di Daniele Fazio
Il cristiano, liberato dal peccato e sostenuto nelle varie tappe della vita dalla grazia, comunicata attraverso i sacramenti ed in particolare nutrito dall’Eucaristia sa che ha un fine ultimo da raggiungere. Se per ogni altro uomo questa spinta è verso la felicità, tale meta per il cristiano consiste nel raggiungimento della beatitudine eterna, la vita con Dio.
Il Catechismo nella sua terza parte (CCC nn. 1691-2557), dunque, si occupa proprio di presentare il fine ultimo dell’uomo, a partire dalla sua intima natura di essere creato a immagine e somiglianza di Dio e salvato dal sacrificio di Cristo, grazie al quale può sperimentare la gioia di sentirsi figlio del Padre.
Ma come raggiungere questo fine? Esso si consegue attraverso un agire retto e allo stesso tempo libero, che ha bisogno di essere orientato dalla Legge e sostenuto dalla grazia di Dio. Non è altresì neanche un cammino solitario, ma implica – a partire della socialità della persona – un orizzonte comunitario e la costruzione di ambienti che favoriscano questo cammino verso Dio.
L’ostacolo principale in questo itinerario è il peccato, che è un’offesa all’amore di Dio, ma allo stesso tempo si configura come una mancanza contro la ragione, la verità e la retta coscienza. Quindi ferisce la natura dell’uomo e il suo rapporto con gli altri. Si compone altresì di parole, atti, desideri contrari alla legge eterna.
Dunque, se il peccato ferisce il felice ritorno dell’uomo a Dio, la legge morale e la grazia diventano quei veicoli sicuri che sostengono l’uomo nel cammino verso la salvezza. L’uomo rintraccia questa legge nella sua natura razionale, la medita negli insegnamenti della Sacra Scrittura, ne contempla la sua illustrazione più vera nell’esempio di Gesù Cristo, tanto che possiamo dire che vivere la morale cristiana significa sforzarsi di imitare il Maestro e Salvatore, che non ha abolito la legge ma ne ha dato compimento. Da Dio viene anche il mezzo, ossia la grazia, per poter vivere tale legge nella quotidianità, venendo potentemente liberati dal peccato e aiutati ad essere perfetti come il Padre, ossia santi.
Tale legge trova la sua più concreta e facile esplicitazione nelle dieci parole di vita, che sono racchiuse nel Decalogo, ossia nei Dieci Comandamenti. Questi nel Catechismo vengono spiegati singolarmente e messi in connessione con la sintesi più sublime che il Signore ci ha dato nel duplice comandamento dell’amore e nelle beatitudini. Scriveva il Cardinale Joseph Ratzinger: «il Discorso della Montagna, i doni dello Spirito Santo, la dottrina della virtù offrono il contesto per una lettura corretta dei comandamenti» (Joseph Ratzinger e Christoph Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, trad. it., Città Nuova, Roma 2005, pp. 32-33).
Così come l’uomo è un essere sociale, anche la legge morale dei Comandamenti ha una dimensione sociale che sta alla base della Dottrina sociale della Chiesa. Essa trova le proprie linee essenziali negli aspetti comunitari dei Dieci Comandamenti, che saranno illustrati in un successivo articolo.
La morale cristiana è una grande luce per la vita personale e comunitaria dell’uomo. Essa permette alla coscienza di ognuno di poter contemplare la verità oggettiva e quindi orientare le azioni secondo una retta finalità che è il raggiungimento del bene sommo, ossia la salvezza. Tale impianto non scade nell’individualismo perché non disdegna il raggiungimento del bene materiale della persona e del bene comune delle nazioni anche nella storia.
La Chiesa, infine, è madre e maestra non solo per quanto riguarda gli elementi della professione di fede, ma anche per quanto concerne la morale che è un aspetto fondamentale della verità sull’uomo. Non solo, ma attraverso la Chiesa l’uomo riceve la grazia che gli permette di imitare Gesù Cristo, ossia vivere la vita di Cristo nelle situazioni concrete della propria esistenza e quindi esercitarsi attraverso le virtù a combattere il male e ordinare se stesso e la storia secondo Dio.
Giovedì, 18 giugno 2020