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«Chiesa del silenzio e diplomazia pontificia. 1945-1965». Una lettura

12 Giugno 2021 - Autore: Giovanni Codevilla

Giovanni Codevilla, Cristianità n. 409 (2021)

È da salutare con favore la pubblicazione del lussuoso volume bilingue (italiano e slovacco), patrocinato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche in collaborazione con la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia e presentato da padre Bernard Ardura O.Praem., direttore del Pontificio Comitato. Il tema della diplomazia vaticana verso la Russia e l’Est europeo, affrontato da diversi eminenti studiosi (1), viene qui indagato in relazione ad alcuni Paesi dell’Europa Orientale: Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria e Romania. L’auspicio è che il volume sia seguito da altri, dedicati a Serbia, Slovenia, Croazia, Macedonia, Bulgaria e Albania, Paesi in cui la Chiesa ha sofferto periodi di terribile persecuzione (2).

Per una retta comprensione dei vari contributi è necessario inquadrare, seppure in termini succinti, la situazione politica degli anni ai quali si riferiscono gli studi riportati nell’opera.

A seguito dell’incontro di Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953) con il metropolita Sergij (Ivan Nikolaevič Stragorodskij, 1867-1944), il futuro patriarca Aleksij (Sergej Vladimirovič Simanskij, 1877-1970) e il metropolita di Kiev e della Galizia Nikolaj (Jaruševič, 1892-1961), avvenuto la sera del 4 settembre 1943 alla presenza di Vjačeslav Michajlovič «Molotov» (1890-1986) e di Georgij Grigor’evič Karpov (1898-1967), incaricato dei rapporti con la Chiesa, muta radicalmente la politica ecclesiastica sovietica a seguito dell’impegno del mondo ortodosso di collaborare per la sconfitta degli invasori nazionalsocialisti. Prende avvio la cosiddetta «NEP religiosa» staliniana — così chiamata per analogia con la liberalizzazione economica degli anni 1920, la cosiddetta NEP (Nuova Politica Economica) —, che porta alla riapertura di migliaia di chiese, il cui numero si era ridotto a due-trecento in un territorio in cui prima del colpo di Stato bolscevico del 1917 ve ne erano in attività oltre cinquantamila (3). Va detto che la «NEP religiosa» non porta alla fine dei processi contro il clero, ma soltanto alla loro drastica riduzione.

La propaganda ateistica viene sospesa e un’ordinanza del Comitato Centrale del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, pone fine nel febbraio del 1947 all’attività dell’Unione dei Senzadio Militanti (SVB), iniziata nel 1925 e già alquanto ridotta dall’inizio della guerra.

Si ricrea così esteriormente un clima «sinfonico» nei rapporti fra lo Stato e la Chiesa ortodossa, la quale, del tutto assoggettata al governo bolscevico, in cambio della riapertura di edifici di culto e di monasteri e di un allenta­mento della repressione, si pone al suo servizio sia nella politica interna, invi­tando i fedeli a votare per il blocco comunista, poiché in nessun paese la Chiesa gode di «condizioni favorevoli come nell’URSS» (4), sia nella politica estera, dedicandosi anch’essa al culto smaccato della personalità di Stalin. Gli incontri fra il patriarca e le massime autorità sovietiche incaricate di sorvegliare l’attività della Chiesa sono frequentissimi: nel corso del 1946 Aleksij viene ricevuto al Soviet per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa ben ventotto volte, men­tre i membri del Sinodo e gli altri rappresentanti dell’e­piscopato hanno 210 incontri con i funzionari statali; nel 1947 le visite del patriarca sono an­cora ventotto e quelle dei vescovi 143. Se i colloqui fra il patriarca Sergij e le autorità erano improntati alla fredda ufficialità, quelli con Aleksij assumono un carattere cordiale e amichevole, che caratterizza anche la fitta corrispondenza intercorsa fra loro.

Il patriarca, in segno di riconoscenza verso il governo, si adopera con il massimo zelo per evi­tare che la Chiesa svolga attività esorbitanti dalle mere funzioni liturgi­che e richiama all’ordine i vescovi più attivi, ordinando loro di «non oltrepassare i confini dei nostri diritti»; così, in una lettera del febbraio del 1947, Aleksij rimprovera l’ar­civescovo Luka (Vojno-Jaseneckij, 1877-1961) per il tentativo di organizzare scuo­le domenicali per l’insegn­a­mento del catechismo: «È una vergogna di fron­te a un potere che concede alla Chiesa tali ampi diritti […]. Darebbe adito a chissà quali accuse di diversionismo controrivoluzionario e attività antiso­vietiche! Quante nuove vittime ci sarebbero! È pertanto auspicabile che i ministri del culto non corrano questo pericolo» (5).

Il servilismo della Chiesa appare con tutta evidenza dagli articoli pubblicati sulla Rivista del Patriarcato di Mosca (6) e dalle adulatorie esternazioni di eminenti esponenti della gerarchia (7).

La svolta che a far tempo dal 1943 viene impressa alla politica ecclesiasti­ca sovietica, con la sospensione dell’intolleranza e della propaganda antireligiosa, è finalizzata, da un lato, al rafforzamento della posizione del Patriarcato di Mosca sul piano nazionale e su quello in­ternazionale, e, dall’altro lato, a indebolire le forza del cattolicesimo, baluardo anticomunista, accusato di ostilità verso l’Ortodossia. 

Il governo sovietico, mentre assegna all’Ortodossia russa un ruolo di guida delle varie Chiese au­tocefale, opera per screditare il prestigio del Papato e della Chiesa cattolica nel mondo e segnatamente nell’Unione Sovietica e nelle nuove aree di in­fluenza ad essa assegnate a seguito degli accordi di Jalta, nel 1945, come ampiamente dimostrato dai vari contributi raccolti nel volume. Questa azione vie­ne pianificata dai vertici sovietici in sintonia con il Patriarcato di Mosca e culmi­na nella soppressione forzata e violenta della Chiesa greco-cattolica in Ucrai­na, Transcarpazia, Slovacchia e Romania.

Il programma di lotta contro la Chiesa cattolica viene avviato già duran­te il Concilio locale della Chiesa Ortodossa Russa, riunito nei giorni 31 gen­naio-2 febbraio 1945 per l’elezione del nuovo patriarca dopo la morte di Sergij, avvenuta il 15 maggio 1944. Il 7 febbraio, infatti, viene redatto un appello in­dirizzato Ai popoli di tutto il mondo, sottoscritto dai rappresentanti delle Chiese ortodosse autocefale presenti a Mosca, nel quale si accusa il Vatica­no di «[…] proteggere la Germania hitleriana dalle responsabilità per i delitti da essa commessi» (8).

Nel rinnovato clima sinfonico che si viene a instaurare, il governo sovietico e il Patriarcato si propongono di fare di Mo­sca il centro dell’Orto­dossia universale, dando vita a un «Vaticano moscovita»(Moskovskij Vatikan), ovvero a un «Vaticano ortodosso»(pravoslavnyj Vatikan), per usare l’espres­sione del patriarca Aleksij (9), allo scopo di creare un contraltare al cattolicesimo e di ridimensionare con ogni mezzo il ruolo mondiale del­la Santa Sede.

Una Direttivaassolutamente segreta di Ivan Vasil’evič Poljanskij (1898-1956), presidente del So­viet per gli Affari dei Culti Religiosi, scritta prima del 14 maggio 1945 e indi­rizzata ai funzionari locali del Soviet, illustra la politica da adottare nei con­fronti della Chiesa cattolica romana. In essa si afferma: «In base all’indica­zio­ne degli organi direttivi della chiesa ortodossa[il corsivo è mio] si prospetta una serie di pos­sibilità per una più ampia attività in alcune regioni delle RSS di Ucraina, di Bielorussia e nelle Repubbliche sovietiche baltiche, nelle quali il cattolicesi­mo è largamente diffuso. In queste località (Riga, Vil’njus, Grodno, Luc’k, L’vov, Černo­vcy) saranno organizzate delle confraternite ortodosse. Il com­pito fondamentale e principale di queste confraternite sarà il rafforzamento dell’orto­dossia e la sua contrapposizione al cattolicesimo. Queste confrater­nite svolgeranno un’attività missionaria e di beneficenza, organizzeranno la lettura di scritti di carattere religioso-patriottico, eccetera. La loro attività missionaria sarà indirizzata contro il cattolicesimo […]. Durante il 1945 sa­ranno inviate all’e­stero delegazioni ecclesiastiche, allo scopo di rafforzare l’influenza della chiesa ortodossa russa all’este­ro. In tempi brevissimi si pen­sa di accogliere nella giurisdizione del patriarcato di Mosca una serie di chiese ortodosse autocefale (Polonia, Transcarpazia, Ucraina e altre) […]. A titolo informativo si comunica a Voi che la chiesa greco-cattolica (uniate) nella persona del metropolita ha assunto posizioni politicamente inammissi­bili e ha imboccato la strada della guerra contro il potere sovietico, sostenendo attivamente il movimento nazionalista antisovietico. In relazione a ciò, si stanno adottando misure volte alla liquidazione totale dell’in­fluenza del clero ucraino cattolicizzato e al passaggio dei fedeli all’ortodossia. Per questa ragione, in particolare, è stata organizzata a L’vov una eparchia della chiesa ortodossa» (10).

Nel Rapporto di Karpov a Stalin del 15 marzo 1945, noto come Istruzione n. 58, il presidente del So­viet per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa esprime le sue considerazioni sul rapporto tra Ortodossia e Cattolicesimo: «La chiesa cattolica romana nella sua aspirazione al dominio mondiale conduce una lotta tenace e siste­matica per fare divorare (za pogloščenie) l’ortodossia dai cattolici» (11), da cui l’affermazione che «la chiesa ortodossa russa, la quale non ha condotto una lotta sistematica organizzata contro il cattolicesimo all’interno del paese, nell’attuale momento può e deve svolgere un ruolo significativo nella lotta contro la chiesa cattolica-romana (e contro l’uniatismo), giacché questa si è posta sulla via della difesa del fascismo ed è riuscita ad estendere la sua in­fluenza nell’ordine postbellico del mondo» (12). Nel Rapporto il dittatore georgiano si dichiara favorevole alla proposta avanzata dal presidente del Soviet per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa di convocare una Conferenza di tutte le Chiese cristiane del mondo (13), esclusa quella cattolica, da tenersi a Mosca, al fine di conferire alla Chiesa russa la posizione di guida di tutte le Chiese cristiane.

Il 15 marzo 1946 il metropolita Nikolaj (Jaruševič) avanza l’idea di convocare a Mosca l’VIII Concilio ecumenico, dimenticando che il diritto alla convocazione di un Concilio di tutte le Chiese ortodosse spetta soltanto al patriarca di Costantinopoli, primus inter pares. Secondo Georgij Karpov, responsabile del Soviet per gli Affari della Chiesa ortodossa e fedele esecutore degli ordini del Cremlino, l’urgenza della lotta è determinata dal fatto che il Vati­cano continuerebbe a estendere la sua influenza su alcune Chiese ortodosse. Nel suo rapporto del 14 febbraio 1947 afferma: «il Vaticano negli ultimi tempi si è trasformato in una organizzazione antidemocratica e politica». Per queste ragioni «il Soviet ritiene che le chiese ortodosse debbano e abbiano la possi­bilità di una lotta più attiva contro il Vaticano» (14).

Le misure suggerite da Karpov sono le seguenti:

a) liquidare definitivamente la chiesa uniate nell’URSS;

b) preparare l’adozione di misure analoghe in alcuni altri stati esteri (es. Cecoslovacchia e Jugoslavia);

c) nella conferenza preconciliare del 1947 emettere una condanna più dura del papismo dal punto di vista dogmatico;

d) pubblicare un testo speciale per l’estero contro il Vaticano;

e) dare vita a una alleanza delle chiese cristiane nella forma di un mo­vimento internazionale, con a capo la Chiesa ortodossa russa, per la lotta contro il Vaticano, invitando a parteciparvi tutte le altre fedi religiose.

Karpov sottolinea che durante il Concilio locale della Chiesa Ortodossa Russa del 1945 e a seguito degli incontri avuti dalla delegazione del Patriar­cato di Mosca «il problema della necessità di unire le chiese ortodosse per la lotta contro il Vaticano ha incontrato l’approvazione di quasi tutte le chiese autocefale ortodosse». Nella lotta contro il Vaticano «la Chiesa ortodossa russa riveste un ruolo organizzativo di guida ed ha già svolto nel 1945-1946 un grande lavoro per la liquidazione della chiesa greco-cattolica (uniate) nelle regioni occidentali dell’Ucraina, ottenendo il passaggio all’or­todossia di 1.997 comunità già uniate».

Il breve periodo della «NEP religiosa», che termina già nel 1947 (15), rafforzando temporaneamente la posizione della Chiesa Ortodossa Russa, ha consentito al Governo sovietico di conseguire un duplice obiettivo: quello di unire la nazione per respinge­re l’aggressione tedesca e, sul piano internazionale, quello di servirsi della Chiesa per i propri fini politici.

Si deve, peraltro, sottolineare che negli anni della «NEP religiosa» non si era mai fer­mata l’attività antiecclesiastica della macchina giudiziaria: nel 1943 degli ol­tre mille sacerdoti arrestati la metà viene fucilata e nel 1944-1946 i religiosi condannati a morte sono oltre cento all’anno (16). Comunque, dal 1947 cessa il periodo di tregua e nel 1948 si riavvia la re­pressione antireligiosa: su settanta membri dell’episcopato (il patriarca, tre metro­politi, ventiquattro arcivescovi e quarantadue vescovi) in carica al 1° gennaio 1948 ben trentadue subi­ranno procedimenti giudiziari nel corso dell’anno (17).

La funzione ancillare assegnata dalla «NEP religiosa» alla Chiesa ortodossa appare evidente dal fondamentale contributo da questa dato alla liquidazione della Chiesa greco-cattolica in Slovacchia e in Romania e al tentativo di eliminarla negli altri Paesi dell’Europa Orientale. Si deve ricordare in proposito che il patriarca romeno Justinian (Mari­na) si è rallegrato per il ritorno coatto dei greco-cattolici all’Ortodossia affermando: «con il vostro ritorno in seno alla Chiesa ortodossa si pone un nuovo fonda­mento non solo al rafforzamento della nostra ortodossia, ma anche al raffor­zamento della nostra cara Patria» (18), riconoscendo così, come sottolinea Cri­stian Vasile, che l’unificazione ecclesiale rispondeva agli interessi delle auto­rità comuniste. Non ha, dunque, torto l’ex padre Simon — dal 2014 è sacerdote ortodosso — quando afferma che la gerarchia ortodossa guidata da Justinian e dai suoi successori Iustin (Moisescu) e Teoctist (Arăpașu) «con poche eccezioni ha risposto con docilità e panegirici alle sfide di uno Stato a volte antagonista» (19). Coerentemente, la Sezione per l’estero del Soviet per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa afferma nel suo Rapporto segreto del 14 novembre 1948: «il patriarca Justinian è l’unico che al suo ritorno in patria abbia sviluppato una lotta attiva contro il Vaticano e che abbia avuto successo nella riunione dei greco-cattolici della Transilvania alla chiesa ortodossa romena, cosa che ha suscitato la protesta del nunzio papale in Romania e la risposta del governo romeno» (20).

Vero è che la Chiesa Ortodossa Romena si affianca al regime comunista in una violenta campagna contro Roma e il Papa, favorita dall’adozio­ne di misure persecutorie verso i cattolici, segnata­mente dei greco-cattolici.

A riprova della collaborazione dell’Ortodossia romena con la politica co­munista, realizzata grazie anche al fattivo contributo dato dall’Unione dei Sacerdoti Democratici Romeni (Uniunea Preoţilor Democraţi din România, UPDR), resta il fatto che la Chiesa Ortodossa Romena non è stata colpita da provvedimenti punitivi, come la chiusura delle chiese e dei monasteri, og­getto questi ultimi solo di un processo di accorpamento, con l’eccezione del­le misure repressive adottate unicamente nei confronti del movimento misti­co denominato Il roveto ardente (Rugul aprins). Nessun vescovo ortodosso è stato privato della libertà e una parte significativa del clero ortodosso sottoposto a misure repressive è stata colpita per la sua attività politi­ca, segnatamente per la partecipazione al movimento politico antibolscevico e antisemita dei «legionari»di Corneliu Zelea Codreanu (1899-1938) (Garda de Fier).

La cerimonia di riunione dei greco-cattolici all’Ortodossia viene celebr­ata solennemente ad Alba Iulia il 21 ottobre 1948 e a nulla valgono le proteste dei greco-cattolici e del nunzio, respinte il 24 ottobre dal governo come «atto provocatorio contro lo Stato e il popolo romeno» (21). La Chiesa fedele a Roma sopravvivrà nella clandestinità, pagando un altissimo tributo di sangue. Si pensi ai sette vescovi martiri beatificati da Papa Francesco il 2 giugno 2019 nel corso del suo viaggio apostolico in Romania: Ioan Suciu (1907-1953), Vasile Aftenie (1889-1950), Tit Liviu Chinezu (1904-1955), Valeriu Traian Frenţiu (1875-1952), Ioan Bălan (1880-1959), Alexandru Rusu (1888-1963) e Iuliu Hossu (1885-1970).

Non dissimile, ancorché meno cruento, è il tributo pagato dalle altre Chiese presenti nei Paesi dell’Europa orientale presentati e documentati in questo solido volume, che ci auguriamo possa essere disponibile nelle biblioteche delle cattedre di Storia della Chiesa, Storia dell’Europa orientale e Storia delle relazioni tra Stato e Chiesa, come pure in quelle delle istituzioni educative ecclesiastiche.

Note:

1) Cfr. Emilia Hrabovec, Giuliano Brugnotto e Peter Jurčaga (a cura di), Chiesa del silenzio e diplomazia pontificia 1945-1965, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018. L’opera continua la tradizione inaugurata dal gesuita Paul Pierling (1840-1922), La Russie et la Saint-Siège. Ètudes diplomatiques, 5 voll., Plon, Nourrit et C., Parigi 1897, e continuata da Adrien Boudou (1876-1945), La Saint-Siège et la Russie, leurs relations diplomati­ques au XIX siècle, 2 voll. (1814-1847 e 1848-1883), Plon, Parigi 1922 e 1925. In tempi a noi più vicini sono da segnalare il gesuita Ulisse Floridi (1920-1986), Mosca e il Vaticano. I dissidenti sovietici di fronte al dialogo, La Casa di Matriona, Milano 1976; Hansjakob Stehle (1927-2015), Die Ostpolitik des Vatikans. 1917-1975, Piper & Co. Verlag, Monaco-Zurigo 1975; Antoine Wenger, Rome et Moscou. 1900-1950, Descelée de Brouwer, Parigi 1987; Giovanni Barberini, L’Ost­politik della Santa Sede. Un dialogo lungo e faticoso, il Mulino, Bologna 2007; Idem (a cura di), La politica del dialogo. Le carte di Casaroli sull’Ostpolitik Vaticana, prefazione del card. Achille Silvestrini (1923-2019), il Mulino, Bologna 2008; Laura Pettinaroli, La politique russe du Saint-Siège (1905-1939), École Française de Rome, Roma 2015. Ampi riferimenti si trovano in studi più generali, come don Jan Mikrut(a cura di), La Chiesa Cattolica e il comunismo in Europa centro-orientale e in Unione Sovietica, prefazione del card. Miloslav Vlk (1932-2017), Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano (Verona) 2016; nonché il mio Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e Impero, 4 voll., Jaca Book, Milano 2016, vol. III, L’impero sovietico 1917-1990. Non mancano altri scritti che non meritano di essere citati se non in termini negativi, in particolare Wilfried Daim (1923-2016), Il Vaticano e l’Est, Coines Edizioni, Roma 1973, che si distingue per numerose affermazioni avventate e talora deliranti.

2) Basti pensare a mons. Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960), arcivescovo di Zagabria, in Croazia, e poi cardinale, beatificato nel 1998, nonché al vescovo greco-cattolico Evgenij Bosilkov C.P. (1900-1952) — beatificato pure nel 1998 — e ai sacerdoti della Congregazione degli Agostiniani dell’Assunzione, Kamen Vičev (1893-1952), Josafat Šiškov (1884-1952) e Pavel Džidžov (1919-1952), martirizzati in Bulgaria e beatificati da san Giovanni Paolo II (1978-2005) a Plovdiv nel 2002, e ai numerosi altri sacerdoti cattolici condannati a morte come spie del Vaticano, come il compianto amico Gavriil Beloveždov, presbitero di rito bizantino slavo, la cui pena fu commutata in venti anni di lavori forzati, ridotti poi a dodici, trascorsi a cavare pietre sulle rive del Danubio. Sulla figura di mons. Stepinac, da taluni presentata in termini oltremodo faziosi, si veda l’ampio saggio di Pier Luigi Guiducci, Dossier Stepinac. Aloj­zije Stepinac (1898-1960). Un arcivescovo tra ustaše, četnici, nazisti, fascisti e comunisti, Albatros, Roma 2018.

3) Sulla «NEP religiosa» staliniana, cfr. l’interessante saggio di Steven Merritt Miner, Stalin’s Holy War: Religion, Nationalism, and Alliance Politics 1941-1945, University of North Carolina Press, Chapel Hill (NC) 2003; e Michail Ivanovič Odincov e Anna Sergeevna Kočetova, Konfessional’naja po­litika v Sovetskom Sojuze v gody Velikoj Otečestvennoj Vojny 1941-1945 [La politica confessionale in Unione Sovietica negli anni della Grande Guerra Patriottica 1941-1945], Rosspėn, Mosca 2014. Sul rapporto fra Chiesa e patriottismo, cfr. Adriano Roccucci, Il Patriarcato di Mosca da Le­nin a Stalin. Un nuovo soggetto della politica internazionale 1917-1948, Pioda, Roma 2001, p. 150 e ss.; Idem, Stalin e il Patriarca. La Chiesa ortodossa e il potere sovietico. 1917-1958, Einaudi, Torino 2011, p. 173 e ss.; e il mio L’impero sovietico 1917-1990, cit., p. 307 e ss.

4) Cfr. Žurnal Moskovskoj Patriarchii, 1946, n. 11, p. 40.

5) Cfr. Archivio Statale della Federazione Russa (GARF), F. 6991, Op. 1, D. 451, L. 139.

6) Il metropolita Aleksij (Simanskij) subito dopo la sua nomina a locum tenens patriarcale in una lettera a Stalin del 19 maggio 1944 scrive: «Caro Iosif Vissarionovič, […] a noi, i più vicini collaboratori [del defunto patriarca Sergij] è noto anche il suo sentimento del più profondo amore verso di Voi e della sua dedizione a Voi come saggia Guida dei popo­li della nostra grande Unione insediata da Dio [Bogopostavlennomu voždju], era questa la sua espressione abituale. Tale sentimento si è manifestato in lui con particolare forza dopo l’incontro personale con Voi e dopo la visita a Voi per noi indimenticabile del 4 settembre dello scorso anno. Più volte mi è capitato di sentire da lui con quale caldo sentimento egli rammentava questo incontro e quale alto e storico significato egli attribuiva alla Vostra attenzione, per noi preziosissima, per le necessità della Chiesa. […] Nell’at­tività che svolgerò sarò costantemente e inflessibilmente guidato da quei principi che hanno ispirato l’attività ecclesiastica del defunto patriarca: da un lato, osservare i canoni e le disposizioni ecclesiastiche e, dall’altro, la co­stante dedizione alla Patria e al nostro governo da Voi guidato. Operando in piena unione con il Soviet per gli Affari della Chiesa Ortodossa Russa, io e il Santo Sinodo isti­tuito dal defunto patriarca saremo garanti che non vi saranno errori o passi falsi. Vi prego, stimatissimo e caro Iosif Vissarionovič di accogliere queste mie assicurazioni con la stessa fiducia di cui esse sono cariche, e di credere ai sentimenti di profondo amore e riconoscenza che animano tutto il personale [cerkovnye rabotniki] della Chiesa che da oggi dirigo» (Žurnal Moskovskoj Patriarchii, 1944, n. 6, p. 48, e Izvestija, 21-5-1944).

7) Dimitrij (Gradusov), vescovo di Ul’janovsk, il 18 ottobre 1943 invia a Stalin un messaggio in versi che si conclude con queste parole: «Glo­riati, diletto paese / Fiorisci ambita libertà / A Te la gloria e la lode / Amato Condottiero Russo» (Voevoda) [Aleksandr Jakovlevič] Livšin e I. [Igor] B. Orlov(a cura di), Sovetskaja povsednevnost’ i massovoe soznanie 1939-1945 [Vita quotidiana e coscienza di massa in Urss, 1939-1945], Rosspėn, Mosca 2003, pp. 416-417). Il massimo livello del servilismo è forse quello raggiunto da Aleksandr Ivanovič Vvedenskij (1889-1946), capo degli in­novatori, il quale scrive a Stalin, il 15 aprile 1944: «Gli uomini religiosi della nostra patria chiamano voi in modo bello e affettuoso “padre dei credenti”» e conclude: «Iosif Vissario­novič! Quando sono davanti all’altare dell’Onnipotente io ricordo il Vostro nome a noi tut­ti caro. Che il Signore conservi il Vostro genio!» ([Julija Olegovna] Va­sil’eva, I.I. Kudrjavcev e L.A. Lykova (a cura di), Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’ v gody Velikoj Otečestvennoj vojny 1941-1945 gg. Sbornik do­kumen­tov, izd. Krutickogo podvor’ja [Edizioni della sede patriarcale di Krutickij] Mosca 2009, pp. 423-424.

8) L’appello è sottoscritto da Aleksij (Simanskij), patriarca di Mosca, da Christoforos II, patriarca di Alessandria, da Alexandros III, patriarca di Antiochia, da Kallistratos, katolikos di Georgia, da Germanos, metropolita di Thyatyra e rappresentante del patriarca di Costan­tinopoli, da Athenagoras, metropolita di Sebaste e rappresentante del patriarca di Gerusa­lemme, da Iosif, metropolita di Skopje e rappresentante del patriarca di Serbia, e da Iosif (Gafton), vescovo di Argeș e rappresentante del patriarca romeno (cfr. GARF, F. 6991, Op. 2, D. 32, L. 150).

9) Il patriarca ripropone l’espressione usata da Stalin nel corso del colloquio del 4 settem­bre 1943 (cfr. Anatolij Krasikov, Rossija na pereput’e. Religioznyj faktor vybora puti v buduščee [La Russia al bivio. Il fattore religioso nella scelta del percorso verso il futuro], Institut Evropy RAN, Doklady Instituta Evropy, n. 235, Edizioni «Russkij Suvenir», Mosca 2009, p. 12).

10) Direktivnoe pis’mo predsedatelja Soveta po delam religioznych kul’tov I.V. Poljansko­go upolnomočennym Soveta na mestach o politike v otnošenii rimsko-katoličeskoj cerkvi [Lettera direttiva del presidente del Soviet per i culti religiosi I.V. Poljanskij ai funzionari locali del Soviet sulla politica relativa alla chiesa romano-cattolica], scrit­ta prima del 14 maggio 1945, in Vlast’ i cerkov’ v Vostočnoj Evrope 1944-1953. Dokumenty Rossijskich Archivov [Il potere e la chiesa nell’Europa Orientale 1944-1953. Documenti degli Archivi Russi], 2 voll., a cura di T.V. Volokitina (et al.), Casa Editrice Rosspėn, Mosca 2009, tomo 1. 1944-1948, pp. 151-152.

11) Cfr. Vlast’ i cerkov’ v Vostočnoj Evrope 1944-1953. Dokumenty Rossijskich Archivov, cit., tomo 1, p. 99 e ss. (il passo citato è a p. 102).

12) Ibidem.

13) Il progetto riguarda le chiese ortodosse di Russia, Serbia, Georgia, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Bulgaria, Romania, Grecia e Finlandia; i Vecchio-credenti bespopovcy dell’URSS e dell’America, le chiese copte (Egitto ed Etiopia), la Chiesa armeno-gregoriana dell’URSS, Medio Oriente, Balcani, Francia e America, la Chiesa an­glicana di Inghilterra, America e Canada, la Chiesa protestante e metodista di USA, Inghil­terra, Francia e URSS. Subordinatamente al raggiungimento di un chiarimento circa le rela­zioni con la Chiesa Ortodossa Russa, l’invito viene esteso anche ai vetero-cattolici di Fran­cia, USA e URSS, all’Unione mondiale dei Battisti di USA e URSS e ai cristiani evangelici dell’America e dell’URSS (cfr. Vlast’ i cerkov’ v SSSR i stranach Vostočnoj Evropy 1939-1958. Diskussionnye aspekty, cit., pp. 313-314). Sul­l’argomento cfr. il dettagliato studio di I.V. Škuratova, Sovetskoe gosudarstvo i vnešnepolitičeskaja dejatel’nost’ Russkoj Pravoslavnoj Cerkvi, 1945-1961gg. [Lo Stato sovietico e l’attività di politica estera della Chiesa Ortodossa Russa, 1945-1961]. Moskovskij Gosudarstvennyj Oblastnoj Universitet, Mosca 2005 (pro manuscripto), disponibile in rete.

14) Cfr. Rapporto di G. G. Karpov del 14 febbraio 1947, nel mio L’impero sovietico 1917-1990, cit., p. 354 e ss. e fonti citate.

15) Sull’argomento, cfr. ibid., p. 361 e ss.

16) Cfr. A.N. Jakovlev, Po moščam i elej [Sulle reliquie e l’olio sacro], Edizioni Evrazija, Mosca 1995, pp. 95-96.

17) Cfr. T.A. Čumačenko, Gosudarstvo, pravoslavnaja cerkov’, verujuščie 1941-1961 gg. [Lo Stato, la chiesa ortodossa, i credenti 1941-1961], Edizioni Airo XX, Mosca 1999, p. 57 e fonte citata.

18) Cristian Vasile, Între Vati­can şi Kremlin. Biserica Greco-Catolicc în timpul regimului comunist, Cuvant înainte de Adrian Cioroianu, Curtea Veche, Bucarest 2003, pp. 192-193.

19) Cfr. Costantin Simon S.J., Ortodos­si e cattolici nella Romania socialista, in La Civiltà Cattolica, 6 maggio 1989, n. 3333, p. 235.

20) Cfr. Vlast’ i cerkov’ v Vostočnoj Evrope 1944-1953. Dokumenty Rossijskich Archivov, cit., tomo 1, p. 789.

21) Cfr. M.V. Škarovskij, Pravoslavnye cerkvi jugo-vostočnoj Evropy 1945-1950-e gody [Le Chiese ortodosse dell’Europa sud-orientale negli anni 1945-1950]. Edizioni Poznanie, Mosca 2019, p. 260 e fonte citata.

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