Domenico Airoma, Cristianità n. 393 (2018)
Continuerà l’«autodemolizione»?
Questa era la domanda che Giovanni Cantoni si poneva quarant’anni fa (1), dopo la morte del venerabile Giovanni Paolo I (1978) e prima dell’elezione al soglio pontificio di san Giovanni Paolo II (1978-2005).
Erano trascorsi solo dieci anni dal famoso discorso che san Paolo VI (1963-1978) aveva tenuto al Pontificio Seminario Lombardo, evento che segnava la denuncia della condizione di una crisi della Chiesa fattasi manifesta: «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio» (2).
Il fondatore di Alleanza Cattolica, nell’articolo citato, prendeva le mosse, in quelle riflessioni tuttora attuali, dalla necessaria distinzione fra la persecuzione alla Chiesa — «dato assolutamente non eccezionale nella sua storia in hac lacrimarum valle» — e l’«autodemolizione» della Chiesa, «[…] una sorta di “autopersecuzione”, di cui l’apertura al mondo che “giace nel potere del maligno”, e il suo conseguente ingresso nel “tempio di Dio”, costituisce aspetto non certamente secondario».
Il pensiero, continuava Cantoni, e quindi la meditazione «[…] si è concentrato sulle rilevanti diserzioni nel clero secolare e regolare, sulla devastazione liturgica, sulla inedia catechistica in cui versa — quando non è avvelenato da dottrina dubbia o cattiva — il popolo fedele. […] Così l’“autodemolizione” mi è apparsa tutt’altro che parola vuota, e i guasti derivanti dalla intossicazione da “fumo di Satana” mi si sono fatti presente nella loro drammaticità sostanziale, che il tempo non lenisce, ma piuttosto contribuisce ad aumentare pericolosamente».
Orbene, a quarant’anni da quella descrizione della situazione della Chiesa, la condizione che stiamo oggi vivendo può dirsi quella in cui si è passati dal timore dei pericoli conseguenti al processo di «autodemolizione» al manifestarsi dei danni.
La diffusione del «fumo di Satana» ha prodotto un’intossicazione talmente diffusa da avvelenare l’ambiente ecclesiale, provocando, solo come epifenomeni, risse fra vescovi e scomposti attacchi al Pontefice; laddove i fatti rappresentano la conseguenza di idee maturate sotto la spinta, sempre più compulsiva, di tendenze disordinate.
Vi è una tentazione che occorre evitare e che fa oggettivamente il gioco di chi è interessato a che permanga la condizione di intossicazione, ovvero del Maligno; ed è quella di iscriversi al campionato di coloro che scambiano gli effetti del fumo con la causa del fumo stesso, illudendosi e illudendo i tanti buoni — che si sentono smarriti nella barca di Pietro avvolta in una caligine sempre più dominante — che basta cambiare il nocchiero storico perché l’aria torni salubre.
Lo sforzo da compiere, invece, è quello di cercare di non farsi intossicare dal fumo, ma, pur nella difficoltà di orientarsi, concentrarsi nella ricerca del focolaio ovvero della fessura dal quale il fumo è penetrato nel sacro recinto. Per uscire fuor di metafora e fare un fugace riferimento all’attualità: se è del tutto controproducente mettersi al seguito di chi, come mons. Carlo Maria Viganò, attacca l’autorità di Pietro (pur nelle sue diverse vesti storiche), è altrettanto indispensabile andare alle cause delle questioni sollevate, intimamente connesse alla ricerca di quella fessura; altrimenti — si ribadisce — si rimane prigionieri della meccanica dell’intossicazione da fumo e involontari propagatori della condizione di confusione.
Orbene, quale sia la fessura e quanto essa vada cercata nella mentalità degli uomini di Chiesa, ci viene spiegato da Nostro Signore Gesù Cristo che, dovendo fare i conti con l’attacco portato dal demonio ai suoi discepoli, ammonisce Pietro dal cadere nella tentazione di pensare non secondo Dio, ma di conformare il suo giudizio a quello degli uomini.
«Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”» (Mt. 16, 21-23).
Se, dunque, quel che vi è da fare è chiaro in tesi, più difficile diventa articolarlo in concreto, ovvero elaborare direttrici di azione prudenti, cioè rispettose del reale.
Vi è un aspetto, tuttavia, che costituisce la indispensabile premessa di ogni intervento di purificazione, soprattutto nella Chiesa, ed è lo schema interpretativo — non congiunturale — offertoci dalle apparizioni e dal messaggio di Fatima. Alla Cova da Iria nel 1917 la Madonna ci ha ricordato che la storia della Chiesa è una storia drammatica, fatta di persecuzione e di auto-persecuzione, dove, però, il livello di drammaticità non è mai irreversibile, essendo sempre condizionato — felicemente — dalle scelte libere degli uomini, e dove la sofferenza non è mai vana.
«Per pio esercizio — riprende Cantoni — mi sono chiesto quale potrebbe essere — sempre nella prospettiva di Fatima — il rimedio ai mali della Chiesa. Se gli uomini, per non andare all’inferno, devono rispettare la legge di Dio; se altrettanto devono fare le nazioni, per non cadere nel comunismo, che è il loro inferno storico, conforme alla loro natura di realtà storiche, che cosa deve fare la Chiesa per non “autodemolirsi”, perché l’inferno, il “fumo di Satana”, non penetri in essa?».
In sintesi, quali sono le condizioni da osservare, o meglio, da riprendere ad osservare per arrestare quel processo?
«Come non vedere in una fede straordinaria la sola forza capace di espellere il “fumo di Satana” dalla Chiesa, di chiudere ad esso e, quindi, di arrestare l’“autodemolizione”, magari scegliendo la persecuzione da parte di un “mondo contrariato”? E su che base appoggiare questa fede, se non sulla umiltà? E nella Chiesa, se non su Pietro?». La risposta di Cantoni, quarant’anni dopo, conserva un’attualità straordinaria.
In primo luogo, una fede straordinaria, che raccolga, cioè, l’invito rivoltoci dalla Madonna a Fatima a una penitenza altrettanto straordinaria: «Penitenza, penitenza, penitenza!».
È doveroso, in questa prospettiva, per chi ha la vocazione di essere avanguardia contro la penetrazione organizzata del «fumo di Satana», cioè per i contro-rivoluzionari, organizzare iniziative anche pubbliche di penitenza, che abbiano il significato di una consacrazione delle piccole Cristianità nascenti al Cuore Immacolato di Maria.
Si tratta di avviare itinerari penitenziali, che coinvolgano i singoli e le comunità, che accompagnino e supportino l’itinerario di ascesi sociale, non potendovi essere autentica reconciliatio senza poenitentia.
In secondo luogo, fortificati dalla preghiera e muniti dello scudo della grazia dei sacramenti, affrontare la persecuzione di un «mondo contrariato» ovvero «rivoluzionato», non ricercando il martirio, ma certissimamente non ricercando la compiacenza del mondo.
È altrettanto doveroso, perciò, che i contro-rivoluzionari, con spirito di carità — che richiede costante attenzione alle condizioni dell’interlocutore — dicano la verità, che rimane la «furbizia» anche del secolo XXI.
E dal momento che bisogna fronteggiare sia la persecuzione sia l’auto-persecuzione della Chiesa, i contro-rivoluzionari mancherebbero al loro dovere se non si assumessero pure il compito di richiamare, con umiltà, anche i Pastori a un magistero veritiero. Un richiamo che può e deve anche assumere i toni della denuncia, scacciando i mercanti — cioè i propagatori di fumo — dal Tempio, come fece Nostro Signore, avendo cura — come altrettanto fece Gesù — a non contribuire alla demolizione del Tempio stesso.
Ancora uscendo fuor di metafora e riprendendo quell’aggancio all’attualità già evocato: una volta individuata una delle fessure attraverso cui è penetrato il fumo dell’errore nella incontrastata diffusione dell’ideologia cosiddetta gay nei seminari e fra gli uomini di Chiesa (3), diventa, per esempio, incoerente — e rischia di diffondere fra il popolo fedele dottrina quanto meno dubbia — non affrontare negli stessi termini veritativi, seppur con la dovuta carità, il tema dell’ideologia LGBT nei documenti che hanno preparato e accompagnato il Sinodo sui giovani.
Quanto a noi laici, il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) ha attribuito un compito fondamentale soprattutto a coloro che hanno la vocazione di «operai della restaurazione sociale»: agire perché l’umano consorzio torni a riconoscere la verità sull’uomo, condizione indispensabile per allontanare il più possibile la civitas hominum dalla civitas diaboli; nella consapevolezza che il recupero di una corretta antropologia non può non ridondare positivamente anche sulla vita della Chiesa.
Continuerà, dunque, l’«autodemolizione»?
Alla scuola della Madonna di Fatima, possiamo rispondere con un «se»: il processo potrà arrestarsi «se» ciascuno farà la parte che gli è stata assegnata; e in quel «se» si inscrive anche il nostro apostolato.
Nella consapevolezza, come concludeva san Paolo VI nel discorso sopra evocato, che «le prove sono difficili e talvolta dure […]. E tuttavia, nella certezza che “Sarà Gesù Cristo a sedare la tempesta […].
«Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione, che Gesù stesso ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza».
D’altronde, la storia della Chiesa in epoca di «autodemolizione» è fatta anche di una lunga e felice teoria di Pontefici canonizzati; il che, se da un lato dimostra che Nostro Signore non dorme, neppure per intervalla, dall’altro lato — poiché il processo di auto-persecuzione è lungi dall’aver smesso di produrre i suoi danni — impegna soprattutto i laici a essere particolarmente vigili, cioè a vegliare, avendo cura che non venga a mancare l’olio nelle lampade e non si rimanga prigionieri del buio della disperazione.
I militanti di Alleanza Cattolica, con l’aiuto di san Michele Arcangelo, non faranno mancare il proprio contributo alla buona battaglia, specie nell’ora presente. Perché nella Chiesa come nella società si torni a respirare l’aria salutare della Verità che mai nessun fumo satanico potrà soffocare fino alla morte.
Domenico Airoma
Note:
(1) Cfr. Giovanni Cantoni, Continuerà l’«autodemolizione»?, in Cristianità, anno VI, n. 40-41, agosto-settembre 1978, p. 12. Tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(2) Paolo VI, Allocuzione agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968.
(3) Tanto da far stabilire che «[…] la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay» (Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, del 4-11-2005, n. 2).