E’ certamente positivo che oggi l’Alta Corte inglese riconosca ai genitori di Charlie Gard quella possibilità di esprimersi che pareva loro irrevocabilmente negata. Quel che sorprende, tuttavia, di fronte alla motivazione del rinvio della decisione a giovedì, è la concezione quasi “proprietaria” che sembra emergere: l’oggetto del giudizio non è se l’ospedale nel quale Charlie è ricoverato debba o non debba proseguire le terapie – è evidente che non ritiene di farlo -, bensì se i genitori del piccolo abbiano il dovere e il diritto di tentare il possibile per salvarlo, in nome del favor vitae e ovunque vi sia la disponibilità. E se pure non si trovi alcuna terapia convincente, è inaccettabile che si autorizzi la sospensione del mantenimento vitale (idratazione, alimentazione e supporto respiratorio): esso non è nuova terapia sproporzionata e contraria all’attuale interesse del minore. La concezione “proprietaria” del minore che pare emergere da quanto accaduto finora è il riflesso più evidente di una mentalità eutanasica, diventata sistema: un elemento da tenere ben presente in Italia nella discussione in atto al Senato sulle dat, il cui testo pone i minori e gli incapaci nell’arbitrio delle strutture sanitarie e dei giudici. Quanto accade oggi a Londra rischia di essere il nostro futuro.
E’ quanto sostiene il Centro Studi Rosario Livatino, formato da magistrati, docenti universitari e avvocati.
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