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Ciak, si replica.

2 Marzo 2017 - Autore: Domenico Airoma

Tutto come previsto, anzi come già visto.

Per l’eutanasia, assistiamo allo stesso copione già andato in scena per la legalizzazione dell’aborto e, recentemente, per l’introduzione delle unioni civili ovvero del “matrimonio” omosessuale.

Innanzitutto, bisogna far leva sull’emotività, per superare le residue resistenze –o, per meglio dire, reminiscenze del buon senso comune– ancora presenti nell’uomo contemporaneo, confuso e “rivoluzionato” dalla perdita di qualsiasi principio oggettivo di orientamento; ecco, allora, puntuale, la strumentalizzazione dei casi pietosi, dove la sofferenza non trova misericordioso soccorso, ma ideologico sciacallaggio.

Poi, non deve mancare il supporto della giurisprudenza “creativa” (anzi, data la materia, “demolitiva”), già intervenuta nel caso Englaro, allorquando, superando ogni divieto normativo, i giudici della Cassazione hanno autorizzato la sospensione di trattamenti vitali e non sanitari alla giovane Eluana, colpevole solo di non poter esprimere personalmente la sua volontà; giurisprudenza che, verosimilmente, interverrà nuovamente, anche per colmare le lacune di un legislatore, ancora una volta colpevolmente inerte.

Quindi, bisogna fare attenzione alle parole: non si può e non si deve parlare esplicitamente di eutanasia; come non si poteva parlare apertis verbis di “matrimonio” omosessuale o di utero in affitto, ma di unioni civili e maternità surrogata, così, ora, è preferibile   discorrere di disposizioni anticipate di trattamento (pure il termine di “testamento biologico” è stato accantonato: evocava, forse, troppo la morte).  La ricostruzione artificiale del diritto per l’uomo nuovo, fondato sull’autodeterminazione assoluta, richiede, infatti, una neolingua giuridica, che sradichi ogni ricordo della vera morale, che pure resta scritta nel corpo e nel cuore degli uomini.

Infine, il virus, il “Troian”; che, nel caso di specie, è rappresentato dal consenso informato.

Come si può essere contrari al consenso informato? Soprattutto se viene collegato al diritto a non sottoporsi a cure!

La realtà è che le disposizioni anticipate di trattamento non hanno nulla a che vedere con il consenso informato.

Le “d.a.t.” hanno ad oggetto non trattamenti sanitari, ma presidi vitali, come l’idratazione e l’alimentazione: si dispone di ciò di cui non si può disporre, la vita; e non se ne può disporre, perché, come per la libertà, si tratta di tutelare la stessa dignità dell’uomo.

Vengono manifestate in vita in previsione di un futuro stato di incapacità; che consenso è quello prestato al buio, senza conoscere tutte le circostanze che sole potranno illuminare ogni scelta che sia davvero consapevole ed informata?

A prestare il consenso non è, in definitiva, il titolare del bene, ma un terzo, chiamato ad aprire un testamento quando il testatore è ancora in vita, obbligando un’altra persona, il medico, ad eseguirlo e a dare la morte.

A completare il quadro, intervengono solleciti i maestri del pensiero debole, che incitano alla battaglia e ricordano il senso metafisico di un processo rivoluzionario; come Stefano Rodotà, che avverte, profetico: “dove c’era la necessità, oggi deve esserci la scelta”.

E la scelta di morire, ha un solo nome: suicidio.

Domenico Airoma

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