di Daniele Fazio
Come si viveva al di là della Cortina di ferro? Nel più totale terrore. È bene averlo sempre presente e ricordarlo, anche nel trentennale dell’abbattimento del Muro di Berlino, perché la memoria si possa consolidare sempre meglio a fronte di tentativi ideologici tesi a obliare i crimini del socialcomunismo.
A questo proposito è interessante far emergere le testimonianze di quanti in maniera diretta o indiretta abbiano avuto a che fare con il sistema socialista sovietico. Anche il filosofo francese Étienne Gilson (1884-1978) è tra chi ha avuto una qualche esperienza del terrore rosso, come egli stesso testimonia, tra l’altro, nel saggio Il dialogo difficile, raccolto nel volume Problemi d’oggi. Il tomismo e la sua situazione attuale. Il caso Teilhard de Chardin. Il dialogo difficile (a cura di Mario Rettori – Anna Rosso Cattabiani, Borla, Torino 1967).
Criticando la “mano tesa” tra partiti democristiani e comunisti, il filosofo riporta, tra l’atro, una vecchia esperienza che colpisce particolarmente, restituendo la dimensione cupa del mondo comunista: «Molti anni fa, mentre mi trovavo in Russia, chiesi al commissario del popolo di una città universitaria il favore di poter incontrare i miei colleghi dell’università locale. Il permesso mi venne accordato, il commissario stesso organizzò la riunione, e cosa che nella mia ingenuità non mi ero certo immaginata, la presiedette.
Solo allora mi resi conto di quel che avevo fatto e mi sentii molto imbarazzato. Tutti eravamo soggetti ad una sorveglianza poliziesca ed io con la mia richiesta avevo fatto saltare questo fatto. Dopo qualche attimo di imbarazzo e di sforzi vani per cercare di trovare un argomento di conversazione, chiesi se potessi far qualcosa per aiutare i miei colleghi, ad esempio mandar loro dei libri che era difficile trovare o che non trovavano affatto. Un collega disse allora che avrebbe desiderato ricevere per l’Università l’“Histoire de France” di Lavisse; gli promisi di spedirglielo; ma il commissario ci fece notare che si trattava di una storia “borghese” e il progetto venne subito accantonato.
Più tardi, di notte, mentre stavo andando da solo verso il mio albergo, sentii dei passi dietro di me. Uno dei miei interlocutori, il più discreto, stava tentando di raggiungermi. Mi fermò sotto un lampione, posò le mani sulle mie spalle e mi disse semplicemente: lasciatemi guardare per qualche secondo un uomo libero!”. Mi sentii un groppo in gola. Poi le sue mani lasciarono le mie spalle e il suo passo veloce si allontanò nella notte. Non ho mai dimenticato quel breve incontro» (pp. 136-137).
Gli orrori del comunismo non si possono dimenticare: per senso di giustizia, di verità e di carità alla storia, ma soprattutto in omaggio a quegli uomini e a quelle generazioni che si sono visti negate, per ben settant’anni, le più elementari libertà che costituiscono la dignità dell’uomo, disconosciuta da ogni pensiero ideologico.
Sabato, 9 novembre 2019