E’ quanto accaduto ad Alleanza Cattolica ed al “Comitato Difendiamo i nostri figli” a Capaci.
Cosa è stato censurato? Un convegno dal titolo “Contrappunti di bioetica”.
Quale doveva essere l’oggetto dell’incontro? Una “conversazione” sulla proposta di legge Zan e sulla pillola RU486.
Perché non si è potuto tenere la conversazione? Perché –così si legge nel provvedimento del Comune di Capaci- “la richiesta è stata presentata con un lasso di tempo troppo ravvicinato rispetto alla data di svolgimento dell’evento”. Ma soprattutto perché “l’evento appare in contrasto con la Carta Europea per l’uguaglianza e la parità delle donne e degli uomini nella vita locale”, documento al quale il predetto Comune ha aderito “impegnandosi a garantire il diritto delle donne di essere ascoltate prima che venga presa qualsiasi decisione o vengano trattati temi che possano avere incidenza negativa sulla società”.
Quale, in definitiva, la colpa degli organizzatori? “Dalla scaletta dell’evento –sentenzia il Comune- si evince che, sebbene l’oggetto del dibattito riguardi la salute e il corpo della donna, la figura femminile compare solo marginalmente nel ruolo della moderatrice” (Due donne, peraltro).
Quale la sanzione? “Rimodulare la richiesta tenuto conto delle motivazioni indicate”. Il tutto (excusatio non petita?), “nel voler sostenere la libertà di espressione”.
Qualche considerazione si impone.
Innanzitutto, la sanzione manifesta come la vera motivazione a sostegno del rigetto siano gli argomenti e i protagonisti della conversazione; viene imposta, infatti, la rimodulazione della richiesta e non viene neppure indicato quale lasso di tempo sarebbe necessario al Comune per predisporre gli spazi in tempo utile.
Il richiamo, poi, alla Carta Europea, elaborata dal Consiglio dei Comuni e dei Regioni d’Europa del 2006, risulta, a dire il meno, forzato. Sia perché, come è evidente, si trattava di una conversazione e non di un consesso pubblico chiamato a prendere decisioni; e sia perché l’art. 7 della Carta invita, testualmente, a rispettare “il diritto di essere ascoltate/i prima che venga presa qualsiasi decisione che li riguardi e che possa avere un’incidenza negativa”, sempre riferendosi all’ “Amministrazione” (così recita il titolo dell’art. 7) . L’incidenza “sulla società” è, dunque, un profilo del tutto estraneo al testo della Carta e l’aggiunta –made by Comune di Capaci- sembra, invece, smascherare l’intenzione censoria degli estensori del provvedimento.
Come può dirsi, infatti, compatibile con la libertà di espressione che si dice di voler sostenere, la pretesa di misurare l’incidenza negativa sulla società sulla base del numero (quale?) di donne chiamate a intervenire? E se, come nel convegno in questione, i temi riguardano sia donne che uomini, quale deve essere la percentuale gradita ai censori? E nello stabilire le percentuali, si deve tener conto di chi, pur avendo un corpo di donna, si sente uomo ( e viceversa)?
La realtà è che a Capaci è stato impedito di conversare liberamente di questioni che incidono e senza dubbio negativamente sulla vita e sulla libertà di tutti, senza distinzione di sesso.
E tutto questo è avvenuto ancor prima che sia stata approvata una proposta di legge come quella cosiddetta “Zan” che, a detta di una percentuale sicuramente non trascurabile di giuristi (donne e uomini), è pericolosamente liberticida.
Per il momento, dunque, prendiamo atto che siamo stati censurati. Domani –Dio non voglia- potremmo essere denunciati e arrestati. Colpevoli di essere Contrappunti di libertà.
Sabato, 26 settembre 2020