Presso il comune di Tito (PZ), nei locali della biblioteca municipale “Lorenzo Ostuni”, è conservato il “Fondo Carlo Alianello”, costituito dall’archivio dello scrittore e da alcuni oggetti personali, donato dalla famiglia nel 2001. Nel 40° della morte pubblichiamo un ricordo del romanziere duosiciliano
di Mario Gallotta
Quarant’anni fa, il 1° aprile 1981, lasciava questo mondo Carlo Alianello, scrittore da molti incompreso e poco valorizzato perché non catalogabile secondo i correnti schemi ideologici e politici. Nato a Roma da una famiglia di origine lucana (il padre Antonio,ufficiale di artiglieria, era nato a Potenza e la madre, Luisa Salvia, era nata a Tito), Alianello discendeva, per parte di padre, da una famiglia fedele ai Borbone. Dal lato materno,invece, i suoi ascendenti erano nobili di stampo laico-liberale: il più noto è Ernesto Salvia, fratello della madre, che divenne anche Senatore del Regno d’Italia.
Dopo vari spostamenti, legati allo status del padre, militare del Regio Esercito, la famiglia si trasferì a Firenze (dove il giovane Carlo si iscrisse alla Congregazione Mariana dei Gesuiti) e poi a Roma, dove frequentò il Liceo-Ginnasio “Terenzio Mamiani”. Conseguita la maturità, pensò di seguire le orme del padre, ma il suo desiderio di intraprendere la carriera militare, in Marina, fu vanificato dalla grave miopia che lo affliggeva. Si iscrisse allora all’Università, conseguendo la laurea in Lettere per dedicarsi, poi, all’insegnamento nei licei di Rieti, Camerino e Roma, collaborando anche a quotidiani come il Corriere della Sera e Il Messaggero.
Concluse infine la sua carriera scolastica come ispettore centrale presso il Ministero della Pubblica Istruzione.
La sua opera letteraria più conosciuta è senza dubbio L’Alfiere, che narra le vicende di un giovane ufficiale borbonico il quale, per fedeltà al re e per senso elevato dell’onore militare, combatte contro i garibaldini e poi segue il sovrano fino a Gaeta, dove Francesco II, Maria Sofia e i militari che non erano saliti sul carro dei vincitori difesero eroicamente, contro la soverchiante superiorità dell’esercito italiano, l’ultimo lembo del Regno delle Due Sicilie.
Pubblicato in piena Seconda guerra mondiale da Einaudi nel 1942, L’Alfiere non incontrò un clima favorevole, vista l’esaltazione del Risorgimento da parte del fascismo, ma non entusiasmò neppure gli oppositori del regime, i quali non erano certo favorevoli ad una rivalutazione, in chiave tradizionalista, dei Borbone e del Cattolicesimo.
Secondo alcuni, molti combattenti della Repubblica Sociale Italiana l’avrebbero considerato quasi un livre de chevet nel quale vedevano rispecchiate le loro vicende («L’Italia che tiene fede alla parola data…») di estremi difensori di un ordine prossimo alla sconfitta. Ma dubitiamo che ciò sia avvenuto, sia perché i tempi erano poco propizi alla lettura e alla meditazione, sia perché la RSI esaltava Mazzini, Garibaldi e il repubblicanesimo rivoluzionario.
Fra i pochi francobolli emessi dalla RSI – tanto per esemplificare – vi è una serie dedicata ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, che si proponevano di sollevare la popolazione del Sud contro i Borbone.
Com’è noto, la spedizione dei due fratelli – mazziniani,massoni e disertori della Marina da guerra austro-ungarica – ebbe un esito fallimentare ed entrambi furono fucilati nel Vallone di Rovito, alle porte di Cosenza, il 25 luglio del 1844.
Nel dopoguerra L’Alfiere conobbe un inaspettato successo, soprattutto grazie alla trasposizione televisiva del romanzo. La quasi neonata RAI-TV trasmise infatti, nel 1956, in sei puntate, per la regia di Anton Giulio Majano, uno sceneggiato dal titolo omonimo. Fra gli attori che contribuirono al successo dello sceneggiato ricordiamo Emma Danieli, Ubaldo Lay, Ilaria Occhini, Ivo Garrani, Aroldo Tieri, Monica Vitti, Achille Millo e Carlo Giuffrè.
Il successo ebbe ripercussioni durature anche sul piano editoriale, poiché L’Alfiere è stato ripubblicato da vari editori fino ai giorni nostri.
Da segnalare l’edizione del 1974, con prefazione di Fausto Gianfranceschi, secondo cui Alianello è «uno scrittore di ispirazione cattolica per il quale il principio di selezione etica trascende il calcolo del successo storico: gli uomini debbono svolgere il ruolo assegnato ad essi dal destino anche se è contro la Storia, perché giudice è Dio e non la Storia (cioè il divenire umano)».
Proprio dal romanzo di Alianello nacque, nel 1960, mentre imperversavano le celebrazioni per il centenario della spedizione “dei Mille”, l’idea di dare vita ad una voce dissonante: per iniziativa di Silvio Vitale (cfr. Cristianità, n. 329/2005) vide la luce L’Alfiere-Pubblicazione Napoletana Tradizionalista, che si ispirava con orgoglio al Regno delle Due Sicilie.
A L’Alfiere fecero seguito, sulla stessa linea, Soldati del Re (che ottenne il Premio Valdagno-Marzotto nel 1952), costituito da una serie di tre racconti intrecciati tra di loro ed ambientati a Napoli in una giornata dei moti del 1848 e, infine, a completare un ideale trittico, L’eredità della priora (pubblicato nel 1963 e Premio Selezione Campiello), che sotto la forma del romanzo storico è un vero e proprio atto di accusa nei confronti della spietata repressione del cosiddetto “brigantaggio”, attuata con estrema violenza nel Meridione da parte del neonato esercito unitario.
Meritevole di nota, a nostro avviso, è anche L’Inghippo (edito da Rusconi nel 1973), romanzo ambientato a Roma fra il 1894 e il 1896, che descrive efficacemente il clima dell’epoca. Nella trama riemergono le vicende politiche di quel periodo, caratterizzate da scontri ideologici, sociali e culturali, a cui fa da sottofondo il potere emergente della massoneria.
Non manca peraltro, nel romanzo citato, l’aspetto spirituale, laddove Alianello illustra la missione della Chiesa: «Il prete amministra i sacramenti per tutti, richiama il Signore nella Sacra Mensa per tutti, ricchi o poveri, insegna, predica e indirizza tutti, gente di ogni colore, di ogni nazione, di ogni stato sociale, alla conquista del Regno dei Cieli, alla salvezza eterna. Non c’è un compito più alto e più vasto in tutta la società degli uomini, di quello che apre loro l’eternità, che dà la chiave della felicità, che riscatta l’umano genere da ogni piaga e da ogni delitto».
L’opera più dirompente e contestata di Alianello rimane tuttavia La Conquista del Sud, un saggio storico pubblicato da Rusconi nel 1972, più volte riedito, in cui Alianello ricostruisce l’occupazione militare del Meridione da parte dei “piemontesi”, illustrando la brutalità dimostrata da un esercito che non risparmiò alla popolazione del Sud stragi, distruzioni e deportazioni taciute dalla storia “ufficiale”.
«Pro Deo, aris et focis» potrebbe essere il motto che riassume gli ideali di Carlo Alianello, uomo e scrittore sorretto fino all’ultimo da una profonda fede cattolica, poco amato, in fondo, sia da una destra restia a svincolarsi dai miti risorgimentali che da una sinistra interessata agli aspetti di denuncia contro la borghesia capitalistica post-unitaria, ma pronta a interrompere il “flirt” non appena si accorgeva dei valori che stavano alla base di tale denuncia.
A riguardo vale la pena di rileggere una pagina poco nota, che si trova in un’opera minore di Carlo Alianello, Lo scrittore o della solitudine, pubblicata nel 1970 dalle Edizioni Paoline. Ricordando il suo ingresso a Firenze, in un collegio dedicato alla Madonna, Alianello così si esprime: «Nella cerimonia d’ammissione io mi son votato a Lei, come, secondo la vecchia formulazione feudale, cavaliere a Dama e Signora. Ho giurato e, se non ho sempre mantenuto il mio giuramento, non fu mai per infedeltà, ma per debolezza, così come quando il cavaliere si alleggeriva talvolta di corazza, giaco e morione; l’armatura di ferro è dura a portarsi, dura milizia è la vita degli uomini. Per quella fede donata, quel prestato giuramento non l’ho scordato né lo dimenticherò mai per l’onore della mia Dama, neppure quando non vi saranno più né luoghi né tempi per correr quintane e nessun infedele porterà più colori avversi contro il suo azzurro manto. Resterà un nome solo, un tempo incommensurabile, un unico confine senza limiti né misure: l’eternità, dico, nel nome di Dio».
Giovedì, 29 aprile 2021