MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 217 (1993)
I tragici avvenimenti che si sono verificati a Waco, in Texas, fra il 28 febbraio e il 19 aprile 1993, hanno riportato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo il problema dei nuovi movimenti religiosi, impropriamente chiamati “sette” o “culti” (1). Giacché — per dire il meno — la stampa internazionale, e quella italiana in particolare, si sono espresse sulla vicenda di Waco in modo gravemente impreciso, mi sembra opportuno intervenire brevemente sulle premesse, sui fatti e sulle interpretazioni.
1. Le premesse
a. I nuovi movimenti religiosi
Negli Stati Uniti sono attivi più di 1500 diversi nuovi movimenti religiosi (2). Le spiegazioni della loro proliferazione offerte dagli storici, dai sociologi e dagli psicologi della religione sono molteplici. Senza riassumere qui un dibattito estremamente articolato (3), sarà sufficiente sottolineare che non costituisce una spiegazione adeguata della nascita e del perdurare nel tempo dei nuovi movimenti religiosi la presunta “follia” dei capi e dei seguaci. Se si dà alla parola “follia” un senso tecnico riconoscibile dalla scienza psichiatrica non si può non concludere che la presenza di “folli” nei nuovi movimenti religiosi non è più alta che nella popolazione in generale, a meno di adottare un pregiudizio pseudo-scientifico di tipo positivistico e chiamare “folle” chiunque professi idee religiose considerate inaccettabili dal “mondo moderno” o dalla maggioranza sociale (4). Quanto alle relazioni fra i capi e gli adepti dei nuovi movimenti religiosi, i processi psico-sociali all’opera sono a loro volta complessi e la metafora del “lavaggio del cervello” non ne rende affatto ragione in modo adeguato. Applicata a movimenti religiosi la teoria del “lavaggio del cervello” è stata dichiarata, dopo un lungo studio, “non scientifica” dall’American Psychological Association, forse la più autorevole organizzazione professionale del mondo nel campo della psicologia e della psichiatria (5). Risolvere quindi tutti i problemi relativi alla tragedia di Waco parlando del “profeta pazzo” o dichiarando tranquillamente — ignorando tutte le critiche scientifiche che hanno demolito queste teorie — che “David Koresh aveva reclutato un numero imprecisato di giovani sottoponendoli poi al lavaggio del cervello” (6), non solo non aiuta a comprendere che cosa è successo a Waco ma contribuisce a diffondere nell’opinione pubblica stereotipi pseudo-scientifici e dannosi (7).
b. I movimenti anti-sette
La scena americana — e ormai anche quella europea — è pure caratterizzata dalla presenza di piccoli ma aggressivi movimenti “anti-sette” e “contro le sette”. Mentre i movimenti “contro le sette” denunciano le “sette” partendo da una prospettiva di carattere religioso, i movimenti “anti-sette” hanno un’impostazione laicista e attaccano le “sette” in quanto vivono la religione con un’intensità che sarebbe inaccettabile nel mondo moderno. Ultimamente, per i movimenti “anti-sette”, le “sette” sono nocive in quanto espressione di un “fanatismo religioso” che dovrebbe essere limitato, con apposite leggi, dallo Stato moderno, che dovrebbe fissare in modo rigoroso i limiti quantitativi entro i quali l’intensità dell’esperienza religiosa può essere tollerata. Molti movimenti “anti-sette” — anche se non tutti — favoriscono la cosiddetta “deprogrammazione”, una pratica — considerata illegale dalla maggioranza dei tribunali americani che hanno avuto occasione di occuparsene — che consiste nel rapire l’adepto maggiorenne di una “setta” — in genere su incarico dei genitori o di altri parenti — e nel tenerlo quindi rinchiuso contro la sua volontà in un luogo dove i “deprogrammatori” — che non sono medici né psichiatri, ma in genere ex-membri di “sette” che svolgono questa attività a scopo di lucro — lo “bombardano” con pressioni psicologiche — e spesso anche con violenze fisiche — finché il “deprogrammato” dichiara di essersi convinto ad abbandonare la “setta” (8). Mentre i movimenti “contro le sette” d’ispirazione protestante — se si eccettuano alcune dichiarazioni del professor Ronald M. Enroth — hanno mantenuto un profilo piuttosto basso sulla vicenda di Waco, i due maggiori movimenti “anti-sette” statunitense, il CAN, il Cult Awareness Network, “Rete di consapevolezza nei confronti delle sette”, e l’AFF, l’American Family Foundation, “Fondazione americana per la famiglia”, ne sono stati fra i maggiori protagonisti (9).
c. Il problema delle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America
La legislazione sulle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America è considerata fra le più liberali del mondo. La legge riconosce a ogni cittadino maggiorenne il diritto di portare armi senza bisogno di particolari autorizzazioni. Negli ultimi anni numerosi esponenti del Partito Democratico hanno proposto modifiche alla legislazione sul punto, ma queste proposte — avversate in genere dal Partito Repubblicano, che vi vede anche un tentativo di distruggere gruppi civili di difesa territoriale considerati di idee conservatrici — sono sempre state respinte. L’idea secondo cui la libertà di portare armi è una libertà fondamentale, che non può essere messa in discussione dallo Stato, sembra profondamente radicata nella psicologia sociale statunitense fin dai tempi della guerra d’Indipendenza e della Frontiera. Naturalmente non tutti i tipi di armi sono permessi ai privati: la legge vieta l’acquisto di diverse categorie di armi — per esempio le mitragliatrici — e punisce — sia pure in modo non particolarmente severo — la modifica di armi in libera vendita per trasformarle in armi più rapide o letali. Le violazioni alle leggi sulle armi sono combattute da un corpo speciale di pubblica sicurezza chiamato ATF, il Bureau of Alcohol Tobacco and Firearms, “Ufficio per l’alcool, il tabacco e le armi da fuoco”, paragonabile per certi versi alla Guardia di Finanza della Repubblica Italiana — si occupa infatti anche di contrabbando — e da non confondere né con le polizie locali né con la polizia federale, l’FBI, il Federal Bureau of Investigation, “Ufficio federale d’investigazione”. Come chi scrive sa anche per esperienza personale, numerosissimi gruppi religiosi statunitensi — come del resto i loro avversari dei movimenti “anti-sette” —, ritenendosi a torto o a ragione minacciati, fanno largo uso della facoltà di portare armi consentita dalla legge del paese.
d. I Branch Davidians
Un buon numero di nuovi movimenti religiosi americani — non tutti — è millenarista e attende la fine del mondo per una data prossima (10), e all’interno del filone millenarista una corrente d’importanza centrale è quella avventista, che trae origine dall’annuncio profetico di William Miller, un predicatore laico battista vissuto fra il 1782 e il 1849, che si conquistò enorme fama predicendo la fine del mondo prima per il 1843 e poi per il 1844. Dopo il mancato verificarsi di questa profezia — noto agli storici delle religioni come la Grande Delusione del 1844 — i seguaci di William Miller si divisero in vari gruppi da cui traggono origine, lungo linee diverse che non vanno confuse, sia gli attuali avventisti del Settimo Giorno che gli attuali testimoni di Geova (11). Ma i gruppi avventisti oggi esistenti sono parecchie centinaia. Uno dei leader avventisti meno conosciuti — ma all’origine di una decina di movimenti contemporanei — è il bulgaro Victor T. Houteff, nato nel 1885 e morto nel 1955. Trasferitosi negli Stati Uniti, Victor T. Houteff aderisce agli avventisti del Settimo Giorno, di cui diventa un dirigente importante a Los Angeles, negli anni Venti. Negli anni fra il 1930 e il 1932 pubblica i due volumi dell’opera The Shepherd’s Rod, “La verga del pastore”, in cui sosteneva che soltanto 144.000 persone sono chiamate a far parte in senso proprio del Regno di Gesù Cristo — una teoria accolta dai testimoni di Geova, ma non dagli avventisti del Settimo Giorno — e che, prima della seconda venuta di Gesù Cristo, i 144.000 eletti avrebbero dovuto riconoscersi fra loro e riunirsi in Palestina (12). Queste idee erano evidentemente eterodosse per gli avventisti del Settimo Giorno e nel 1934 l’opera The Shepherd’s Rod viene condannata. Nel 1935 Victor T. Houteff fonda una casa editrice, la Shepherd’s Rod Publishing Association, che più tardi avrebbe cambiato nome in Universal Publishing Association, e si trasferisce a Waco, nel Texas, dove viene aperta una sede chiamata Mount Carmel Center. All’inizio Victor T. Houteff — nonostante la condanna della sua opera — considerava la sua organizzazione non una nuova denominazione, ma un semplice movimento all’interno degli avventisti del Settimo Giorno, un gruppo — è bene ricordarlo — che conta oggi oltre cinque milioni di seguaci nel mondo e che aveva già dimensioni notevoli negli anni Trenta. Infatti molti seguaci di Victor T. Houteff continuavano a essere membri di congregazioni locali degli avventisti del Settimo Giorno. La rottura definitiva viene consumata solo negli anni 1942-1943 a causa del pacifismo radicale del gruppo di Waco, che si opponeva anche al servizio civile in tempo di guerra e alla partecipazione alla guerra in servizi ausiliari, ammessi invece dalla Chiesa avventista maggioritaria. Così, nel 1943 viene fondata la General Association of Davidian Seventh-day Adventists, una denominazione anche formalmente scismatica. Il centro di Waco non supera mai i 125 residenti, ma il movimento contava alcune migliaia di seguaci negli Stati Uniti d’America, in Gran Bretagna, in Canada e in Australia.
Alla morte di Victor T. Houteff, nel 1955, gli succede la moglie Florence. Nonostante questa successione fosse stata indicata dallo stesso fondatore, un gruppo di davidiani non accetta Florence Houteff come nuova dirigente del movimento e fonda una denominazione scismatica, i Branch Seventh-day Adventists — che cominciano a essere chiamati popolarmente Branch Davidians — sotto la guida di Benjamin Roden. Come spesso accade in ambienti millenaristi, Florence Houteff cerca di reagire allo sconforto causato dalla scomparsa del fondatore e dallo scisma di Benjamin Roden annunciando una data precisa: il 22 aprile 1959, il giorno in cui Dio sarebbe intervenuto personalmente per cacciare dalla Palestina sia gli arabi che gli ebrei, lasciando entrare il suo popolo per fondare il “regno davidiano”. Il 19 aprile 1959 centinaia di davidiani di tutto il mondo si riuniscono a Waco in attesa della data fatidica. Non accade nulla, ma la data viene più volte rimandata e l’attesa si protrae fino al 22 dicembre 1961, quando Florence Houteff dichiara pubblicamente di essersi sbagliata e ripudia la teologia del movimento in quanto fondata su premesse sbagliate. Nel marzo del 1962 Florence Houteff dichiara lo scioglimento della General Association. Ma non tutti i seguaci accettano la decisione e un gruppo continua la General Association spostandone la sede a Riverside, in California, quindi a Salem, nella Carolina del Sud, dove la General Association esiste tuttora sotto la guida di Ron Adair.
La profezia di Florence Houteff e il suo fallimento determina anche la nascita di uno scisma moderato, che si è dottrinalmente riavvicinato alle dottrine degli avventisti del Settimo Giorno. Si tratta della Davidian Seventh-day Adventist Association, fondata a Los Angeles nel 1961 e oggi con sede centrale nella grande comunità agricola di Basham Hill, presso Exeter, nel Missouri. Questo gruppo — guidato da Jemmy E. Bingham — è la maggiore organizzazione davidiana attualmente esistente, con diverse migliaia di membri e comunità in venticinque paesi oltre agli Stati Uniti d’America.
Accanto al gruppo di Salem e a quello di Exeter ha continuato la sua attività anche il gruppo nato dallo scisma di Benjamin Roden che, come si è visto, aveva rifiutato di riconoscere Florence Houteff come legittimo successore del marito Victor. Questo gruppo, più piccolo, si organizza in un ranch nei dintorni di Waco e continua le sue attività fino alla morte di Benjamin Roden nel 1978. Imitando Victor T. Houteff, anche Benjamin Roden designa come proprio successore la moglie Lois. Quest’ultima muore nel 1986 e nei due anni successivi si sviluppa una lotta per la successione fra suo figlio, George Roden, e Vernon Wayne Howell, nato nel 1959 a Houston, nel Texas, che aveva cambiato il suo nome in David Koresh già prima di aderire ai Branch Davidians (13), all’atto d’intraprendere una carriera come musicista desideroso di proporre un “rock cristiano”. Nel 1987 i gruppi guidati da George Roden e Vernon Wayne Howell si affrontano con le armi in pugno e vengono esplosi alcuni colpi. George Roden, con una minoranza di seguaci, lascia il ranch di Waco, non senza raccontare prima la sua versione dell’incidente alla stampa. Vernon Wayne Howell — alias David Koresh — viene arrestato dallo sceriffo della contea — non oppone la minima resistenza all’arresto—, processato nel 1988 e assolto, non avendo potuto l’accusa provare né che avesse sparato personalmente contro George Roden e i suoi seguaci né che, aggredito dai suoi oppositori che avevano estratto per primi le armi, non si trovasse in stato di legittima difesa. Tornato nel ranch dopo l’assoluzione, David Koresh fa causa a un certo numero di giornali per calunnia e ottiene somme piuttosto significative a titolo di transazione (14). Questa vicenda, comprensibilmente, non era destinata a favorire i buoni rapporti fra la stampa e i Branch Davidians; per contro, rafforza l’autorità carismatica di David Koresh fra i suoi seguaci e alcuni iniziano a considerarlo la seconda venuta di Gesù Cristo annunciata nell’Apocalisse: intervistato da studiosi, David Koresh ha talora almeno indirettamente ammesso, talora apertamente negato questa identificazione (15).
Nel 1992 entra in scena Rick Ross, definito dall’organizzazione anti-sette CAN “uno dei sei migliori deprogrammatori degli Stati Uniti”. Rick Ross non ha alcuna esperienza psichiatrica o psicologica, ma ha un passato di “guardia del corpo” di diverse personalità e anche di ladro: nel 1975 è stato condannato a Phoenix, in Arizona, con una sentenza definitiva, per furto di gioielli. Collabora regolarmente con il CAN e — come numerosi esponenti di questa organizzazione anti-sette — fa parte di organismi del mondo ebraico americano che svolgono attività di lobby contro le “sette”; in particolare, è membro di due comitati dell’Union of American Hebrew Congregations e di una commissione dell’organizzazione ebraica, con sede a Washington, B’nai B’rith International (16). Nel 1992, Rick Ross si vanta di aver “deprogrammato” un membro dei Branch Davidians e di aver scoperto che, all’interno del ranch di Waco, si abusa dei bambini, anche sessualmente, e si detengono armi il cui possesso è illecito. Rick Ross, sostenuto da alcuni organi di stampa e dal CAN, riesce a interessare alle sue accuse anzitutto i servizi sociali della contea, che nel 1992 e 1993 visitano ripetutamente il ranch e concludono che non vi sono prove di alcun abuso di minori. Vengono trovate prove della pratica della poligamia, tecnicamente vietata dalle leggi americane, ma, di fatto, tollerata almeno a partire dagli anni Cinquanta presso decine di gruppi religiosi e non religiosi diversi, che operano negli Stati Uniti d’America alla luce del sole. I servizi sociali texani decidono di non avviare alcuna azione legale contro i Branch Davidians. Sembra che Rick Ross abbia maggior successo con l’ATF, che agli inizi del 1993 decide d’intervenire contro i Branch Davidians (17).
2. I fatti
Gli avvenimenti che si sono svolti a Waco dal 28 febbraio al 19 aprile 1993 sono noti, e sarà quindi sufficiente qualche rapida osservazione. Il 28 febbraio 1993, senza preavviso, gli agenti dell’ATF attaccano in forze il ranch dei Branch Davidians, che rispondono sparando. Dopo quarantacinque minuti di sparatoria rimangono sul terreno quattro agenti dell’ATF; all’interno del ranch i davidiani morti sono — pare — sei. L’ATF decide di trasformare l’assalto in assedio e viene presto sostituito dall’FBI, che fa circondare il ranch da oltre quattrocento agenti con blindati, mezzi d’assalto e carri armati. L’assedio dura cinquanta giorni, nel corso dei quali una decina di davidiani, con l’autorizzazione di David Koresh, si arrendono individualmente all’FBI e lasciano il ranch portando con sé anche una ventina di bambini. Vari tentativi di mediazione falliscono: David Koresh promette di arrendersi, ma non immediatamente (18), e oltre un centinaio di seguaci rimane con lui. Il 19 aprile, alle sei del mattino, sulla base di ordini pervenuti da Washington, l’FBI attacca il ranch e un mezzo d’assalto M728 apre una breccia nell’edificio principale, seguito da altri mezzi d’assalto, che lentamente saturano l’edificio di gas lacrimogeno. Alle 11.45 alcuni davidiani si affacciano alle finestre con un cartello che chiede di riallacciare le linee telefoniche — tagliate dall’FBI — per parlamentare. È troppo tardi: alle 12.05, mentre un altro M728 abbatte una parete dell’edificio dove sono asserragliati i davidiani, scoppia un furioso incendio. Intorno al ranch vi sono mezzi d’assalto di ogni genere, ma non autopompe dei pompieri. La prima arriva alle 12.38, ma ormai gli edifici del ranch sono completamente distrutti. Il numero dei sopravvissuti, tutti sottratti ai giornalisti — cinque in prigione, quattro in ospedale —, sembra certo, mentre resta incerto il numero dei morti: fra 80 e 90, probabilmente 86, di cui almeno 17 bambini. La tragedia è finita e inizia la polemica: il fuoco è stato appiccato dai davidiani, come afferma l’FBI che parla di suicidio collettivo, o causato dai mezzi d’assalto della polizia federale? E la tragedia ha un colpevole?
In realtà, l’incidente cruciale è quello del 28 febbraio: tutto il resto è venuto come tragica conseguenza. Come ha scritto un quotidiano pure considerato molto vicino all’attuale amministrazione Clinton, “perfino quello che ha fatto l’FBI il 19 aprile sembra moderato se paragonato all’assalto del 28 febbraio al centro dei Branch Davidians da parte di agenti del Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms, in cui una sparatoria di dubbie origini lasciò sul terreno morti quattro agenti e sei membri della setta. Il Congresso ha in programma un’indagine sull’incidente. Le domande più importanti non riguardano la sua conclusione spettacolare del 19 aprile. Riguardano l’inizio, due mesi prima” (19). È necessario sottolineare che — qualunque sia la verità sul comportamento sessuale di David Koresh e dei suoi seguaci — l’ATF, che ha condotto l’attacco del 28 febbraio, non si occupa di moralità pubblica, non si occupa di abuso di minori e naturalmente non si occupa di “lavaggio del cervello”. Se avesse sospettato l’esistenza di crimini diversi l’ATF non sarebbe dovuto intervenire, ma rivolgersi all’FBI o ad altri corpi di polizia. L’ATF è intervenuto soltanto per l’unica violazione di sua competenza: la manipolazione di armi, trasformate in armi automatiche vietate dopo l’acquisto. Questo reato — ironicamente — non è mai stato provato: l’unico teste — e l’unico “esperto” consultato dall’ATF — è il deprogrammatore Rick Ross, mentre sembra certo che le armi che hanno sparato sugli agenti dell’ATF siano armi il cui possesso non è vietato dalla legge americana. In ogni caso, la manipolazione di armi per renderle più pericolose non è un reato punito nel Texas con pene particolarmente gravi. Anche secondo un articolo di Newsweek — pure tutt’altro che ostile all’ATF — sembra che armi “truccate” del tipo di quelle di cui sarebbero stati in possesso i Branch Davidians vengano regolarmente vendute nei negozi di armi di Waco (20). Per accertare la verità su questo reato poco più che contravvenzionale l’ATF — dopo aver fatto entrare un suo infiltrato all’interno del centro dei Branch Davidians — ha attaccato il centro alle otto e mezza del mattino di domenica 28 febbraio con “più di cento agenti in assetto di guerra”, con blindati ed elicotteri (21). Qualunque autentico esperto di nuovi movimenti religiosi millenaristi avrebbe potuto prevedere facilmente l’esito di un attacco di questo genere contro un gruppo che considera vicina l’ora della fine del mondo. Sentendo giunto finalmente l’inizio di eventi apocalittici, i davidiani hanno sparato, gli agenti dell’ATF hanno risposto e il risultato è stato di dieci morti. L’assedio — con l’intervento dell’FBI — diventava inevitabile: ormai non si trattava più di ipotetica detenzione di armi illegali, ma di omicidio. E tuttavia le domande rimangono. Perché l’ATF non si è rivolto alla polizia della contea, che nel 1987 aveva arrestato David Koresh senza che questi opponesse resistenza e i cui agenti conoscevano i davidiani, che frequentavano tranquillamente i bar locali fino al giorno prima? Una residente di Waco, che aveva bevuto té il giorno prima dell’incidente con David Koresh in un pub, ha dichiarato a Newsweek che non sembrava affatto un folle: “Era un tipo normale, e le persone che erano con lui certamente non mi sembravano vittima di un lavaggio del cervello” (22). E ancora: se il problema era quello di arrestare David Koresh, perché non arrestarlo per le strade di Waco per cui passeggiava tutti i giorni o al pub dove andava a bere il té? Se le armi erano nel ranch, perché dare l’assalto al ranch? Ma infine — e soprattutto — se si trattava solo di una violazione relativamente minore della legge sulle armi — e l’ATF non poteva occuparsi d’altro — perché l’assalto in stile militare? Perché si è andati a notificare una contravvenzione con gli elicotteri e con i blindati?
Dopo la sparatoria del 28 febbraio, l’assedio era inevitabile. Non era inevitabile l’assalto finale del 19 aprile, a proposito del quale si dibatterà probabilmente per anni se l’incendio che ha fatto ottanta vittime sia stato causato dai mezzi d’assalto dell’FBI o dagli stessi Branch Davidians (23). L’assalto, come poi si è saputo, è stato ordinato personalmente dal ministro della Giustizia, signora Janet Reno, con l’approvazione dello stesso presidente Bill Clinton. La stampa internazionale — che pure ha scritto ogni sorta di stoltezze sulle “sette” — non si è pero sbagliata nel giudicare disastroso l’ordine impartito dal governo di Washington all’FBI. “L’errore di calcolo del presidente Clinton — ha scritto The New York Times — è stato pressoché totale. L’affare Koresh è stato gestito male dall’inizio alla fine” (24). A Londra, The Daily Telegraph ha concluso impietosamente che “gli eventi di Waco aumentano la nostra preoccupazione a proposito dell’amministrazione Clinton, che si rivela incapace di dare giudizi durante una crisi e di controllare la sua burocrazia” (25). Ma si tratta solo d’incompetenza? Oppure — come altri hanno ipotizzato — un’amministrazione poco ferma con i serbi in politica estera e con i terroristi in politica interna voleva riconquistarsi una reputazione di fermezza a spese di un gruppo piccolo e certamente impopolare? Il ministro della Giustizia, la signora Janet Reno, controversa per la sua vita privata e per il suo impegno pubblico ai limiti del fanatismo in favore degli omosessuali e dell’aborto, voleva forse rialzare il suo prestigio con una “vittoria” a buon mercato? Quanto è veramente liberal l’amministrazione liberal di Bill Clinton? O l’esser “forte con i deboli e debole con i forti” è il modo di essere proprio del liberal?
3. Le interpretazioni
a. Il paragone con Jonestown
Guyana quindici anni fa: un’altra tragedia, la stessa follia, titolava il Corriere della Sera il 20 aprile 1993, all’indomani della strage. L’articolo faceva riferimento al suicidio collettivo del gruppo denominato Tempio del Popolo avvenuto in Guyana nel novembre del 1978: i morti non furono “400“, come dichiarava l’articolo del Corriere della Sera, ma oltre 900. Il parallelo con la strage di Jonestown — la città nella giungla della Guyana creata dal fondatore del Tempio del Popolo, Jim Jones (1931-1978) — è stato proposto da diversi giornali, ma è del tutto fuorviante, anche a prescindere dal fatto che non è ancora del tutto certo che quello di Waco sia stato un suicidio. Anzitutto, il Tempio del Popolo non era una “setta” o un gruppo religioso autonomo, ma un movimento ecclesiale, riconosciuto come tale, all’interno di una rispettata denominazione del protestantesimo maggioritario americano, i discepoli di Cristo (26). Ma, soprattutto, quella che caratterizzava il Tempio del Popolo era una versione estrema della “teologia della liberazione”, dove il marxismo assorbiva completamente gli elementi cristiani fino a cancellarli. Alla domanda “Qual è il vostro Dio?”, il Tempio del Popolo rispondeva chiaramente: “Il Comunismo”; “il Dio Onnipotente è il Socialismo” e il Dio della Bibbia è solo “un falso Dio” (27). Fra i suoi difetti, certamente numerosi, David Koresh non aveva quello di essere comunista. Forse David Koresh si considerava la nuova venuta di Gesù Cristo; certamente Jim Jones si accontentava di essere la nuova incarnazione di Vladimir Ilic Lenin (28). Waco e Jonestown “la stessa follia”, come ha scritto il Corriere della Sera? No: com’è ormai scontato per la letteratura scientifica sul Tempio del Popolo, la “follia” di Jonestown era diversa, non c’entrava con la religione o con le “sette”, ma con il comunismo. Follia? Forse. Ma solo perché, spiegava Jim Jones, “non sono sicuro che non si debba essere malati di mente per essere comunisti” (29).
b. Vi è un colpevole?
Dal punto di vista tecnico quanto è avvenuto a Waco può certamente essere imputato all’imperizia insieme politica, culturale e tecnica dell’amministrazione Clinton e della burocrazia americana. Imperizia culturale, perché i veri esperti di nuovi movimenti religiosi non sono stati consultati. Imperizia tecnica, perché si è gestita la situazione intorno al ranch di Waco nel modo peggiore. E soprattutto imperizia politica, perché si è deciso di “mostrare i muscoli” contro avversari ritenuti “facili” senza calcolare le conseguenze. Si tratta, allora, di assolvere i Branch Davidians? Certamente no. Anche loro sono responsabili, e la mentalità millenarista si rivela gravida di pericoli non soltanto spirituali. Chi aspetta la fine del mondo per dopodomani facilmente, in un momento di crisi, si comporterà come se la fine del mondo fosse già cominciata. Tuttavia, vi sono anche altri colpevoli. Si tratta del movimento anti-sette e di una certa stampa che ha accettato di farsene portavoce. Dopo il 28 febbraio e prima del 19 aprile la newsletter del gruppo anti-sette AFF ha pubblicato un impressionante elenco di decine di quotidiani, periodici e stazioni televisive americane che hanno ripreso sull’episodio di Waco le “veline” diffuse dalla stessa AFF e dal CAN. Il presidente dell’AFF, Herbert Rosedale, ha dichiarato di aver parlato per un’ora con il responsabile delle rubriche religiose di Newsweek persuadendolo a dare un certo taglio agli articoli su Waco. “I giornalisti, gli scrittori, i produttori televisivi hanno imparato a venire da noi per avere le informazioni e sanno come trovarci”, ha commentato Herbert Rosedale. Marcia Rudin, addetta stampa dell’AFF e consulente per i problemi di “sette” dell’American Jewish Committee, sarebbe intervenuta per “aiutare” decine di giornalisti americani a “capire” Waco (30). Non è impossibile che le organizzazioni anti-sette esagerino la loro importanza, ma è un fatto che — soprattutto prima del 19 aprile — i più diffusi settimanali americani, come Time, un bastione del movimento anti-sette, e Newsweek, e numerosissimi quotidiani — perfino italiani — assomigliavano in modo sorprendente gli uni agli altri e citavano gli stessi “esperti” — fra cui Herbert Rosedale e Marcia Rudin —, ignorando gli specialisti accademici, che pure avrebbero avuto molto da dire; fra l’altro, gli esponenti del movimento anti-sette non sapevano nulla dei Branch Davidians fino alle attività del deprogrammatore Rick Ross nel 1992 e tuttora mostrano di ignorarne la storia. I giornali influenzati dal movimento anti-sette ripetono tutti lo stesso sillogismo: i Branch Davidians sono una tipica “setta”; i Branch Davidians sono pazzi e pericolosi; dunque le “sette” sono pazze e pericolose e lo Stato deve intervenire. In Italia la Repubblica ha fatto eco volentieri al coro, reclamando “misure concrete contro la strumentalizzazione della fede”, definita uno dei “fenomeni ingiustificabili in una società civile” (31). E il tono è lo stesso su un gran numero di giornali.
La “setta” tipica, tuttavia, non esiste. I Branch Davidians sono diversi dagli scientologi, gli scientologi non sono simili ai testimoni di Geova, e sapere molte cose sui testimoni di Geova non aiuterà a capire le nuove religioni giapponesi. I nuovi movimenti religiosi sono diversissimi fra loro e, quando ne appare uno nuovo — nuovo per la grande stampa, dal momento che il movimento davidiano esiste a Waco dal 1935 — occorre davvero fare la fatica di studiarlo e di riconoscerne le peculiarità. “Fare di tutte le “sette” un fascio” è invece utile a chi propone leggi “anti-sette”, “misure concrete contro la strumentalizzazione della fede” — come invoca la Repubblica e come hanno chiesto dopo Waco centinaia di giornali di tutto il mondo —, di cui è certamente opportuno diffidare. Mons. Giuseppe Casale, arcivescovo di Foggia-Bovino, ha scritto: “Le leggi che i “movimenti anti-sette” propongono — proprio perché rifiutano di esaminare le credenze, e valutano i comportamenti con criteri puramente quantitativi — sono […] pericolose, perché esiste il rischio non teorico che gli Stati moderni, largamente secolarizzati, giudichino “troppo” intense anche esperienze religiose che si situano all’interno delle “vecchie” religioni piuttosto che delle “nuove”” (32).
Il tono con cui il movimento anti-sette ha salutato la tragedia di Waco è veramente fastidioso. Sembra quasi, con poco rispetto per i morti, un tono di giubilo, per aver trovato una nuova parabola — mentre quella di Jonestown, di cui è ormai troppo noto il carattere marxista, è sempre meno presentabile — con cui illustrare e propagandare le proprie tesi. Il movimento anti-sette crede a un grande e universale complotto delle “sette” e del “fanatismo religioso” contro il mondo moderno, la razionalità, la democrazia e la scienza. Personalmente sono molto più scettico sui “complotti” di questo genere. Se fossi meno scettico, considererei più inquietante il fatto che deprogrammatori come Rick Ross ed esponenti del movimento anti-sette hanno cominciato a “prevedere” una possibile tragedia a Waco molti mesi prima che succedesse, quando dei Branch Davidians nessuno — tranne qualche specialista dei rami più periferici dell’avventismo — ne aveva neppur sentito parlare. E mi chiederei — sempre se fossi interessato ai “complotti” quanto lo sono certi movimenti anti-sette — perché i deprogrammatori, il CAN e una certa stampa hanno scatenato l’ATF contro i Branch Davidians, perché l’ATF si è lasciato coinvolgere e l’amministrazione Clinton si è subito schierata al suo fianco. Potrei perfino arrivare a ipotizzare che qualcuno avesse interesse a creare un incidente sanguinoso per rilanciare la polemica anti-sette in un momento in cui sembrava languire. Ma, come ho accennato, preferisco non inseguire i complotti. Mi limito a osservare che il movimento anti-sette cerca di sfruttare per i suoi fini ottanta morti, fra cui almeno diciassette bambini, vittime di una tragedia che i deprogrammatori e i loro amici hanno almeno contribuito a provocare. Questa è la vera “strumentalizzazione”, a cui ci si deve opporre con fermezza. Il cattolico sa bene che i nuovi movimenti religiosi sono pericolosi, anzitutto perché diffondono idee che si allontanano dalla verità e quindi perché, talora, alcuni di essi si comportano in modo immorale o violento. Ma sa pure che, nella lotta contro la falsa religione, non può avere come alleati il laicismo e l’irreligione — di cui il movimento anti-sette è espressione quintessenziale e tipica — perché, se proporre all’uomo il miraggio di un falso rapporto con Dio è un inganno, negargli qualunque rapporto con Dio o ammetterlo solo nei limiti di quanto non è “troppo” intenso e non dà fastidio, non è solo un inganno, ma è un crimine. È un crimine non solo contro i diritti dell’uomo — fra cui rientra il diritto alla libertà religiosa —, ma soprattutto contro i diritti di Dio, che al cattolico, a cui è cara la sua fede, stanno per primi a cuore.
Massimo Introvigne
***
(1) Sui problemi terminologici, cfr. il mio Nel paese del punto esclamativo: “sette”, “culti”, “pseudo-religioni” o “nuove religioni”?, in Studia Missionalia, vol. 41, 1992, numero su Religious Sects and Movements, pp. 1-26.
(2) Cfr. J. Gordon Melton, Encyclopedia of American Religions, 4a ed., Gale, Detroit 1993.
(3) Per un’introduzione generale, cfr. il mio La questione della nuova religiosità, Cristianità, Piacenza 1993.
(4) Cfr. sul punto l’opera di un eminente psichiatra americano, Marc Galanter, Culti. Psicologia delle sette contemporanee, trad. it., SugarCo, Milano 1993.
(5) Cfr. Board of Social and Ethical Responsibility, American Psychological Association, Memo al comitato DIMPAC, 11 maggio 1987.
(6) R. E., Birra, mitra, rock’n’roll. Così nasce il “martirio”, in Corriere della Sera, 20-4-1993. Il giorno seguente, lo stesso quotidiano ha dato spazio all’associazione anti-sette italiana ARIS, l’Associazione per la ricerca e l’informazione sulle sette, il cui presidente, Ennio Malatesta, parlando delle “sette” in genere, ha invitato a “portare davanti alla magistratura questi pazzi criminali” (Barbara Stefanelli, “Perché è impossibile recuperare quei familiari perduti”, ibid., 21-4-1993).
(7) Per un’eccellente messa a punto su questi temi, cfr. Eileen Barker, I nuovi movimenti religiosi. Un’introduzione pratica, ed. it., Mondadori, Milano 1992.
(8) Sulla deprogrammazione, cfr. ibidem. Sulla distinzione fra movimenti “anti-sette” e “contro le sette”, cfr. i miei La questione della nuova religiosità, cit.; e Il movimento “anti-sette” laico e il movimento “contro le sette” religioso: strani compagni di viaggio o futuri nemici?, in questo stesso numero di Cristianità.
(9) I “deprommagatori” sono riusciti perfino a procurarsi un poco di pubblicità gratuita anche su giornali italiani, che normalmente trattano il tema delle “sette” in modo più equilibrato: cfr. l’intervista al “deprogrammatore” Herbert Nieburg, Questa fede è la fine del mondo, a cura di Gherardo Milanesi, in Avvenire, 27-4-1993, dove Herbert Nieburg, esponente di secondo piano del movimento anti-sette AFF, viene incredibilmente definito “uno dei più prestigiosi specialisti americani in materia di sette culti religiosi”, e si vanta di aver sottoposto centinaia di “pazienti” a un “processo di deprogrammazione che può durare settimane o anni”. Sarebbe stato forse opportuno ricordare ai lettori di Avvenire che, secondo reiterate dichiarazioni del Magistero cattolico in materia, la “deprogrammazione” “non è accettabile ed è contraria alla morale cattolica” (mons. Giuseppe Casale, Nuova religiosità e nuova evangelizzazione. Lettera pastorale, del 6-3-1992, Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 1993, p. 82).
(10) Cfr. sul punto il mio Appunti per una tipologia dei millenarismi, in La critica sociologica, anno 25, n. 102, estate 1992, pp. 107-119.
(11) Si troverà un albero genealogico dei gruppi avventisti nel mio Le nuove Religioni, SugarCo, Milano 1989, pp. 109-138.
(12) Cfr. Victor T. Houteff, The Shepherd’s Rod, 2 voll., presso l’Autore, Los Angeles 1930-1932; cfr. pure Idem, The Great Controversy Over “The Shepherds Rod”, Universal Publishing Association, Waco (Texas) 1954. Per i gruppi che derivano da V. T. Houteff, cfr. J. Gordon Melton, op.cit., pp. 565-566; e il numero di marzo 1993 di Aware News, una newsletter pubblicata da un gruppo di specialisti accademici statunitensi di nuovi movimenti religiosi.
(13) Userò d’ora in poi il nome popolare di Branch Davidians, attribuito alla fazione fondata da Benjamin Roden fin dalle origini, negli anni 1955-1956, anche se il nome ufficiale è Branch Seventh-day Adventists.
(14) Cfr. The Houston Chronicle, 1-3-1993.
(15) Cfr. Aware News, marzo 1993, p. 2.
(16) Cfr. ibidem; agenzie Reuter e EIRNS, 2-3-1993. Per l’atteggiamento particolare di alcuni ambienti ebraici americani a proposito della questione delle “sette” e le sue radici dottrinali e storiche, cfr. il mio La questione della nuova religiosità, cit., pp. 14-16, nota 11.
(17) Cfr. intervista di Rick Ross alla National Public Radio, 2-3- 1993; Aware News, marzo 1993; Koresh and Prophet Bringing On New Jonestowns – or Just More Cult Wars?, in Religion Watch, anno 8, n. 6, aprile 1993, pp. 2-3.
(18) Come ha scritto uno dei più diffusi giornali texani il giorno dopo la tragedia, “gli agenti dell’ATF e dell’FBI responsabili del fiasco non hanno il diritto di raccontarci che Koresh è stato irragionevole e ha rifiutato di negoziare o di collaborare. Sono loro a non aver mai provato seriamente” (Molly Ivins, Cult tragedy was unnecessary, in Fort Worth Star – Telegram, 20-4-1993).
(19) Standoff ends in flames; questions still smolder, in USA Today, 21-4-1993.
(20) Cfr. Thy Kingdom Come, in Newsweek, anno 121, n. 11, 15-3-1993, pp. 52-55.
(21) Ibid., p. 52.
(22) Ibid., p. 55.
(23) L’ipotesi del suicidio collettivo non deve essere data per scontata. L’FBI ha impedito ai sopravvissuti di parlare con i giornalisti, ma qualcosa è comunque filtrato: alcuni di essi parlano di suicidio, ma altri lo escludono categoricamente e affermano che sono stati i mezzi d’assalto a causare l’incendio.
(24) The New York Times, 21-4-1993.
(25) The Daily Telegraph, 20-4-1993.
(26) Insiste giustamente su questo punto l’opera di J. Gordon Melton (a cura di), The People’s Temple and Jim Jones. Broadening Our Perspective, Garland, New York-Londra 1990, che riporta un’ampia serie di documenti.
(27) Riporto queste citazioni da Enrico Pozzi, Il carisma malato. Il People’s Temple e il suicidio collettivo di Jonestown, Liguori, Napoli 1992, pp. 252 e 259. L’analisi di Enrico Pozzi sul Tempio del Popolo è una delle più articolate finora pubblicate, non soltanto in lingua italiana, e merita di essere letta da chiunque voglia approfondire il tema. Personalmente non condivido tutte le sue interpretazioni; per una diversa ipotesi interpretativa, cfr. il mio Il suicidio della Guyana fra mito e storia, in Cristianità, anno XVI, n. 162.
(28) “La mia ultima incarnazione è stata Vladimir Lenin in Russia“, dichiarava Jim Jones: cfr. E. Pozzi, op. cit., p. 263.
(29) Cit. ibid., p. 321.
(30) AFF Helps Media Understand the Davidians, in The Cult Observer, vol. 10, n. 2 (1993), pp. 2 e 6. Contribuisce a far intendere il tipo di “aiuto” dato dai movimenti anti-sette all’FBI una dichiarazione della presidentessa del CAN, Patricia Ryan, che il 7 aprile incitava a “usare tutti i mezzi pur di arrestare Koresh, compresa la forza letale”, “including lethal force” (Infiltrating cult will end standoff, expert suggests, in The Houston Chronicle, 8-4-1993).
(31) Ennio Caretto, Suicidio di massa nel fortino di Waco, in la Repubblica, 20-4-1993.
(32) Mons. G. Casale, doc. cit., p. 36.