nulla di nuovo sotto il sole, c’era da aspettarselo, c’è sempre da aspettarsi la persecuzione quando la Chiesa dice pubblicamente la verità sull’uomo.
Si tratta solo di esserne consapevoli, di reagire compatti, senza divisioni, senza paura, con il coraggio della verità, che alla fine rimane sempre la via più saggia e intelligente.
In quest’ottica pubblichiamo l’articolo di Matteo Matzuzzi sul Foglio di oggi 21 gennaio, che costituisce un primo approccio alla questione.
L’ultimo vile attacco a Ratzinger è sulla pedofilia: ha coperto quattro preti, stabilisce un rapporto indipendente. Le prove? Boh
di Matteo Matzuzzi
Annunciato come la grandine in pieno agosto, è stato presentato il rapporto indipendente sugli abusi del clero nella Chiesa di Monaco di Baviera. A stilare il documento, lo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, incaricato dalla diocesi stessa. I dati: in un periodo lunghissimo, dal 1945 al 2019, sarebbero stati accertati 497 abusi. Il metodo seguito è sempre lo stesso: colloqui e interviste. 235 gli abusatori, tra preti, diaconi e responsabili pastorali a vario titolo legati a parrocchie, oratori e strutture affini. Delle due ore di conferenza stampa, i media globali si sono naturalmente soffermati sulle responsabilità dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger (in diocesi dal 1977 al 1982): secondo i legali, il Papa oggi emerito avrebbe sottovalutato “quattro casi”, lasciando i responsabili degli abusi al loro posto. Ratzinger si è difeso con un’articolata memoria di 87 pagine in cui respinge ogni addebito, ma sembra – il dubbio è lecito visto che del rapporto si conoscono solo estratti sapientemente scelti – che nulla di quanto scritto da Benedetto XVI sia stato tenuto in considerazione. “Lui sostiene che non era a conoscenza di certi fatti, noi crediamo che non sia così”, hanno sentenziato gli estensori del dossier, chiudendo la discussione. Dall’eremo nei Giardini vaticani, dove il quasi 95enne Pontefice emerito si è ritirato dal 2013, si fa sapere che il rapporto non è stato ancora letto (consta di oltre mille pagine, dopotutto) e che quel che si può fare, per il momento, è ribadire la vicinanza alla vittime, come più volte Benedetto XVI ha fatto quando governava la Chiesa.
All’evento non era presente l’attuale arcivescovo, il cardinale Reinhard Marx – che ha espresso “vergogna” –, reo secondo l’accusa d’aver coperto due pedofili. Marx, però, fa meno notizia del vecchio Pontefice, anche se lo scorso giugno Francesco aveva respinto le sue dimissioni dalla guida diocesana presentate proprio per le defaillance mostrate nel contrastare la piaga della pedofilia. Marx, pochi mesi fa, aveva parlato di “catastrofe” e di “scacco sistemico” di una Chiesa giunta “a un punto morto”. L’arcidiocesi bavarese commenterà il rapporto solo tra sette giorni, dopo averlo studiato con la dovuta attenzione.
Il paradosso è che oggi a essere messo sul banco degli imputati è proprio Ratzinger, il Papa che per primo è intervenuto sul problema, e non solo con lettere e discorsi pubblici (che pure non sono mancati nel corso del pontificato). Benedetto XVI ha inasprito tutte le norme canoniche in tema di pedofilia, raddoppiando la prescrizione (da dieci anni a venti) e consentendo così di punire casi vecchi di decenni, anche quando per le leggi civili non erano più giudicabili. E’ il Papa che ha ridotto allo stato laicale i colpevoli in presenza di prove evidenti. Senza dimenticare che uno dei suoi primi atti appena eletto fu di punire Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, finito da tempo nel mirino della congregazione per la Dottrina della fede da lui guidata ma fin lì immune da provvedimenti vaticani. Atti concreti e probabilmente più efficaci degli show a favore di telecamere con vescovi e laici in cui si chiede coralmente “perdono” tra volute d’incenso e silenzi contriti.
Da “il Foglio” del 21 gennaio 2022 di Matteo Matzuzzi . Foto redazionale