CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Tra Leghe e nazionalismi.
«Religione civile» e nuovi simboli politici, a cura di Massimo Introvigne, Effedieffe, Milano 1993, pp. 152, L. 18.000
Il 14 gennaio 1992, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, il CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, ha tenuto un seminario sul tema «Religione civile» e nuovi simboli politici, inteso a tracciare un bilancio di venticinque anni di applicazione della categoria «religione civile», proposta nel significato che ha assunto nella sociologia contemporanea — infatti l’espressione risale a Jean-Jacques Rousseau — dallo studioso americano Robert N. Bellah in un articolo, Civil Religion in America, apparso nel 1967 sulla rivista Daedalus (vol. 96, n. 1, pp. 1-21) (cfr. «Religione civile» e nuovi simboli politici, in Cristianità, anno XX, n. 203, marzo 1992). Le relazioni, ampiamente rielaborate, sono raccolte nel volume Tra Leghe e nazionalismi. «Religione civile» e nuovi simboli politici.
Come illustra nell’Introduzione (pp. 9-17) l’avvocato Michele Vietti, già membro della Commissione Cultura del Comune di Torino, la «religione civile» — così come i sociologi la intendono — è certamente molto diversa dalla consueta «religione “religiosa”», ma appartiene al mondo delle credenze e degli atteggiamenti «religiosi», intesi in senso lato, che caratterizzano l’uomo moderno e, in questo senso, fa parte della «nuova religiosità» contemporanea, che è oggetto dell’interesse e degli studi del CESNUR. Quella che qualcuno ha chiamato «religione diffusa» oggi carica di significati «religiosi» anche alcuni aspetti della politica. Il concetto di «religione civile», così, «[…] è stato utilizzato per descrivere l’uso di simboli che assomigliano molto ai simboli religiosi da parte di forze politiche per raccogliere il consenso» (p. 12) e anche, in tono più polemico, per designare «[…] una sorta di usurpazione in favore della politica di atteggiamenti e di simboli che dovrebbero essere riservati alla religione “religiosa”, alla sfera della religione propriamente detta» (p. 13).
Così intesa, la «religione civile» non è un fenomeno che riguarda soltanto gli Stati Uniti d’America. La dottoressa Elisabeth Peter, del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti, nel suo contributo su Religione civile e religione «religiosa» (pp. 19-34) fa cenno a un caso storico — la Francia dell’epoca rivoluzionaria — e discute quattro esempi contemporanei: gli Stati Uniti d’America, la Svezia, la Russia e il Giappone. Se negli Stati Uniti d’America — a partire appunto dagli studi di Robert N. Bellah — l’espressione «religione civile» indica un minimo comune denominatore che dovrebbe unire persone di fedi religiose diverse e insieme promuovere una mitologia «[..] che fa degli Stati Uniti una specie di “nuovo Israele”, un popolo eletto, la cui sorte è guidata da una non meglio definita provvidenza» (p. 24), in Svezia — un paese caratterizzato da una grave crisi della comunità religiosa maggioritaria, quella luterana, che è «[…] diventata un semplice ente statale, con funzioni anagrafiche e folcloristiche […] lontanissima dall’essere comunità di credenti e assolutamente incapace di dare una risposta alle più profonde questioni dell’esistenza» (pp. 27-28) — la «religione civile» è diventata culto dello Stato assistenziale che pensa a tutto, «dalla culla alla bara». Anche se non mancano segni di un’inversione di tendenza, per molti anni un certo tipo di svedese ha investito di una valenza religiosa «[…] lo Stato impersonale — e questo perché non conosce più il Dio personale, annunciato dalla Chiesa» (p. 30). In Russia, dopo la fine del comunismo, «[…] è troppo presto per affermare che assistiamo […] alla nascita di una religione civile destinata a prendere il posto dell’ideologia atea ormai completamente screditata, ma non possiamo neanche escludere un processo di questo genere» (p. 31), specie se si osserva, in certi movimenti, la nascita di forme di nazionalismo che si presentano come possibile «fonte di un “credo” immanentista» (ibidem). In Giappone, infine, si può parlare di una religione «insieme civile e “religiosa”» (p. 32) se si guarda al ruolo politico svolto dal cosiddetto shintoismo di Stato. Tutti questi fenomeni sono guardati dalla Chiesa cattolica, in particolare dalla Santa Sede — conclude la dottoressa Elisabeth Peter — con interesse, perché manifestano, a modo loro, la tendenza dell’uomo contemporaneo, nonostante gli sforzi del secolarismo, «[…] a superare se stesso e a trovare per la propria esistenza un senso trascendente» (p. 33), ma anche con preoccupazione perché troppo spesso la religione civile «[…] ignora la religione “religiosa”» (p. 34) e «[…] sacralizza valori profani» (ibidem).
Benjamin Beit-Hallahmi, professore di Psicologia della Religione nell’Università di Haifa, in Israele, discute — alla luce degli studi sulla religione civile — il rapporto fra la religione e i partiti politici israeliani (pp. 35-55). L’analisi, di grande rilievo per comprendere anche gli avvenimenti politici del Medio Oriente, prende le mosse dal conflitto storico fra sionismo ed ebraismo ortodosso. Il sionismo, che è alle origini dello Stato di Israele, è stato originariamente promosso da esponenti largamente secolarizzati della comunità ebraica internazionale, guardati con sospetto dagli ebrei più religiosi, così che la «[…] creazione di un sionismo politico laico comportò una seria sfida all’ortodossia ebraica» (p. 44). A partire dalla guerra del 1967 si è sviluppata tuttavia in Israele la cosiddetta «ebraizzazione»: un fenomeno insieme di nazionalismo e di riscoperta dell’identità ebraica tradizionale. Da una parte, per la prima volta, è nato un «sionismo religioso»; dall’altra hanno acquistato consensi — ma non potere politico, anzi il loro potere rimane scarso — i cosiddetti «partiti “religiosi”». Ma questo processo si configura più come creazione di una religione civile specificamente israeliana che come autentico ricupero dell’ebraismo tradizionale. Citando il sociologo C. S. Liebman, Benjamin Beit-Hallahmi osserva che, «[…] mentre i simboli religiosi giocano un ruolo di crescente importanza nella vita pubblica o collettiva israeliana, […] non ci sono prove […] che il livello di osservanza religiosa sia cresciuto» (p. 54). Del resto oggi nella politica israeliana fra i leader più eminenti «[…] nessuno frequenta i servizi delle sinagoghe» (p. 51) e «di tutti i primi ministri israeliani a partire dal 1948 […] solo […] Begin ha frequentato i servizi religiosi delle sinagoghe al di fuori dei doveri ufficiali» (ibidem). In Israele, infine, resta vigoroso anche un nazionalismo laico. Per esempio, un popolare giornalista israeliano ha potuto scrivere su un quotidiano: «[…] Dio non esiste. L’Olocausto è la prova scientifica di questo assunto. L’Olocausto ne è anche una prova teologica. L’Olocausto è il modo con cui Dio ha punito coloro che insistevano a credere in Lui» (pp. 49-50). «Questa dichiarazione, pubblicata su uno dei principali quotidiani di Tel Aviv — osserva Benjamin Beit-Hallahmi —, non potrebbe essere pubblicata sulla maggioranza dei quotidiani in Europa o negli Stati Uniti. È interessante notare che il giornalista in questione è da una parte un acceso nazionalista, dall’altra il nipote di un rabbino capo di Israele degli anni 1950» (p. 50).
Alla religione civile in Italia è dedicato un ampio contributo di Massimo Introvigne (pp. 57-109), che è anche il curatore del volume. In questo studio viene anzitutto ripercorsa la storia della categoria di religione civile nella sociologia statunitense (pp. 57-71), identificando quattro caratteristiche fondamentali di questo minimo comune denominatore che dovrebbe assicurare l’unità degli americani, pure divisi fra religioni «religiose» diverse: l’appello alla morale, l’esaltazione dell’imprenditore privato onesto, l’idea di una speciale missione degli Stati Uniti d’America e la designazione di avversari, peraltro variabili nel tempo. Nella seconda parte del saggio (pp. 71-85) l’autore esamina le ipotesi di applicazione della categoria di religione civile all’Italia — applicazione tentata dallo stesso Robert N. Bellah —, identificando nel tentativo di creare una mitologia risorgimentale, nel fascismo e nel socialismo popolare, i momenti della nostra storia politica che hanno qualcosa in comune con la religione civile così come viene intesa nel dibattito sociologico americano, mentre la Democrazia Cristiana ha piuttosto cercato di utilizzare a suo vantaggio la religione «religiosa», e il comunismo si è presentato come «religione politica», fenomeno tipico del totalitarismo — nei termini di Eric Voegelin — diverso dalla «religione civile» che aspira invece a creare consenso in un contesto di democrazia. Nella terza parte (pp. 85-109), Massimo Introvigne avanza l’ipotesi che la categoria della religione civile possa essere utile per intendere alcuni aspetti del linguaggio, dei simboli e anche dei programmi della Lega Lombarda e della Lega Nord. Se si accettasse questa ipotesi si dovrebbe leggere la Lega non come un semplice fenomeno di protesta, o come rispecchiamento delle disfunzioni del sistema italiano, ma come tentativo di creare un nuovo sentimento di appartenenza intorno a una tradizione nazionale — o piuttosto macroregionale, «padano-alpina» —, che non è tuttavia la tradizione cattolica, ma un insieme di valori — l’onestà, la vocazione nazionale o regionale, la laboriosità, la lotta contro un avversario demonizzato — che assomigliano molto al «minimo comune denominatore» proposto dalla religione civile negli Stati Uniti d’America. Questo appello — in gran parte generico — costituisce, secondo l’autore, la «forza» della Lega, ma anche la sua potenziale «debolezza», perché la Lega si trova maggiormente in difficoltà quando dai grandi valori generali deve scendere a prendere posizione su temi più specifici come l’aborto o la droga, e — su questi terreni come su altri — deve situarsi, rischiando così un conflitto con la religione «religiosa», il che significa — in Italia — con la Chiesa cattolica che «[…] vede tradizionalmente con sospetto i “fondi comuni” e i “minimi comuni denominatori” religiosi e sociali» (pp. 105-106). Circa la possibilità di un simile conflitto, di esso vi è traccia, del resto, in reiterate dichiarazioni del sen. Umberto Bossi secondo cui, se il «Vaticano» si opporrà alla Lega, «[…] allora noi potremmo suggerire a tanti cittadini del Nord Italia di non guardare più a Roma, nemmeno per la religione. Ma di guardare alla vicina Germania, alla Svizzera, ai civilissimi Paesi protestanti che credono in Dio e in Gesù Cristo ma non riconoscono l’autorità del Papato» (p. 108).
Ma a «quale tradizione» fa riferimento, esattamente, la Lega Nord? Questo problema è discusso nel contributo di don Luigi Berzano, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, ora docente di Sociologia della Religione presso lo stesso ateneo (pp. 111-148). Don Luigi Berzano passa in rassegna, anzitutto, le varie interpretazioni che la sociologia italiana ha proposto del fenomeno Lega — qualunquismo, difesa del benessere di alcune regioni, costruzione di una nuova identità subculturale regionale, bisogno di nuove identità collettive e di appartenenza territoriale —, mostrando che sono soltanto parzialmente adeguate (pp. 111-119) e che un’ipotesi interpretativa che tenga conto del concetto di religione civile può rendere ragione di una serie di fenomeni che le altre ipotesi spiegano con maggiore difficoltà (pp. 119-125). Secondo l’autore il concetto di religione civile deve essere però affiancato, per analizzare la Lega, a quello di «invenzione della tradizione» proposto dal sociologo inglese Eric Hobsbawn. Una forza politica che intenda attingere alle riserve del «sacro secolare» ha bisogno di simboli; ma, in una società pluralista, troverà più facile aggregare consenso riferendosi non a una tradizione storicamente data, spesso non condivisa dall’intero arco delle forze sociali — come avviene in Italia per la tradizione cattolica —, quanto piuttosto «inventando» una tradizione (pp. 126-140). La «tradizione inventata» (p. 127) si esprime in una serie di simboli che operano a livello statale, sociale e personale e di cui viene data per scontata una «continuità col passato» (ibidem) che in realtà non esiste. Il giuramento di Pontida, il Carroccio, Alberto da Giussano non sono riproposti dalla Lega sulla base di un’analisi filologica che possa essere condivisa dagli storici, ma — con un’operazione tipica del Romanticismo — come punti di riferimento mitici, con una «[…] sorta di ingegneria culturale fatta di richiami e distorsioni del passato anche remoto in funzione del presente» (p. 128). D’altro canto, è proprio la società moderna che «[..] ha imposto a tutti i movimenti nuovi di inventarsi un loro passato, delle radici antiche, dei luoghi della memoria.
«Per un movimento politico di massa la costruzione di una memoria collettiva può risultare un’esigenza prioritaria per vincere le differenze, controbilanciare il mosaico delle posizioni diverse» (pp. 128-129). Infine, don Luigi Berzano si chiede perché «[…] alcuni elementi della politica tendono oggi di nuovo a ritualizzarsi» (p. 140), e risponde che anche la religione civile è a suo modo una componente della nuova religiosità contemporanea, che si sviluppa in un momento di difficoltà delle religioni «religiose» (pp. 140-145). Infine, l’autore si interroga sul «futuro delle Leghe» e prevede ulteriori successi accompagnati tuttavia da difficoltà, perché la situazione di «stato nascente» e di entusiamo delle origini non potrà durare indefinitamente: anche la Lega Nord sarà coinvolta «[…] ben presto dai processi di istituzionalizzazione» (p. 145).
Vi è il rischio che questa ricerca del CESNUR sia considerata esclusivamente come un libro sulla Lega. Certamente — sia pure rimanendo a livello di ipotesi, come tali presentate — il testo apporta notevoli elementi per comprendere il successo delle Leghe in Italia. Del resto, benché l’opera non manchi di spunti dichiaratamente critici, il sen. Giuseppe Leoni, fondatore della Lega Lombarda con il sen. Umberto Bossi, a Torino, il 21 aprile 1993, in occasione di un incontro dibattito di presentazione del volume, lo ha pubblicamente definito «il testo che ha capito di più della Lega fra i tanti che ci sono stati dedicati» (cfr. La buona battaglia, in Cristianità, anno XXI, n. 118-119, giugno-luglio 1993). Tuttavia la ricerca che il CESNUR ha condotto non è nata esclusivamente dalla Lega, ma ha tratto spunto dalle discussioni in corso a livello internazionale sul concetto di religione civile e dal fatto che della religione civile si sia parlato come di una componente della nuova religiosità nei lavori del Progetto nuovi movimenti religiosi che la FIUC, la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, conduce su mandato di quattro dicasteri della Santa Sede. Proprio in occasione di uno degli incontri di tale progetto della FIUC nacque l’idea della ricerca, maturata poi nel convegno tenuto a Torino nel 1992 e nel volume del 1993. L’emergere di un «sacro secolare» e di simboli «quasi religiosi» nella vita sociale e politica di molti paesi — certamente non solo dell’Italia, anzi in questo quadro l’Italia non occupa neppure una posizione prioritaria — costituisce un fenomeno di grande interesse nell’epoca post-moderna e post-comunista, che si inserisce nel complesso quadro della nuova religiosità e che merita certamente di essere ulteriormente studiato da chi si interessa sia ai fenomeni religiosi, sia alla politica.