Mons. Enrico Galbiati, Cristianità n. 90 (1982)
Dopo la tragica notizia dell’assassinio, per mano terroristica, del presidente eletto libanese Bashir Gemayel, il 16 settembre, a Milano, nella chiesa di San Sepolcro, per iniziativa della comunità cristiano-maronita milanese e del Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi, è stata celebrata una messa in suffragio delle vittime del nefando attentato da mons. Enrico Galbiati, dottore della Biblioteca Ambrosiana, e da padre Mircea Clinet, archimandrita greco-cattolico. Nel corso della cerimonia, mons. Galbiati ha pronunciato una orazione funebre, il cui testo riportiamo integralmente.
Per le vittime dell’attentato del 14 settembre
Bashir Gemayel: «un figlio devoto della Chiesa»
O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni […]; hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo […]; hanno versato il loro sangue come acqua […]. Siamo divenuti l’obbrobrio dei nostri vicini, scherno e ludibrio di chi ci sta intorno» (Sal. 78, 1-4).
Con queste parole del salmo ci sembra di poter interpretare lo smarrimento dei cristiani libanesi accorsi attorno alle rovine fumanti dell’edificio che, fatto esplodere da un vile attentato, aveva travolto, col nuovo presidente eletto, i suoi uomini migliori e la speranza di una non lontana rinascita nazionale. E noi, in questa sinossi liturgica in memoria di quei morti, condividiamo il dolore, lo smarrimento, di questi nostri fratelli che ci sono particolarmente cari. È da sette anni che la guerra semina stragi tra le popolazioni del Libano. E i rimedi si sono dimostrati più dannosi del male, perché le truppe che dovevano mantenere l’ordine hanno più volte colpito le popolazioni cristiane, allo scopo di rendere loro impossibile la vita e costringerle ad abbandonare la loro patria. È solo di un anno fa il bombardamento della città cristiana di Zahle, nella Beqaa, e del quartiere cristiano di Beirut.
Ed ora, quando sembravano per finire i tormenti delle occupazioni straniere, quando la speranza di giorni migliori stava timidamente accendendosi nei cuori dei maroniti e di tutti i veri libanesi e anche di noi loro amici, speranza fondata sulla personalità del presidente eletto, ecco che tutto crolla e viene distrutto nel rogo acceso da un odio tanto implacabile quanto stolto.
Si ripete ora il lamento dell’antico popolo di Dio: «Colui che era il nostro respiro, l’eletto del Signore, è caduto nelle loro insidie, lui di cui dicevamo: alla sua ombra vivremo fra le nazioni» (Lam. 4,20). Perché il presidente eletto, guerriero per la causa cristiana fin dall’età di undici anni nella milizia fondata da suo padre, era un uomo universalmente stimato, sia pure con molti nemici, ed un uomo sinceramente attaccato alla fede cristiana. Poche ore prima dell’attentato mortale aveva ripetuto al nunzio apostolico di sentirsi «un figlio devoto della Chiesa». Il suo ideale era la ricostituzione dell’unità e dell’indipendenza del Libano, mediante la riconciliazione delle fazioni contrarie e la convivenza pacifica dei diversi gruppi religiosi, che in Oriente sono anche raggruppamenti nazionali. Per questo i veri libanesi potevano ripetere le parole bibliche: «alla sua ombra vivremo fra le nazioni».
Ora quest’ombra non esiste più. L’albero vigoroso nella sua giovinezza è stato schiantato, non da un fuoco venuto dal cielo, ma dalla forza infernale dell’odio.
Noi siamo qui a pregare per lui. Per il suo riposo eterno dopo tante vicissitudini, perché gli siano perdonate quelle durezze che sembrano inevitabili nella vita militare, a cui si sentì obbligato per la difesa della sua nazione. Perché egli ottenga il premio per aver affrontato tante volte la morte in difesa di una causa santa.
E insieme raccomandiamo al Signore le altre vittime con lui travolte nel rogo spaventoso. Sono vissuti per mesi in un inferno, hanno già sofferto il loro purgatorio; non tardi più oltre l’ingresso nell’eterna luce. E ritorniamo al popolo smarrito del Libano, smarrito e giustamente spaventato di fronte all’avvenire che torna a essere minaccioso.
Anche per loro e insieme con loro preghiamo, ripetendo le accorate parole del salmista: «Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda, non dimenticare la vita dei tuoi poveri» (Sal. 73,19); «Rialzaci, Signore, Nostro Dio, fa splendere il tuo volto, e noi saremo salvi» (Sal. 79,4).