L’attentato a Salman Rushdie svela, se ve ne fosse ancora bisogno, l’odio per l’occidente della cancel culture e chiarisce qual è la posta in gioco: la libertà.
di Domenico Airoma
Ho atteso che passasse qualche giorno dall’attentato islamista nei confronti di Salman Rushdie, nella speranza che si levasse un coro di condanne dal fronte libertario, ma senza esito. Neanche una Greta che protesti o, chessò, un calciatore che si inginocchi: nulla di nulla. Pacifisti, praidisti ed arcobalenisti tacciono. Capisco ferragosto e la ricerca di un seggio sicuro per le prossime elezioni, ma neppure un politico che facesse seguire allo sdegno per la fiamma tricolore almeno un accenno di riprovazione per una mezzaluna rosso sangue.
La realtà è che non poteva andare diversamente, perché anche questo silenzio fa parte della cancel culture. Salman Rushdie è colpevole di intelligenza con il nemico: avendo osato criticare l’Islam, che l’Occidente avrebbe oppresso per secoli, egli è stato inserito fra i frutti velenosi della cultura occidentale, quella, appunto, che va cancellata. Non merita, perciò, solidarietà: in fin dei conti, se l’è cercata.
E non è neppure la prima volta che i sostenitori della cultura della cancellazione e della cancellazione della cultura mostrano di avere una concezione della libertà molto selettiva. La storia del movimento di liberazione dell’occidente dalla cultura occidentale è fatta di imbarazzanti strabismi. Robert Redeker ha ricordato (su Il Foglio del 17 agosto) come lo stesso filosofo francese Jean Paul Sartre non voleva parlare dei Gulag comunisti, individuandone la causa, lucidamente, nel fatto che “gli intellettuali si sono convinti dell’illegittimità storica dell’occidente, inconsciamente identificato con il Diavolo (…). Questo odio, che a volte assume i colori dell’anticapitalismo e dell’antisionismo, dell’antisemitismo, perverte anche l’ecologia. Ad esempio, noto in un libro di filosofia ecologista (…) di Michale Marder che l’odio antioccidentale è alla base del suo approccio”.
Tale odio è sempre stato il motore ed il collante di coloro che intendevano sopprimere non solo e non tanto la cultura, ma lo stesso uomo occidentale, in quanto figlio, seppur degenerato, di Atene, Roma e Gerusalemme. Quell’odio che faceva scrivere ad Antonio Gramsci che il socialismo era la religione che doveva ammazzare il cristianesimo e che crea ancora oggi difficoltà nel fare i conti con il comunismo, che viene guardato con simpatia, nonostante abbia fatto e continui a fare milioni di morti, proprio perché ascritto fra i nemici di quell’Occidente da demolire.
La posta in gioco, dunque, non sono alcuni versetti ritenuti blasfemi; qui si tratta di difendere la libertà e, prima ancora, gli spazi di libertà. Non una libertà da, da qualsiasi legge e limite, anche quelli scritti nel corpo stesso dell’uomo; ma una libertà per, una libertà che al fondo anche dell’atto di fede. Ed è su questa libertà che è stata costruita la cultura e la civiltà occidentali. Ed è di questa libertà che ha bisognola stessa nuova evangelizzazione, come condizione personale e sociale, pur se la Chiesa, essendo universale, non può identificarsi nell’Occidente. Auguri a Rushdie, dunque; ma anche a tutti quelli che avranno il coraggio di scrivere, con la loro vita, versetti di libertà.
Giovedì, 18 agosto 2022